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2023-09-05
I preti pro eutanasia ripassino il catechismo
Don Giulio Mignani (Ansa)
La presenza e l’irricevibile intervento di don Giulio Mignani, della diocesi di La Spezia, a Torino, in occasione della presentazione delle firme a sostegno della proposta di legge popolare per il suicidio assistito, è la chiara dimostrazione dello stato di totale disorientamento in cui versa certo clero cattolico. Innanzitutto il confratello ci tiene a distinguere che è «presente all’evento come cittadino» e poi come sacerdote, incarnando quella separazione tra fede e ragione, denunciata da San Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et Ratio, ed oggi drammaticamente diffusa, anche nella gerarchia ecclesiastica. Diceva Chesterton: «Quando entro in chiesa mi tolgo il cappello, non la testa!». Tale distinzione fu quella che portò molti cattolici (democratici) a votare a favore del divorzio e dell’aborto, con il falso ragionamento: «Io non sono d’accordo, ma non posso impedire ad altri di farlo»; come se un male potesse avere eccezioni o dipendere dalla valutazione del soggetto, con la complicità anche economica dello Stato, quindi di tutti. Posto che sul tema della vita basterebbe il retto uso di ragione e che senza la fede cristiana, la sofferenza non può che apparire un «non senso», sfugge totalmente ai più il fatto che lo Stato non possa mai essere complice del male, né garantire che esso venga compiuto impunemente. L’ormai desueta tattica del «caso pietoso» ha fatto il suo tempo! La vera questione, se non si fosse ancora compreso, è la sopravvivenza della stessa civiltà occidentale, storicamente motore del benessere e dello sviluppo di cui siamo tutti beneficiari. Se non esiste più il vero e il falso, il bene e il male, se tutto deve essere sottoposto al «discernimento situazionale» allora, dobbiamo ammetterlo, siamo tutti caduti nell’utilitarismo di J. Bentham (1832), per il quale è bene ciò che è utile. E, prima o poi, tutti saremo inutili (alcuni già lo sembrano!) e quindi saremo considerati un male da eliminare. Siamo certi che sia davvero ciò che vogliamo? Una società malthusiana nella quale ciò o chi non è utile viene eliminato, con il suo stesso consenso, perché convinto sia il proprio bene e quello della società? Il don Mignani, con un impeto giustificabile solo dall’emozione effimera suscitata da un microfono e una telecamera, giunge ad affermare: «Sono qui per rappresentare il mondo della Chiesa» (sic!).No, caro confratello! Tu non rappresenti affatto la Chiesa, come nessuno la potrebbe rappresentare, contraddicendo la ragione umana e la verità rivelata! La Chiesa sa benissimo che: «Qualunque ne siano i motivi e i mezzi, l’eutanasia diretta […] è moralmente inaccettabile. Così un’azione oppure un’omissione che, da sé o intenzionalmente, provoca la morte allo scopo di porre fine al dolore, costituisce un’uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana e al rispetto del Dio vivente, suo Creatore. L’errore di giudizio, nel quale si può essere incorsi in buona fede, non muta la natura di quest’atto omicida, sempre da condannare e da escludere» (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2277). Tu rappresenti al massimo te stesso ed i poveri parrocchiani che hai indotto a firmare, ma non usare il santo nome della Chiesa, la Sposa di Cristo, per sostenere battaglie di morte e di inciviltà, che contraddicono venti secoli di cristianesimo, di dottrina cattolica e di santità vissuta. Verrebbe da chiedersi cosa ne pensa il tuo vescovo (epískopos), chiamato a sorvegliare, anche su quanto il clero fa e dice pubblicamente. Emerge, in dolorosi esempi come questo, la desolante povertà della formazione del clero degli ultimi decenni e la consapevolezza della pervasività del mondo anche nella Chiesa. Papa Francesco ammonisce sempre contro la «mondanizzazione», che evidentemente non riguarda solo il tipo di auto o di orologio che possediamo, ma, molto più gravemente, il pensiero che abbiamo adottato, i criteri che utilizziamo per valutare tutto. Le derive eutanasiche, per quanto da frenare a livello legislativo con tutte le forze a disposizione, dipendono dall’abbandono dell’uso retto della ragione, dall’irrilevanza culturale del cattolicesimo e dalla pervasività di una mentalità utilitaristica. Solo una enorme urgente operazione culturale, che parta dal basso ed incontri (se Dio vorrà) qualche aiuto dall’alto, potrà prima frenare la deriva e poi invertire la rotta. «Il mondo ha bisogno di più Europa», ha detto papa Francesco a Lisbona. Il mondo ha bisogno della civiltà occidentale nata dal cristianesimo, di più vita, non di più morte!
*Sacerdote e teologo
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Il sacerdote che, a Torino, ha partecipato alla raccolta firme per il suicidio assistito non rappresenta la Chiesa. La quale, in merito, ha una posizione chiarissima. La confusione è figlia di una cultura utilitaristica ormai dilagante anche fra i religiosi.La presenza e l’irricevibile intervento di don Giulio Mignani, della diocesi di La Spezia, a Torino, in occasione della presentazione delle firme a sostegno della proposta di legge popolare per il suicidio assistito, è la chiara dimostrazione dello stato di totale disorientamento in cui versa certo clero cattolico. Innanzitutto il confratello ci tiene a distinguere che è «presente all’evento come cittadino» e poi come sacerdote, incarnando quella separazione tra fede e ragione, denunciata da San Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et Ratio, ed oggi drammaticamente diffusa, anche nella gerarchia ecclesiastica. Diceva Chesterton: «Quando entro in chiesa mi tolgo il cappello, non la testa!». Tale distinzione fu quella che portò molti cattolici (democratici) a votare a favore del divorzio e dell’aborto, con il falso ragionamento: «Io non sono d’accordo, ma non posso impedire ad altri di farlo»; come se un male potesse avere eccezioni o dipendere dalla valutazione del soggetto, con la complicità anche economica dello Stato, quindi di tutti. Posto che sul tema della vita basterebbe il retto uso di ragione e che senza la fede cristiana, la sofferenza non può che apparire un «non senso», sfugge totalmente ai più il fatto che lo Stato non possa mai essere complice del male, né garantire che esso venga compiuto impunemente. L’ormai desueta tattica del «caso pietoso» ha fatto il suo tempo! La vera questione, se non si fosse ancora compreso, è la sopravvivenza della stessa civiltà occidentale, storicamente motore del benessere e dello sviluppo di cui siamo tutti beneficiari. Se non esiste più il vero e il falso, il bene e il male, se tutto deve essere sottoposto al «discernimento situazionale» allora, dobbiamo ammetterlo, siamo tutti caduti nell’utilitarismo di J. Bentham (1832), per il quale è bene ciò che è utile. E, prima o poi, tutti saremo inutili (alcuni già lo sembrano!) e quindi saremo considerati un male da eliminare. Siamo certi che sia davvero ciò che vogliamo? Una società malthusiana nella quale ciò o chi non è utile viene eliminato, con il suo stesso consenso, perché convinto sia il proprio bene e quello della società? Il don Mignani, con un impeto giustificabile solo dall’emozione effimera suscitata da un microfono e una telecamera, giunge ad affermare: «Sono qui per rappresentare il mondo della Chiesa» (sic!).No, caro confratello! Tu non rappresenti affatto la Chiesa, come nessuno la potrebbe rappresentare, contraddicendo la ragione umana e la verità rivelata! La Chiesa sa benissimo che: «Qualunque ne siano i motivi e i mezzi, l’eutanasia diretta […] è moralmente inaccettabile. Così un’azione oppure un’omissione che, da sé o intenzionalmente, provoca la morte allo scopo di porre fine al dolore, costituisce un’uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana e al rispetto del Dio vivente, suo Creatore. L’errore di giudizio, nel quale si può essere incorsi in buona fede, non muta la natura di quest’atto omicida, sempre da condannare e da escludere» (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2277). Tu rappresenti al massimo te stesso ed i poveri parrocchiani che hai indotto a firmare, ma non usare il santo nome della Chiesa, la Sposa di Cristo, per sostenere battaglie di morte e di inciviltà, che contraddicono venti secoli di cristianesimo, di dottrina cattolica e di santità vissuta. Verrebbe da chiedersi cosa ne pensa il tuo vescovo (epískopos), chiamato a sorvegliare, anche su quanto il clero fa e dice pubblicamente. Emerge, in dolorosi esempi come questo, la desolante povertà della formazione del clero degli ultimi decenni e la consapevolezza della pervasività del mondo anche nella Chiesa. Papa Francesco ammonisce sempre contro la «mondanizzazione», che evidentemente non riguarda solo il tipo di auto o di orologio che possediamo, ma, molto più gravemente, il pensiero che abbiamo adottato, i criteri che utilizziamo per valutare tutto. Le derive eutanasiche, per quanto da frenare a livello legislativo con tutte le forze a disposizione, dipendono dall’abbandono dell’uso retto della ragione, dall’irrilevanza culturale del cattolicesimo e dalla pervasività di una mentalità utilitaristica. Solo una enorme urgente operazione culturale, che parta dal basso ed incontri (se Dio vorrà) qualche aiuto dall’alto, potrà prima frenare la deriva e poi invertire la rotta. «Il mondo ha bisogno di più Europa», ha detto papa Francesco a Lisbona. Il mondo ha bisogno della civiltà occidentale nata dal cristianesimo, di più vita, non di più morte!*Sacerdote e teologo
Il ministro ha ricordato che il concorrente europeo Fcas (Future combat aircraft system) avanza a ritmo troppo lento per disaccordi tra Airbus (Francia-Germania) e Dassault (Francia) riguardanti i diritti e la titolarità delle tecnologie. «È fallito il programma franco-tedesco […], probabilmente la Germania potrebbe entrare a far parte in futuro di questo progetto [...]. Abbiamo avuto richieste da Canada, Arabia Saudita, e penso che l’Australia possa essere interessata. Più nazioni salgono più aumenta la massa critica che puoi investire e meno costerà ogni esemplare». Tutto vero, rimangono però perplessità su un possibile coinvolgimento dei sauditi per due ragioni. La prima: l’Arabia sta incrementando i rapporti industriali militari con la Cina, che così avrebbe accesso ai segreti del nuovo caccia. La seconda: l’Arabia Saudita aveva finanziato anche altri progetti e tra questi persino uno con la Turchia, nazione che, dopo essere stata espulsa dal programma F-35 durante il primo mandato presidenziale di Trump a causa dell’acquisto dei missili russi S-400, ora sta cercando di rientrarci trovando aperture dalla Casa Bianca. Anche perché lo stesso Trump ha risposto in modo possibilista alla richiesta di Riad di poter acquisire lo stesso caccia nonostante gli avvertimenti del Pentagono sulla presenza cinese.
Per l’Italia, sede della fabbrica Faco di Cameri (Novara) che gli F-35 li assembla, con la previsione di costruire parti del Gcap a Torino Caselle (dove oggi si fanno quelle degli Eurofighter Typhoon), significherebbe creare una ricaduta industriale per qualche decennio. Ma dall’altra parte delle Alpi la situazione Fcas è complicata: un incontro sul futuro caccia che si sarebbe dovuto tenere in ottobre è stato rinviato per i troppi ostacoli insorti nella proprietà intellettuale del progetto. Se dovesse fallire, Berlino potrebbe essere colpita molto più duramente di Parigi. Questo perché la Francia, con Dassault, avrebbe la capacità tecnica di portare avanti da sola il programma, come del resto ha fatto 30 anni fa abbandonando l’Eurofighter per fare il Rafale. Ma l’impegno finanziario sarebbe enorme. Non a caso il Ceo di Dassault, Eric Trappier, ha insistito sul fatto che, se l’azienda non verrà nominata «leader indiscusso» del programma, lo Fcas potrebbe fallire. Il vantaggio su Airbus è evidente: Dassault potrebbe aggiornare ancora i Rafale passando dalla versione F5 a una possibile F6 e farli durare fino al 2060, ovvero due decenni dalla prevista entrata in servizio del nostro Gcap. Ma se Berlino dovesse abbandonare il progetto, non è scontata l’adesione al Gcap come partner industriale, mentre resterebbe un possibile cliente. Non a caso i tedeschi avrebbero già chiesto di poter assumere lo status di osservatori del programma. Senza Fcas anche la Spagna si troverebbe davanti decisioni difficili: in agosto Madrid aveva dichiarato che non avrebbe acquistato gli F-35 ma gli Eurofighter Typhoon e poi i caccia Fcas. Un mese dopo il primo ministro Pedro Sánchez espresse solidarietà alla Germania in relazione alla controversia tra Airbus e Dassault. Dove però hanno le idee chiare: sarebbe un suicidio industriale condividere la tecnologia e l’esperienza maturata con i Rafale, creata da zero con soldi francesi, impiegata con l’aviazione francese e già esportata con successo in India, Grecia ed Emirati arabi.
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Guido Crosetto (Ansa)
Tornando alla leva, «mi consente», aggiunge Crosetto, «di avere un bacino formato che, in caso di crisi o anche calamità naturali, sia già pronto per intervenire e non sono solo professionalità militari. Non c’è una sola soluzione, vanno cambiati anche i requisiti: per la parte combat, ad esempio, servono requisiti fisici diversi rispetto alla parte cyber. Si tratta di un cambio di regole epocale, che dobbiamo condividere con il Parlamento». Crosetto immagina in sostanza un bacino di «riservisti» pronti a intervenire in caso ovviamente di un conflitto, ma anche di catastrofi naturali o comunque situazioni di emergenza. Va precisato che, per procedere con questo disegno, occorre prima di tutto superare la legge 244 del 2012, che ha ridotto il personale militare delle forze armate da 190.000 a 150.000 unità e il personale civile da 30.000 a 20.000. «La 244 va buttata via», sottolinea per l’appunto Crosetto, «perché costruita in tempi diversi e vanno aumentate le forze armate, la qualità, utilizzando professionalità che si trovano nel mercato».
Il progetto di Crosetto sembra in contrasto con quanto proposto pochi giorni fa dal leader della Lega e vicepremier Matteo Salvini: «Sulla leva», ha detto Salvini, «ci sono proposte della Lega ferme da anni, non per fare il militare come me nel '95. Io dico sei mesi per tutti, ragazzi e ragazze, non per imparare a sparare ma per il pronto soccorso, la protezione civile, il salvataggio in mare, lo spegnimento degli incendi, il volontariato e la donazione del sangue. Sei mesi dedicati alla comunità per tutte le ragazze e i ragazzi che siano una grande forma di educazione civica. Non lo farei volontario ma per tutti». Intanto, Crosetto lancia sul tavolo un altro tema: «Serve aumentare le forze armate professionali», dice il ministro della Difesa, «e in questo senso ho detto più volte che l’operazione Strade sicure andava lentamente riaffidata alle forze di polizia». Su questo punto è prevedibile un attrito con Salvini, considerato che la Lega ha più volte sottolineato di immaginare che le spese militari vadano anche in direzione della sicurezza interna. L’operazione Strade sicure è il più chiaro esempio dell’utilizzo delle forze armate per la sicurezza interna. Condotta dall’Esercito italiano ininterrottamente dal 4 agosto 2008, l’operazione Strade sicure viene messa in campo attraverso l’impiego di un contingente di personale militare delle Forze armate che agisce con le funzioni di agente di pubblica sicurezza a difesa della collettività, in concorso alle Forze di Polizia, per il presidio del territorio e delle principali aree metropolitane e la vigilanza dei punti sensibili. Tale operazione, che coinvolge circa 6.600 militari, è, a tutt'oggi, l’impegno più oneroso della Forza armata in termini di uomini, mezzi e materiali.
Alle parole, come sempre, seguiranno i fatti: vedremo quale sarà il punto di equilibrio che verrà raggiunto nel centrodestra su questi aspetti. Sul versante delle opposizioni, il M5s chiede maggiore trasparenza: «Abbiamo sottoposto al ministro Crosetto un problema di democrazia e trasparenza», scrivono in una nota i capigruppo pentastellati nelle commissioni Difesa di Camera e Senato, Arnaldo Lomuti e Bruno Marton, «il problema della segretezza dei target capacitivi concordati con la Nato sulla base dei quali la Difesa porta avanti la sua corsa al riarmo. Non è corretto che la Nato chieda al nostro Paese di spendere cifre folli senza che il Parlamento, che dovrebbe controllare queste spese, conosca quali siano le esigenze che motivano e guidano queste richieste. Il ministro ha risposto, in buona sostanza, che l’accesso a queste informazioni è impossibile e che quelle date dalla Difesa sono più che sufficienti. Non per noi».
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Ecco #DimmiLaVerità del 5 dicembre 2025. Il senatore Gianluca Cantalamessa della Lega commenta il caso dossieraggi e l'intervista della Verità alla pm Anna Gallucci.