Allarme della Direzione investigativa antimafia: ’ndrangheta sempre più radicata al Nord. Sono gli affari ad attirare i boss. E nella rete cadono anche politici locali.
Allarme della Direzione investigativa antimafia: ’ndrangheta sempre più radicata al Nord. Sono gli affari ad attirare i boss. E nella rete cadono anche politici locali.La ’ndrangheta ha conquistato il Nord Italia. L’ultima mappa investigativa disegnata dalla Direzione investigativa antimafia parla chiaro sulla presenza di ben 45 cosche nelle regioni più a Nord, così suddivise: una in Trentino Alto Adige, 25 in Lombardia, una in Veneto, 14 in Piemonte, tre in Liguria e una in Valle d’Aosta. Con riti di affiliazione, logiche da mala calabrese e reati satellite che è quasi più facile scovare a Nord che a Sud: «Ormai bisogna parlare di radicamento. Le mafie e, in modo particolare la ’ndrangheta, si sono infiltrate in molte regioni del Nord già negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, trovando terreno molto fertile». A sentire il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, che della ’ndrangheta è considerato uno dei massimi esperti, «in regioni come Lombardia, Emilia, Liguria, Val d’Aosta, Piemonte, Veneto e Trentino Alto Adige la ’ndrangheta ha trovato imprenditori e politici che hanno agito secondo logiche di convenienza. Come è successo al Sud, le mafie al Nord sono state colpevolmente sottovalutate e successivamente legittimate sul piano economico e politico». Ma c’è un dettaglio molto preoccupante, che sembra aver invertito il paradigma: «Oggi i boss del Nord sono molto potenti. Sono gli unici che hanno grandi liquidità e riescono a rilevare aziende in difficoltà».In Brianza, per esempio, è finito a processo Michele Oppedisano, 53 anni, presunto boss della cosca Pesce di Rosarno (Reggio Calabria) radicata in Brianza e già condannato nel 2010, nonché nipote di Domenico Oppedisano, considerato dagli investigatori come uno dei massimi esponenti della ’ndrangheta in Calabria. Stando alle indagini il clan aveva costituito varie società, tra cui Mcf e Colmet, con l’aiuto di un avvocato e di un commercialista, che servivano per regolarizzare sulla carta lavoratori stranieri ed emettere fatture false. Ma a Milano è in corso anche un maxi processo in cui la Procura antimafia ha chiesto condanne per complessivi 380 anni di reclusione per le 34 persone imputate e 20 anni di carcere per lo storico boss della ’ndrangheta in Lombardia Bartolomeo Iaconis. A don Bartolo si era rivolto perfino un ex consigliere comunale di Fino Mornasco per chiedere un posto di lavoro per la figlia. Il gruppo, stando alle ricostruzioni degli inquirenti, sarebbe riuscito a tenere in pugno la Spumador spa, azienda di bevande gasate finita nella morsa dei clan e per la quale, poi, è stata disposta l’amministrazione giudiziaria per infiltrazioni mafiose. Attraverso le intimidazioni due uomini della famiglia di ’ndrangheta avrebbero acquisito «il controllo e la gestione delle commesse di trasporto conto terzi di Spumador per il tramite di Sea trasporti», una società a loro riconducibile.Sono gli affari a spingere i boss verso il Nord Italia. Meno «eclatanti manifestazioni di violenza», più interessi negli affari a «basso rischio giudiziario», segnalano dalla Dia. Meno rogne e più piccioli (soldi), per dirla come i boss. Il presupposto resta il controllo del territorio. Negli ultimi sei mesi del 2021 sono stati effettuati sequestri per 165 milioni, confische per 108 milioni; 373 interdittive antimafia, 69.000 segnalazioni per operazioni sospette. Se da un lato l’allarme riguarda i grandi investimenti, come quelli previsti dal Pnrr, «occorre preservare dalle mire della criminalità di stampo mafioso anche appuntamenti importanti, come i Giochi Olimpici invernali Milano-Cortina del 2026», evidenziano dalla Dia. Anche da Torino il procuratore generale della Corte d’appello Francesco Saluzzo ha puntato la sua attenzione proprio «sull’arrivo dei fondi del Pnrr, che offre una possibilità di aggancio tra gruppi criminali e imprenditori». Secondo il magistrato «la disponibilità di tutto questo denaro è un amo irresistibile per chi è disposto a scendere a patti. Ora che si investirà massicciamente e che riprenderanno slancio i lavori pubblici, gli appalti con i subappalti e tutti i problemi di persone che propongono all’impresa tutta una serie di scorciatoie, tutto questo esercita un appeal nei confronti di molti imprenditori». E a Torino con la ’ndrangheta ci hanno a che fare da parecchio. Le prime infiltrazioni risalgono agli anni Cinquanta. «Ma rispetto al passato», evidenzia la Dia, «ora sembra esserci un’inversione di tendenza che la rende più subdola e la trasforma in una seria minaccia allo scenario socio-economico».Il rischio di infiltrazioni è elevato anche in Liguria. La Dia ricorda che «sono ancora in corso i lavori per la realizzazione di grandi opere pubbliche quali il Terzo valico e il nodo ferroviario di Genova oltre a quelli straordinari previsti dal Decreto Genova per il potenziamento del sistema portuale e aeroportuale». E anche qui la capacità dei sodalizi di dissimulare la propria azione avrebbe impedito una piena comprensione della gravità del fenomeno mafioso nel territorio regionale. In Veneto l’ultima inchiesta riguarda il clan Arena che, non solo per un gioco di parole, voleva mettere le mani sull’Arena di Verona. E da alcuni studi pubblicati dall’Università di Padova emerge che in Veneto lavorano 400 imprese di media e grossa dimensione che sono infiltrate dalle mafie. Mentre in Valle d’Aosta hanno scoperto che la ’ndrangheta era una realtà quando, un anno fa, il Comune di Saint-Pierre, 3.200 abitanti, è stato sciolto per infiltrazioni mafiose. Una storia molto simile a quella trentina. Dove le sottovalutazioni del fenomeno sono all’ordine del giorno. E hanno spinto l’ex presidente della commissione parlamentare antimafia Nicola Morra ad affermare che «in Trentino non c’era una presa di posizione netta» contro i clan. Da Fratelli d’Italia, però, in Provincia è stato presentato dall’ex consigliere provinciale Alessia Ambrosi (ora deputato) un question time sul pericolo infiltrazioni nel settore alberghiero: «Il numero di hotel in vendita o all’asta supera le cento unità, ben il 7% delle strutture alberghiere del Trentino. Queste strutture, in un periodo di difficoltà come quello che stiamo cercando di superare, rischiano di essere svendute e fanno gola a soggetti legati al mondo del malaffare». Ma si sono mossi anche i 5 stelle, chiedendo che il presidente della Provincia, in coordinamento con gli organi statali preposti, «provveda a istituire una commissione d’accesso per i Comuni di Albiano e Lona Lases, allo scopo di accertare eventuali infiltrazioni di tipo criminale e mafioso».
2025-09-14
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