2024-02-06
Premier bis solo se l’altro s’ammala o decade
Maria Elisabetta Alberti Casellati, ministro per le riforme istituzionali e la semplificazione normativa (Ansa)
I leader del centrodestra trovano l’intesa: se il Parlamento vota la sfiducia all’esecutivo, si torna automaticamente alle urne. L’opzione del «presidente di riserva» scelto nella stessa maggioranza possibile in caso di grave impedimento (o di morte).«La democrazia funziona se risponde alla volontà dei cittadini. È quello che noi stiamo cercando di realizzare». Da Tokyo, dove è in visita di Stato, il premier Giorgia Meloni plaude all’accordo definitivo raggiunto in maggioranza sul testo con cui andrà in aula a Palazzo Madama il ddl Casellati sull’elezione diretta del premier. Un risultato politico importantissimo, al quale si è arrivato dopo un fitto calendario di riunioni in commissioni Affari costituzionali tra i capigruppo del centrodestra, che si sono tenuti in stretto contatto coi leader dei rispettivi partiti. Non a caso, il sigillo finale all’accordo è arrivato grazie a una triangolazione telefonica tra Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani, che hanno dato il via libera alla riformulazione del testo originario, dopo alcune limature dell’ultimo momento. Come è noto, c’era da risolvere la questione della cosiddetta norma anti-ribaltone, che era al tempo stesso questione tecnica e questione politica. C’era da mettere a punto la facoltà del presidente del Consiglio eletto di fare appello alle urne in caso di sfiducia e i casi in cui può esserci la possibilità di passare la mano a un secondo premier non eletto. Ebbene, dopo un ultimo giro di telefonate e di consultazioni coi costituzionalisti, si è arrivato a quello che può essere chiamato un principio «simul stabunt» temperato. In pratica, l’articolo 4 del ddl è stato modificato declinando in maniera più puntuale i casi in cui si torna alle urne e quelli in cui entra in scena la «staffetta» col secondo premier della stessa maggioranza che ha vinto le elezioni. Una messa a punto resa necessaria anche dalle polemiche innescate da chi, negli ultimi giorni, aveva criticato il primo accordo di maggioranza, affermando che la formulazione cui si era giunti favorisse paradossalmente il premier subentrante rispetto a quello eletto. In cosa consiste, dunque, la nuova norma anti-ribaltone sollecitata a gran voce dal premier in persona? Anzitutto, c’è un caso in cui si va alle urne automaticamente, ed è quando il premier viene sfiduciato con una mozione motivata dal Parlamento. Dopo il voto, nulla quaestio: il capo dello Stato scioglie le Camere e si va ad elezioni. Una grande novità rispetto alla storia repubblicana, durante la quale abbondano i casi di legislature iniziate con la maggioranza uscita dal voto e terminate con maggioranze nate da giochi di palazzo e di segno completamente opposto. Ma il nuovo articolo 4 prevede, come detto, anche le altre possibilità: «In caso di dimissioni volontarie del presidente del Consiglio eletto, previa informativa parlamentare», recita il nuovo testo, «questi può proporre, entro sette giorni, lo scioglimento delle Camere al presidente della Repubblica, che lo dispone. Qualora non eserciti tale facoltà e nei casi di morte, impedimento permanente, decadenza, il presidente della Repubblica può conferire, per una sola volta nel corso della legislatura, l’incarico di formare il governo al presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento con il presidente del Consiglio». In soldoni, qui si affronta il caso di quando al governo viene revocata la fiducia su un provvedimento o su un altro tipo di atto parlamentare. Il premier eletto può dimettersi, avviare un’interlocuzione in Parlamento e in capo a una settimana valutare se si è trattato di un incidente di percorso e dunque chiedere un nuovo incarico, o passare la mano a un altro esponente della sua maggioranza oppure chiedere, verificata l’inesistenza di una maggioranza, lo scioglimento. Questa è la formula contenuta in uno dei quattro emendamenti che il governo ha presentato ieri (e che inizialmente avrebbero dovuto essere presentati dai gruppi di maggioranza): gli altri riguardano la possibilità di sciogliere le Camere per il Capo dello Stato durante il semestre bianco se si tratta di un atto dovuto e la questione del premio di maggioranza, che non viene più indicato nel testo ma demandato a una futura legge elettorale, improntata in ogni caso a un principio maggioritario e favorevole alla governabilità. Il numero di emendamenti presentati dalla sinistra, lascia in ogni caso intuire che si va incontro a un feroce ostruzionismo: circa 800 sono gli emendamenti presentati dal Pd, mille addirittura quelli firmati Avs. Da M5s, invece, rivendicano 12 emendamenti «chirurgici», mentre 16 sono quelli di Iv e otto quelli di Azione. Commentando le critiche delle opposizioni al testo, il premier ha affermato di non stupirsi del fatto che «altri, che in questi anni hanno privilegiato i governi costruiti nel palazzo, siano contrari, ma rimane che abbiamo avuto un mandato dagli italiani e intendiamo portare avanti la riforma che io considero in assoluto la madre di tutte le riforme». Quanto ai prossimi passi in commissione, considerando l’approccio con cui le sinistre si presenteranno alle votazioni, il presidente della Affari costituzionali Alberto Balboni, conversando col nostro giornale, dice di aver già consigliato ai suoi colleghi di dormire molto nei prossimi giorni, visto che «occorrerà prepararsi a delle lunghe sedute notturne».
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