2021-01-24
Povera patria in mano a un servo Truffaldino
Simile ad Arlecchino, il più famoso personaggio di Carlo Goldoni, il premier cambia colore alla bisogna e sventola idee sempre diverse come uno sbandieratore incallito. Succube delle proprie debolezze, ormai usa il Parlamento per uno spettacolo di sopravvivenza.La malattia dell'Italia di oggi è la menzogna. Ormai tocca ammetterlo, anche se così si torna citare il vecchio e ripetutissimo slogan di quando prevale la menzogna: «Il re è nudo». Perché la menzogna porta all'inconsistenza, a un bel vestito annunciato, ma che non esiste. Una realtà che si conosce ma si fa di tutto per non vedere e non denunciare. Innanzitutto per viltà. «Tra il dire e il fare c'è di mezzo il coraggio», ammetteva già decenni fa un perplesso Charlie Brown, in una delle sue indimenticabili vignette. Ci vuole coraggio a dire la verità che fatalmente ci porta poi sempre dal parlare a vuoto al fare, all'agire. Non era affatto indispensabile che partisse l'ennesima inchiesta giudiziaria sui rapporti tra vari «volenterosi» e i loro presunti amici mafiosi per accorgersi che l'ampliamento del governo Conte bis si sarebbe nutrito della peggiore brodaglia politica Italiana: quella dei deputati che eletti in una squadra, preferiscono poi gestire in proprio i vantaggi della carica. Si sapeva tutto già prima, e La Verità aveva già riferito sull'ambiente e i collegamenti dell'inchiesta. Ma, appunto ci vuole coraggio.Giuseppe Conte di Volturara Appula invece, che ha molti anni più di Charlie Brown ma di quel ragazzino non ha la franchezza né la forza d'animo indispensabili per fare autocritica e non prolungare all'infinito la vanità e le pretese dell'infanzia, non si è posto il problema. Anzi ha fatto di quell'ambiente la premessa del consolidamento del suo governo. Tutto a parole, naturalmente, perché il regno della menzogna è immaginario, solo verbale (con le recenti aggravanti virtuali di Internet), mai fattuale. Infatti Conte del fare non sente neppure il bisogno, a differenza di Charlie Brown, e non se ne fa un problema, ma un vanto.Tuttavia anche il dire, la parola significativa, il vecchio logos su cui (quando va bene) poggia l'Occidente, gli riesce innaturale, perché la parola finisce poi sempre col rimandare a un'azione, a un principio che feconda e genera la realtà. E qui sta la grandezza inventiva dell'ex Giuseppi (ormai ex in quanto è caduto Donald Trump, colui che almeno gli aveva dato un nome), perché ha trovato il modo di sostituire la parola-azione, la parola-programma con la parola-distintivo, la parola-slogan, la parola-bandiera. Tipo il nuovo umanesimo dei suoi inizi da presidente, ma anche il suo populismo degli esordi. Più che presidente del Consiglio, è uno sbandieratore di slogan, di stereotipi. Più falsi e vuoti di una moneta falsa. In seguito il volteggio di bandiere si è fatto sempre più vorticoso e veloce, fino ad arrivare ai virtuosismi dei discorsi parlamentari di questi giorni. Nei suoi discorsi nei due rami del Parlamento e dichiarazioni accompagnatorie, Conte ha così soprattutto agitato bandiere sostitutive della parola significativa e naturalmente di qualsiasi programma di azione (tranne la promessa di mance in cariche e ministeri).La sua ultima versione, assai impegnativa dal punto di vista ginnico, è diventata così soprattutto quella dello sbandieratore, colui che (come dice la Treccani) «fa compiere evoluzioni alle varie bandiere durante le parate storiche o altre cerimonie«. Come appunto le assemblee di Camera e Senato per ottenere la fiducia al suo secondo governo, già molto consunto dopo solo 15 mesi: lui ha preso la parola, e ha agitato bandiere. Aveva bisogno di voti, e quindi ne ha agilmente sventolate molte, diverse fra loro: il principio ispiratore (che aveva già mostrato altre volte) è «molte bandiere, molti voti». Agitata ormai da un po', illuminata con qualche effetto speciale è la bandiera dell'europeismo: l'ex sovranista tiene a far sapere che è ora europeista (e si capisce, con tutti i soldi che servono, e l'assenza di piani B, che si è ben guardato dal fare). Ma anche quella dei liberali, e non da sola ma, con singolare disinvoltura, assieme a quella socialista come se niente fosse, come se non dicessero una il contrario dell'altra. E si capisce perché il suo talento, più che da politico, è da illusionista, più da circo che da Parlamento. O da Parlamento che si è ormai rassegnato a diventare un circo, un palcoscenico di personaggi inquietanti e ridicoli. Su cui sventolano bandiere double face, con la doppia iscrizione, da una parte una cosa, dall'altra l'altra. Sventolate astutamente tutte insieme: il bravo sbandieratore le agita tutte insieme, senza imbarazzo.È l'«inclusione», stupido parruccone, non vorrai mica lamentarti! La madre di tutti i «diritti», mantra della false democrazie dove a comandare non è più il popolo sovrano, neppure consultato, ma chi è riuscito a infilarsi nelle burocrazie al comando, occupando poi tutto, scuola, sindacati, aziende, mass media. Tanti stipendi, tante bandiere: costruttori, responsabili, volonterosi, mafiosi e tutti gli altri attorno, costano. Infatti il lamento sarebbe fuori luogo, perché non basta. Davanti a uno spettacolo così, serve altro che un lamento. Agitare bandiere diverse, per tirare a campare e raccogliere mance, non è poi una trovata così nuova. L'Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni, la commedia più rappresentata nel mondo per molti anni, nella versione del Piccolo Teatro di Milano con il geniale Ferruccio Soleri, era già quella storia lì. La maschera di Arlecchino, con il suo vestito di molti colori diversi, riassume bene le tante bandiere dello sbandieratore creativo.Arlecchino, però, è un servo. Egli, che nel testo di Goldoni si chiama Truffaldino, inganna e finge per perseguire il suo unico intento, ovvero mangiare fino ad essere sazio e soddisfare la propria vanità. Per ottenere ciò, è lui stesso a complicare la storia all'inverosimile, creando solo equivoci e guai. Viene in mente la passione per i servizi segreti nell'attuale governo: un ambito che diventa decisivo soprattutto quando le cose taciute (perché non si possono dire) sono ormai più numerose di quelle alla luce del sole. Segreti per pochi addetti.Il servo Truffaldino è quello che è: le bandiere, i distintivi, le parole vuote gli servono a coprire il servilismo, verso le proprie debolezze innanzitutto, quasi sempre accompagnate dalla menzogna, ottimo strumento per soddisfarle. Le debolezze poi, qui sono gli interessi personali, sostitutivi di idee, fedi, passioni. Solo parole e smorfie. Da vedere a teatro (quando gli attori sono bravi, come Soleri) può anche essere divertente, ma da sopportare alla guida della patria, come principale caratteristica della sua classe dirigente, è impossibile; perché equivale al suicidio. Che ormai i più fragili e non ancora corrotti, come i bambini e adolescenti, compiono sempre più di frequente, come ha denunciato l'Ospedale del Bambin Gesù, ad essi dedicato.Di sbandieratori non se ne può più e di slogan e etichette neppure. Servono fatti, programmi, e azioni per realizzarli al più presto, e salvare la vita dell'Italia e degli italiani.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 10 settembre con Flaminia Camilletti
Margherita Agnelli (Ansa)