2021-05-30
Il Politburo di Draghi resterà dopo di lui
Ecco il pilota automatico del Pnrr: le nuove strutture hanno pieni poteri fino al 2026. Gli uomini al loro interno, scelti tra Ragioneria dello Stato e Mef, avranno l'intero controllo su 120 miliardi di spesa nei prossimi tre anni.Il decreto Semplificazioni è un enorme turbo voluto da Mario Draghi e dall'Unione europea per realizzare le opere del Recovery plan in 5 anni. I canali della democrazia parlamentare avrebbero richiesto, nel migliore dei casi, come minimo il doppio o il triplo del tempo. Però, il decreto appena varato, con l'ok di tutti i partiti della maggioranza, segna la fine dei partiti politici per come li abbiamo conosciuti fino ad ora. Il dl certifica il fallimento del sistema Paese che non è stato in grado di stare al passo con i tempi e di trovare un modo di essere efficiente come il settore privato. È vero che il Pnrr impone ben 17 riforme parlamentari solo nei prossimi due anni, ma il testo in questione di fatto le bypassa tutte e crea canali pro tempore e ad hoc per realizzare i progetti concordati con l'Europa e spendere i circa 230 miliardi di euro complessivi. Da ora in avanti e fino al 2026 i partiti rinunciano a dare indirizzi politici, a scegliere le persone in grado di realizzarli e rinunciano anche a prendersene la responsabilità. Per questo, in cima al decreto Semplificazioni, campeggia la cabina di regia. Un organismo composto dal presidente del Consiglio con una serie di ministeri che a suo dire hanno le competenze e gli oneri di coordinare i progetti del Pnrr. Potranno - secondo una schema predefinito - bypassare il «dissenso», così si legge nel testo del Semplificazioni, degli altri enti dello Stato. Se Regioni o Comuni non fossero d'accordo e volessero stoppare un singolo progetto, saranno chiamate a trovare una soluzione. Ma senza questa, a decidere sarà la cabina di regia. Figuratevi come la prenderanno i governatori delle Regioni. Una domanda retorica, perché i segretari dei loro partiti hanno deciso che va bene così.Non solo. Siccome i governi prima o poi devono terminare, l'attuale andrà a istituire una segreteria tecnica con il compito di supportare le scelte della cabina stessa, monitorare i lavori, individuare le soluzioni agli intoppi, gestire l'eliminazione del «dissenso». La struttura per legge avrà una durata temporanea ma «superiore a quella del governo che la istituisce e si protrae fino al completamento del Pnrr e comunque non oltre il 31 dicembre 2026». Tanto per essere chiari su quanto le scelte dell'ultimo cdm siano radicali e nuove per questo Paese. Per il resto, il grosso del lavoro sarà svolto tra Palazzo Chigi, il Mef e la Ragioneria dello Stato. La segreteria tecnica si coordinerà infatti con tre dipartimenti di Palazzo Chigi, quello per il coordinamento amministrativo guidato da Sergio Fiorentino, il Dipe gestito da Marco Leonardi e l'ufficio per il programma di governo che dipende dal sottosegretario Roberto Garofoli. Ma soprattutto, la struttura avrà come vero alter ego una novità assoluta. Il nome è un po' sovietico. Si tratta del «Servizio centrale per il Pnrr». Un nuovo ufficio centrale da inquadrare all'interno della Ragioneria dello Stato, guidata da Biagio Mazzotta e molto stimata da Sergio Mattarella. Il servizio centrale che userà sei uffici di livello dirigenziale collaborerà con partecipate dello Stato e Bankitalia, ma soprattutto avrà il compito più delicato di tutti. Gestisce il fondo di rotazione creato nell'ultima legge Finanziaria per anticipare i soldi del Recovery plan. Sono 118 miliardi solo per l'anno in corso, il 2022 e il 2023. Chi sarà chiamato a coordinare il servizio centrale avrà in mano nei fatti tre manovre finanziarie. Se i progetti saranno approvati dall'Ue e i soldi spesi in tempo, la cifra entrerà nel computo dei flussi europei. Altrimenti ci saranno il danno e la beffa. Avremo speso i soldi ma resteranno tutti sul gobbone del deficit nazionale. Per carità, non che i soldi europei siano di altri. È sempre debito che dovremo ripagare noi direttamente o indirettamente. Ma almeno a livello di emissioni sarà spalmato diversamente. Le varie attività avranno un audit che passa per motivi tecnici dall'Igrue, l'Ispettorato generale per i rapporti finanziari con l'Unione europea, ad oggi coordinato da Paolo Castaldi. Anche la struttura del servizio centrale sembra essere destinata a sopravvivere al governo che ora la nomina. Non tanto perché la legge lo dica espressamente, ma perché una volta che la macchina è avviata, chi mai vorrà cambiare in corsa i piloti? Quale partito potrà mai chiederlo? A novembre dello scorso anno, il trio composto da Giuseppe Conte, Massimo D'Alema e Roberto Gualtieri pensava di affidare il ruolo primario di responsabilità a una società in house del Mef, Studiare sviluppo srl. Un modo per sfilare alla macchina dello Stato i veri poteri. Adesso i mandarini - e non usiamo il termine in senso negativo - hanno blindato tutto in senso opposto. Forse ai partiti converrà studiare nuove strategie. Senza fretta. Tanto torneranno utili dopo il 2026.
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