2021-05-29
I superpoteri di Draghi
Mario Draghi (Getty Images)
Super Mario vuole i super poteri. Al presidente del Consiglio, infatti, non basta aver piazzato i suoi fedelissimi ai vertici delle partecipate dello Stato, sostituendo gli uomini che gli ha lasciato in eredità Giuseppe Conte. Draghi ha intenzione di imporre una svolta alla politica italiana, facendo piazza pulita della burocrazia ministerial-parlamentare che da decenni blocca ogni cosa.Sì, la sua è una piccola rivoluzione. Neanche tanto piccola. In altri tempi, con i compagni all'opposizione, si sarebbe chiamata in diverso modo, perché nei fatti il piatto che il premier ha servito nella riunione del Consiglio dei ministri di ieri è un cambio di Stato. Non un colpo, attenzione: ma una sostanziale mutazione dei processi decisionali su cui poggia il nostro Paese.Tutto è racchiuso nel documento che sintetizza i meccanismi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ovvero del documento che detta le regole per la gestione degli investimenti in arrivo grazie ai fondi dell'Europa. Per capire che Draghi ha intenzione di cambiare musica, basta leggere l'articolo 2 del suddetto papello. «È istituita presso la presidenza del Consiglio dei ministri la cabina di regia per il piano di ripresa e resilienza, presieduta dal presidente del Consiglio dei ministri, alla quale partecipano i ministri e i sottosegretari di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri competenti». Fin qui la cabina di regia sembrerebbe la fotocopia del governo e non si comprenderebbero le ragioni del doppione se non si leggesse il resto del comma: «in ragione delle tematiche affrontate in ciascuna seduta». In pratica, la cabina di regia è a composizione variabile. Di sicuro ne farà parte il ministro dell'Economia, cioè colui che ha in mano il portafogli, poi, di volta in volta, al tavolo verranno ammessi anche gli altri. Tanto per farvi capire la rivoluzione, se c'è da discutere un progetto che riguarda il turismo o la transizione ecologica, gli invitati non saranno tutti quanti, cioè i ministri delle diverse componenti politiche, ma solo Massimo Garavaglia e Roberto Cingolani. In un Paese dove ogni cosa era sottoposta al parere preventivo del Consiglio dei ministri, con tanto di divisioni interne e discussioni interminabili, rappresenta un totale cambio di passo. Che l'obiettivo sia quello di eliminare veti e contro veti, lo si capisce ancor meglio leggendo il resto del piano. Prendete per esempio l'articolo 13. Sotto la voce «Poteri sostitutivi» si legge: «In caso di mancato rispetto da parte delle Regioni, delle città metropolitane, delle province o dei Comuni degli obblighi e impegni finalizzati al Pnrr […] consistente anche nella mancata adozione di atti e provvedimenti necessari all'avvio dei progetti del Piano, ovvero nel ritardo, inerzia o difformità nell'esecuzione dei progetti, il presidente del Consiglio dei ministri, ove sia messo anche solo potenzialmente a rischio il conseguimento degli obiettivi intermedi e finali del Pnrr […] assegna al soggetto attuatore un termine per provvedere non superiore ai 15 giorni». E se in 15 giorni non succede niente perché le Regioni, i Comuni e le province perdono tempo? Beh, Draghi con la sua cabina di regia si sostituisce a loro. Chiaro il concetto? I rinvii non sono ammessi. E men che meno le contestazioni. Basta anche qui leggere l'articolo 14, sotto il titolo «Superamento del dissenso». «In caso di dissenso, diniego, opposizione o altro atto equivalente» entro i successivi cinque giorni il presidente del Consiglio sottopone la questione al Consiglio dei ministri. E se anche qui non si trova l'accordo, perché le Regioni o i partiti si oppongono? Beh, decorsi 15 giorni, «in mancanza di soluzione condivise che consentano la sollecita realizzazione dell'opera», il presidente del Consiglio tira diritto esercitando i poteri sostituivi. Se le Regioni e gli altri enti ci stanno bene, diversamente il governo farà a meno di loro e in un paio di settimane varerà lo stesso il progetto.Il documento fa giustizia anche della Via, la cosiddetta Valutazione di impatto ambientale, l'arma di distruzione di massa con cui per anni si tengono ferme le opere pubbliche. All'articolo 20, tra citazioni di commi da integrare e decreti da sostituire, si legge che i tempi per accertare la compatibilità ambientale dell'opera sono ridotti e che l'autorità competente può chiedere chiarimenti e integrazioni per una sola volta e per un periodo massimo di 60 giorni, poi si procede a prescindere dall'opinione di chi si oppone o manifesti perplessità. Non so se il piano alla fine uscirà indenne da Palazzo Chigi o se i partiti cercheranno di mettere un bastone fra le ruote. Ma una cosa mi pare certa: la cabina di regia ha un solo regista che si chiama Draghi e al Piano di ripresa e resilienza andrebbe cambiato nome, perché l'ex governatore della Bce mi sembra che, oltre a un programma per la ripresa, ne abbia uno per rivoltare l'Italia come un calzino, ma non bucato come quello di Piercamillo Davigo.