Presunto stop sul Mes. Ma dietro la retromarcia il rischio del via libera
Ad appena due giorni dalla riunione che si terrà lunedì 16 marzo a Bruxelles, l'Eurogruppo si premura di informarci che l'ordine del giorno è cambiato. Alcuni addetti ai lavori non hanno potuto fare a meno di constatare come il repentino cambio dell'agenda avvenga a seguito della mossa clamorosa, inaspettata e senza precedenti con cui Berlino annuncia di supportare e riempire di liquidità le proprie imprese con 550 miliardi di euro (e se necessario anche oltre). Il tutto per far fronte all'emergenza coronavirus. La riunione cui parteciperanno tutti i ministri economici dell'Eurozona avrebbe infatti dovuto trattare quattro punti all'ordine del giorno. Il primo riguardava il raggiungimento di accordo in merito al «sostegno politico» da dare al «pacchetto Mes». Pure il secondo punto, a dire il vero, aveva ancora a che fare con la tanto contestata riforma del fondo Salvastati dal momento che si prevedeva di esaminare il tema di «un'introduzione anticipata» (evidentemente prima di una già ipotizzata scadenza) del cosiddetto «common backstop». Anche qui si sarebbe dovuta stabilire un'agenda per definire i successivi passi per arrivare a concordare le necessarie modifiche agli accordi intergovernativi. E solo al terzo punto in agenda i ministri partecipanti all'Eurogruppo trovavano il tempo e il coraggio di esaminare le «sfide di politica economica» connesse all'epidemia di coronavirus.
Fermiamoci un attimo e tiriamo un respiro prima di proseguire. Riavvolgiamo il nastro e ricordiamo che cosa è il «common backstop».
Non scordiamoci che il Meccanismo europeo di stabilità (o Mes) esiste e opera già quale fondo di investimento giuridicamente privato con sede in Lussemburgo ancorché partecipato dagli Stati dell'Eurozona. Il capitale sottoscritto è di 705 miliardi; quello effettivamente versato di poco superiore agli 80. In caso di necessità ci saranno quindi da sborsare 625 miliardi. E di questi circa 110 dovrebbe sborsarli l'Italia. Nel giro di una settimana qualora la richiesta arrivasse nel pieno di una situazione di emergenza da parte del direttore generale del fondo. Il Mes non trova ancora accoglienza ufficiale e formale dentro il mare magnum dei trattati che regolano il funzionamento dell'Unione europea ma è comunque pienamente operativo e somiglia molto a una banca. Emette obbligazioni per finanziarsi e a sua volta ne sottoscrive per finanziare gli «Stati clienti». Una banca molto sprint dal momento che con la riforma in arrivo il Mes potrà erogare entro 12 ore il «dispositivo di sostegno» (in inglese il cosiddetto «backstop» di cui parlavamo all'inizio appunto). Vale a dire una linea di credito dedicata al Fondo di risoluzione unico. Altra mostro europeo chiamato a intervenire e mettere soldi nell'ambito di processi di ristrutturazione di banche a loro volta sottoposte al bail in.
La nuova agenda dei lavori dell'Eurogruppo, forse perché pareva brutto, mette ora invece al primo punto anziché al terzo il tema delle «risposte di politica economica da dare all'epidemia di Covid-19» e solo al secondo punto si parlerà dell'introduzione anticipata del backstop nell'ambito della riforma del Mes.
E qui le perplessità aumentano anziché diradarsi. Perché infatti non si parla più di necessità di un «accordo politico» in merito all'approvazione della complessiva riforma? Forse perché questo sostegno politico è già stato raggiunto. Sì ma quando e dove, verrebbe da chiedersi, visto che appena una settimana l'Eurogruppo avvertiva la necessità di metterlo al primo posto dell'agenda? Forse si preferisce già darlo per scontato così non ci si avventura in imbarazzanti obiezioni di qualche ministro riottoso e non accondiscendente. Sicuramente il ribelle di turno non sarebbe il ministro Roberto Gualtieri capace di stare ufficialmente dalla parte della Bce anche dopo la disastrosa conferenza stampa di giovedì e mentre il Quirinale emetteva un clamoroso comunicato per prendere le distanze dalla mancanza di supporto all'Italia da parte di Francoforte.
Ma vi è anche un secondo motivo di preoccupazione e riguarda l'introduzione anticipata del cosiddetto backstop (o dispositivo di sostegno) vale a dire la possibilità che i soldi del Mes vadano a finire dentro le banche. Sembra infatti trasparire che fra i tanti punti di questa controversa riforma del Mes (backstop e anche la riforma delle cosiddette Cac che avrebbero reso più semplice l'eventuale ristrutturazione del debito di uno Stato) vi sia la maledetta e fottuta necessità di portare subito a casa la possibilità che il Fondo metta i soldi dentro le banche sottoposte a ristrutturazione. Quasi come se l'emergenza coronavirus avesse fatto aumentare la paura di un rapido avvitamento della crisi, tale quindi da richiedere l'intervento del Fondo. Strumento di per sé ridicolo e comunque inutile in scenari così devastanti. Un po' come preoccuparsi di cosa dice la nostra polizza assicurativa in caso di arrivo di un meteorite che potrebbe portare all'estinzione del genere umano.





