2018-10-13
Porta la figlia in ateneo ma la prof la caccia
All'Università dell'Aquila una ragazza madre va a lezione con la propria bimba, però la docente le allontana all'istante: «Azione preventiva, temevo piangesse e disturbasse». La piccola invece dormiva. La mamma: «Stigmatizzano la maternità». Il fatto singolare è che l'episodio si sia svolto proprio in una facoltà di Scienze della formazione, dove gli studenti si preparano a lavorare a contatto con i più piccoli.Viviamo in tempi in cui si straparla di autonomia e indipendenza delle donne, di quote rosa, di gravidanze e maternità che non dovrebbero impedire al nostro capitale umano femminile di esprimere al meglio le proprie potenzialità. E proprio ieri tanti studenti, più o meno consapevolmente, hanno manifestato (è tradizione, tra ottobre e novembre) per il cosiddetto «diritto allo studio». Ma la realtà pare smentire gli slogan.La storia che vi raccontiamo arriva dal capoluogo della Regione Abruzzo, L'Aquila. Nella facoltà di Scienze della formazione primaria, giovedì scorso è una delle tante giornate di lezione. Una studentessa entra in aula. Tutto normale, se non fosse che è una ragazza madre, che quella mattina non ha trovato nessuno che badasse alla sua bambina e che, di conseguenza, abbia portato con sé il passeggino con la piccola. Un dettaglio che disturba la professoressa, la quale si avvicina alla giovane e le fa notare che la bimba potrebbe disturbare lo svolgimento della lezione. La ragazza risponde che sua figlia ha appena fatto la pappa, che si è addormentata, che continuerà a ronfare per le prossime ore e che, essendo piccolissima, non farà capricci, non si metterà a correre all'impazzata per l'aula, non sarà colta da un attacco di ipercinesi. Ma per la docente, madre e figlia devono uscire. Solo che la studentessa non è una remissiva e scombussolata mamma single. S'indigna, contatta la rettrice dell'ateneo aquilano, Paola Inverardi, il direttore di dipartimento e il presidente del corso di laurea. Grazie al loro intervento viene riaccompagnata a lezione. Ma decide comunque di denunciare l'accaduto e si rivolge a una testata online locale, Ilcapoluogo.it.«Il mio scopo», ha spiegato alla Verità la giovane, che preferisce non siano diffuse le sue generalità, «non era di gettare discredito sull'università. Ho ricevuto tanta solidarietà dagli altri docenti e dal direttore di dipartimento. Volevo soltanto affermare a gran voce», ha proseguito la combattiva studentessa, «che non bisogna stigmatizzare la maternità, la genitorialità. Io all'Aquila non ho parenti stretti che si prendano cura di mia figlia. Quando posso, cerco di lasciarla in custodia a persone di cui mi fido, ma quella mattina non era stato possibile. Il fatto che io sia una ragazza madre non significa che debba essermi preclusa la possibilità di seguire i corsi. Anche perché alcuni docenti notano se uno studente ha frequentano oppure no». Per di più, ci ha assicurato la ragazza, «portare con sé un neonato non viola alcun regolamento di ateneo, che anzi sulla questione praticamente non si pronuncia. Vorrei segnalare che in alte università, come quella di Parma, sono stati allestiti spazi appositamente dedicati alle mamme. Alla Bicocca di Milano, ad esempio, nei bagni delle donne c'è anche un fasciatoio. Penso si possano attrezzare tutte le università italiane».Il fatto singolare è che l'episodio si sia svolto proprio in una facoltà di Scienze della formazione, dove gli studenti si preparano a lavorare a contatto con i più piccoli. La Verità ha raggiunto telefonicamente anche la docente protagonista di questo episodio, Rachele Giammario, la quale ha respinto le accuse, fornendo la sua versione dei fatti. «La neonata effettivamente non stava dando fastidio», ha ammesso, «ma poiché mi erano già capitati episodi simili, ho chiesto alla madre di uscire in via precauzionale. Anche perché l'ambiente non era propriamente sano per una bimba appena nata. Non ho niente contro le mamme e contro i bambini. Si figuri, con loro io ci lavoro. Tra l'altro, quando la studentessa è tornata con il direttore di dipartimento, cui si era rivolta perché si era sentita discriminata, le ho proposto tranquillamente di rientrare e lei ha rifiutato, proprio perché la bambina si stava agitando. Io forse devo farmi un'esame di coscienza», ha proseguito la professoressa Giammario, «ma la ragazza se l'è fatto un esame di coscienza quando ha deciso di portare la figlia in un'aula piena di gente, in un ambiente poco igienico, inadatto ai neonati?».Forse la professoressa era in buona fede. Forse non si aspettava che quel suo gesto sollevasse «un polverone assurdo», come ha lamentato, esasperata, con noi. O forse sono mancati tatto e comprensione da parte sua. Di sicuro è legittimo aspettarsi che, nell'epoca delle frasi fatte sul «potere alle donne», dei cortei per il diritto allo studio e della natalità sottozero (che qualcuno pensa di compensare deportando gli africani), una ragazza madre non subisca umiliazioni pubbliche.
Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)
(Ansa)
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Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano (Ansa)