2021-10-02
Polpetta anti Fdi: si indaga su soldi e razzismo
Una videoinchiesta di Fanpage accusa l'europarlamentare Carlo Fidanza, che si autosospende. La presidente: «Nessuno spazio all'antisemitismo», ma chiede l'intero filmato. La candidata Chiara Valcepina diffida gli autori. Pd e M5s ci inzuppano il biscotto elettorale.«Sono pronta a prendere tutte le decisioni necessarie quando ravviso delle responsabilità reali, ma per avere contezza di queste chiedo di avere l'intero girato di 100 ore. Poi farò sapere cosa ne penso». Così la leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, sull'inchiesta pubblicata da Fanpage e mandata in onda giovedì sera a Piazzapulita su La 7 sulla campagna elettorale di Fdi a Milano, tra presunti finanziamenti in nero e le pressioni dei gruppi di estrema destra, che coinvolge il suo eurodeputato Carlo Fidanza. La Meloni ha subito chiarito la sua posizione: «Sono rigida ma non giudico i miei dirigenti sulla base di un filmato. Ho chiesto al direttore di Fanpage i video integrali relativi agli eventi emersi, al fine di avere piena contezza dei fatti, senza la semplificazione di un video accuratamente montato. Fdi è da sempre molto rigido nel rispetto delle norme sui finanziamenti e non accetta tra le proprie fila chi sostiene tesi razziste o discriminatorie. Sono sempre stata chiara su atteggiamenti opachi sul piano dell'onestà e su rapporti con ambienti dai quali siamo distanti anni luce». Contemporaneamente Fidanza ha affidato a una nota la sua autosospensione, negando ogni accusa e prendendo le distanze dalle immagini mandate in onda. Inoltre, dopo l'esposto presentato ieri mattina da Europa Verde, a firma dei portavoce Angelo Bonelli ed Eleonora Evi, la Procura di Milano ha aperto un'inchiesta con le ipotesi di finanziamento illecito ai partiti e riciclaggio, per far luce sulla vicenda. Non solo, i pm verificheranno anche le frasi sugli «ammiratori di Hitler», i «massoni», e la presunta «rete di ex militari». «Voglio ribadire ai miei amici, ai miei elettori e a quelli di tutto il mio partito che non ho mai ricevuto finanziamenti irregolari», ha scritto Fidanza, «Non c'è e non c'è mai stato in me alcun atteggiamento estremista, razzista o antisemita. Semmai nelle immagini, ironicamente contestavo proprio le inaccettabili affermazioni a suo dire goliardiche di Roberto Jonghi Lavarini, che non hanno né possono avere alcuna cittadinanza in Fdi, partito in cui peraltro lo stesso non è iscritto né ricopre alcun ruolo». E anche Jonghi Lavarini, il cosiddetto «Barone nero», ha commentato: «Tanto rumore per nulla, tanto fumo e niente arrosto. Solo battute, millanterie e goliardate da bar. È un chiaro, provocatorio e strumentale, attacco politico alla destra e al centrodestra, a due giorni dal voto». Dall'inchiesta sulla «lobby nera» realizzata con il sistema dell'insider, ovvero il giornalista sotto copertura, emergerebbero sistemi di «lavanderia» per pulire finanziamenti in nero, oltre a incontri con esplicite battute razziste, fasciste e sessiste tra esponenti di Fdi a Milano. Il giornalista, tre anni fa, si è finto un uomo d'affari a cui interessava finanziare un gruppo politico italiano al fine di ottenere vantaggi per il proprio business e ha iniziato a frequentare un gruppo di personaggi di estrema destra nel capoluogo lombardo. Il capo, secondo l'inchiesta, sarebbe Jonghi Lavarini, il «Barone nero», condannato a due anni per apologia del fascismo. Tramite Lavarini, il cronista conosce Fidanza e comincia a frequentare eventi e riunioni per la campagna elettorale a Milano a sostegno della candidatura al Consiglio comunale dell'avvocato Chiara Valcepina. Entrambi chiedono finanziamenti al presunto uomo d'affari e il «Barone nero» entra nei dettagli, spiegando di avere «una serie di lavatrici per il finanziamento alla campagna elettorale, usato più volte. Poi c'è tutto un filone di ammiratori di Hitler, in più abbiamo un nostro informale servizio di informazioni e sicurezza, abbiamo una rete di ex militari». Fidanza, ribadendo la necessità di autosospendersi per evitare attacchi strumentali al partito, sottolinea: «Nelle parti del servizio che purtroppo non sono state mandate in onda, in più occasioni ho ribadito al “giornalista infiltrato" che asseriva di voler contribuire alla campagna elettorale di una candidata, la necessità di farlo secondo le modalità previste dalla normativa vigente. Il fatto che questi ulteriori colloqui non siano stati trasmessi la dice lunga sulla serietà di questa inchiesta e contribuisce a dare di me e della mia attività politica un'immagine totalmente distorta». Decisa la reazione di Chiara Valcepina: «Tramite il mio legale ho già proceduto a diffidare Fanpage e La 7 Spa dal diffondere il servizio così realizzato in maniera evidentemente strumentale. Ai miei amici e conoscenti ribadisco in modo fermo e fiero che la mia campagna elettorale non è stata in alcun modo finanziata da fondi irregolari. Si tratta di video montato ad arte». Non sono mancate le reazioni degli avversari politici. Nella nota della delegazione l M5s al Parlamento europeo si legge: «L'inchiesta mostra una realtà agghiacciante. Fdi non solo accoglie ma addirittura promuove personaggi loschi che inneggiano a Hitler, fanno battute sugli ebrei e rimpiangono la dittatura fascista. I trucchetti su come finanziare illegalmente la campagna elettorale di Fdi rappresentano una vecchia degenerazione della politica, figlia di un'epoca buia che i cittadini pensavano di essersi messi alle spalle». Per il Pd «la realtà emersa è gravissima, per i sospetti concreti di finanziamenti illeciti e l'ombra pesante del neofascismo a Milano». «Non può esserci spazio nei partiti dell'arco costituzionale per chi fa il saluto romano, inneggia a Hitler e insulta neri e ebrei. Né ci possono essere ambiguità su questo», ha scritto su Twitter la presidente della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello.
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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