2022-06-23
Populismo attaccato a giorni alterni per nascondere il fallimento liberal
Per gli autonominati esegeti del dibattito politico cercare di rispondere alle istanze popolari è demagogia, pressappochismo e razzismo. Perché i poteri attualmente dominanti non hanno interesse a sanare i disagi.Con la deflagrazione del dimaiano dentro il Movimento 5 stelle il populismo è morto o per lo meno, come scrive La Repubblica, ha le convulsioni. Però con la mazzata che ha preso Emmanuel Macron in Francia il populismo è anche risorto, come dimostrano i consensi ottenuti da Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon. Tuttavia, se la Lega di Matteo Salvini mostra una flessione, ecco che di nuovo il populismo boccheggia salvo poi ritornare una terribile minaccia venata di fascismo se Giorgia Meloni sceglie una tonalità appena più robusta per un intervento in Spagna. A leggere i giornali italiani e le dotte analisi che li riempiono sembra di trovarsi nel pieno di un ciclo dell’eterno ritorno accelerato dalle nuove tecnologie. Morte resurrezione e ancora morte e poi resurrezione: nemmeno sui decessi da Covid ci sono così tanta confusione e una così profonda incertezza sui fatti. La sensazione è che sfugga ai nostri fini commentatori un dettaglio che se volete è di scandalosa banalità, ma resta di estrema rilevanza. Il populismo non è risorto e di sicuro non è mai morto, per un motivo molto semplice: non è mai esistito. O, meglio, non è esistito nella forma e secondo le categorie stabilite dagli stessi geniacci che a fasi alterne ne certificano la scomparsa o la riapparizione. Questo giornale, per tramite di un libro scritto dal vicedirettore Martino Cervo, aveva affrontato il tema qualche anno fa, ma gli autonominati esegeti del dibattito politico hanno preferito restare appigliati agli antichi stereotipi, soprattutto perché questi tornano parecchio utili ogni volta ci sia da affossare un movimento o un leader sgradito. Il termine populismo, negli ultimi cinque e più anni, è stato snaturato - cioè estrapolato dal contesto originario e pervertito nel significato - affinché fosse possibile utilizzarlo come sinonimo di pressappochismo, demagogia e razzismo. Va detto che la mistificazione è stata efficace, anche perché immediatamente adottata dall’intero sistema politico e utilizzata a ripetizione fino all’avvenuto condizionamento delle masse. A ben vedere, si è trattato di un furbesco aggiornamento di un meccanismo arrugginito ma sempre valido, che consiste nell’appiccicare l’adesivo con su scritto «fascista» ai critici del pensiero prevalente con il chiaro obiettivo di mostrificarli e renderli impresentabili. Come è fin troppo facile verificare, il giochetto ritorna buono in ogni stagione. Giusto ieri, sempre su Repubblica, Furio Colombo (con toni e semplificazioni che, se fossero utilizzate a destra, di sicuro sarebbero considerate populiste e fascistoidi) si proponeva di svelare «il vero volto di Giorgia Meloni», che sarebbe ovviamente «di estrema destra», «estremista» e «lugubre». Ragionamenti simili dimostrano che non importa quanto un partito cerchi di assecondare i desiderata del sistema dominante: se non si annulla nella corrente liberal progressista resta comunque un bersaglio. Attaccare la destra è tutto sommato facile, anche perché essa è spesso e volentieri la prima a offrirsi come agnello sacrificale (lo dimostrano le tristi parabole di leader passati). Il problema si fa più complesso quando alcune istanze sono condivise tanto dalla destra quanto dalla sinistra. Ed è qui che nasce la necessità di utilizzare insulti nuovi, la cui inconsistenza non sia troppo semplice da dimostrare. Del resto accusare di fascismo certi movimenti e pensatori socialisti è troppo ardito anche per le facce toste al potere, e l’etichetta infamante di «rossobruni» non ha sufficienti sfumature negative. Ecco allora il populismo, grottesco calderone in cui infilare la gran parte delle sacrosante istanze che, in realtà, sono profondamente popolari. Se ci fate caso, dopo l’exploit di alcuni anni fa (ai tempi del pentaleghismo), di populismo si è parlato pochino. Ora però la patata rovente ritorna sul tavolo perché stanno emergendo aderenze fra destra e sinistra che appaiono inedite e spaventose, ma sono del tutto naturali e persino opportune. Il pensiero critico - a diverse intensità e con differenti coloriture - sulla gestione della pandemia e sulla guerra in Ucraina ha fatto nascere interessanti sensibilità comuni, più fuori dal Parlamento che dentro. Il rigetto nei confronti del burocratismo europeo e dei suoi oscuri portabandiera tipo Macron è largamente condiviso e trasversale. Esiste insomma una crescente ostilità nei confronti del liberalismo totalitario che in questi anni ha mostrato i suoi lati peggiori. Una ostilità che va oltre gli antichi steccati, e che in realtà esisteva già prima della guerra o della pandemia. L’impoverimento generale, l’assalto alle classi medie, l’immigrazione sregolata, il soffocamento crescente del dissenso: sono tutte questioni emerse da parecchio tempo. Se ciclicamente si ripresentano non è per «colpa» di questo o quel partito, ma è perché sono vere, sentite, diffuse. Semmai, i vari partiti che si sono appropriati di tali istanze spesso le hanno affossate o hanno depresso chi le condivideva. Ma i nodi restano tutti lì, e più i mesi passano e più si fanno stretti. Il punto non è lo stato di salute del populismo o dei presunti populisti. Il punto è che il modello liberal ha falle mostruose che notano pure alcuni dei suoi più onesti sostenitori (vedi Francis Fukuyama). Ai poteri attualmente dominanti non interessa però sanarle: a loro importa neutralizzare i partiti che si propongono di eliminarle. Nel breve periodo, la strategia funziona. Ma alla lunga la polvere sotto il tappeto diventa troppa. E presto o tardi, il cielo non voglia, potrebbe addirittura trasformarsi in polvere da sparo.
Antonella Bundu (Imagoeconomica)
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