2021-08-23
Il Pd tira il broglio e nasconde la mano
Walter Veltroni e Enrico Letta (Ansa)
Fu Veltroni a istituzionalizzarle: diceva che voleva imitare gli Usa, in realtà il vero scopo era spianare la strada ai candidati scelti dai vertici. Un trucco ora confermato dalle registrazioni che parlano di brogli.Chissà perché sulla Treccani se si digita al computer il sostantivo «primarie», ossia il termine che indica il modo con cui un partito politico sceglie, in base ai voti dei propri iscritti, chi debba rappresentarlo alle elezioni, appare oltre a «Pd» anche il verbo «veltroneggiare». Forse sarà per via del fatto che le primarie divennero un sistema per decidere il candidato alle politiche o alle amministrative proprio ai tempi di Ualter Veltroni, quando cioè l'allora segretario del Partito democratico impresse la svolta americana a ciò che restava degli eredi del Pci. Achille Occhetto aveva già picconato il glorioso partitone rosso dopo la caduta del muro Berlino, Veltroni però demolì ciò che restava, spiegando non solo di non essere mai stato comunista, ma di essersi iscritto alla Fgci, cioè alla federazione giovanile comunista, solo per cambiarla dall'interno. Essendo un kennediano della prima ora, cioè fin dalla tenera età di 8 anni, quando a Dallas John Fitzgerald fu assassinato, Ualter è cresciuto nel mito del Partito democratico americano e dunque delle primarie. Così, una volta acclamato alla guida del nuovo raggruppamento di reduci democristiani e sopravvissuti del Pci, ha importato direttamente dagli Stati Uniti la democrazia dal basso. A dire il vero, qualche esperimento era già stato tentato in precedenza, con la scelta di Prodi del 2006, ma fu proprio con Veltroni che si istituzionalizzò il sistema. Da allora in poi, a scegliere i segretari, i candidati premier, ma anche gli aspiranti amministratori locali, si decise che sarebbe stata la base. Naturalmente solo quando i vertici avessero convenuto. Già, perché non tutte le elezioni sono uguali. Ce ne sono alcune, come per esempio quella per la guida delle Regione Calabria, dove la candidatura è così complicata che, dopo aver sfogliato la margherita e aver bruciato tutte le candidature possibili, tocca alla segreteria tirare le somme e decidere chi mettere in lista in barba alla democrazia dal basso. In altre invece si decide prima chi sarà il vincitore, poi, a tavolino, si stabiliscono gli avversari, badando bene però che nessuno degli sfidanti possa dare realmente fastidio al prescelto. A volte, quando il gioco sfugge di mano, si è costretti a indurre con le buone, cioè promettendo qualche cosa in cambio, un candidato al ritiro, affinché non disturbi troppo il successo del predestinato dai vertici. Eh, già, perché ogni competizione ha un vincitore già deciso prima, che ha solo il problema di trionfare senza una vera concorrenza.Che questo fosse il metodo delle primarie all'italiana era il segreto di Pulcinella, anche perché spesso avevamo assistito a una competizione fra candidati del Pd talmente moscia da non appassionare nessuno, tanto l'esito era scontato ancor prima che si decidesse la conta. Tuttavia, avevamo sempre pensato che il broglio della democrazia dal basso consistesse proprio in una competizione zoppa, dove un solo concorrente avesse la possibilità di vincere, mentre tutti gli altri avessero il solo scopo di far finta di gareggiare per rendere più brillante il successo del segretario o dell'aspirante premier decisi a tavolino. In realtà, grazie alle registrazioni scovate dal nostro Francesco Borgonovo, abbiamo scoperto non solo che le primarie erano falsate prima ancora di cominciare, in quanto già si sapeva chi avrebbe vinto, ma anche i numeri dei votanti erano farlocchi. Il nostro vicedirettore ha infatti scovato una vecchia chat fra dirigenti del Pd in cui si parla di far apparire magicamente centinaia di schede, ovvero centinaia di elettori fantasma, allo scopo di rappresentare una grande partecipazione di popolo. Certo, eleggere un segretario con un sistema in cui il designato è chiaro fin dal principio, già toglie mordente alla sfida, ma se poi si viene a sapere che i milioni di partecipanti sono gonfiati con gli anabolizzanti dei brogli, beh la democrazia dal basso si rivela un esercizio che scivola talmente in fondo da rotolarsi nel fango. È vero che siamo in agosto e qualunque cosa succeda in questi giorni la politica resta chiusa per ferie (le immagini di Giggino Di Maio accasciato in spiaggia nell'ora in cui i talebani mettevano in ginocchio Kabul rimarranno nella storia), tuttavia ci saremmo attesi qualche flebile spiegazione da parte del Pd. In fondo, qui si parla delle primarie che hanno portato Nicola Zingaretti alla segreteria, elezione che ci ha regalato un capo del Pd indeciso a tutto, al punto che dopo aver detto no ai grillini ha fatto con loro un governo. Dunque ci sarebbe di che discutere, anche perché dopo il disastro del governatore del Lazio alla guida del Partito democratico ci è toccato - senza primarie - un tipo come Enrico Letta, ovvero un pannicello caldo capace di far rimpiangere perfino Ualter, il banal grande del luogo comunismo. Invece, a dispetto di ciò che pensavano, l'encefalogramma del Pd è rimasto invariato: nessuna reazione nonostante la notizia pubblicata dalla Verità minacci le fondamenta del partito. Calma piatta nonostante, a ottobre, a Bologna si disputi la sfida per la guida della città. Segno evidente che, dopo tutte le giravolte, neppure la nomenclatura dei democratici, quella che si dava tanto da fare per gonfiare i numeri dei partecipanti alle primarie, se la sente più di sostenere la commedia del voto popolare. Come in ogni partito, i candidati li decidono i vertici e le correnti. Il resto è pura finzione. Come quasi tutto nella politica italiana.
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