2019-04-25
Falsa l’intercettazione contro Siri
Per Corriere e Repubblica i presunti complici del leghista dissero: «Ci è costato 30.000 euro». Ma nel fascicolo l'audio non c'è. Un tarocco, attribuito però alla Dia.Giuseppe Conte sulle dimissioni: «La politica può scegliere prima delle sentenze». Luigi Di Maio: «C'è mafia, garantismo non è paraculismo. Lasci». Matteo Salvini: «Si sciacqui la bocca chi ci accosta ai boss. Resta».Lo speciale contiene due articoli.Quando hanno letto la prima pagina del Corriere della sera di Venerdì santo i magistrati della Procura di Roma sono rimasti allibiti. Quel giorno, sotto l'occhiello rosso «le intercettazioni», campeggia il seguente virgolettato: «Ci è costato 30.000 euro». L'articolo riprende il titolo: «“Questa operazione ci è costata 30.000 euro" dice l'imprenditore Paolo Arata al figlio Francesco, riferendosi ai compensi destinati ad Armando Siri (sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti, ndr) per modificare i provvedimenti legislativi. Una cimice della Dia (Direzione investigativa antimafia, ndr) registra la conversazione». Siri pare inchiodato alla sua croce in maniera definitiva, tale è l'assertività della scrivente. La responsabile della cronaca giudiziaria del Corriere della sera, Fiorenza Sarzanini, non mostra tentennamenti: quelle parole incastrano il politico e il quotidiano di via Solferino le spara in prima, seguito da altre testate come Repubblica.L'articolo viene presentato come il compendio ragionato delle carte in mano alla cronista e contiene la chiosa della presunta registrazione: i 30.000 euro, secondo la giornalista, vanno riferiti «ai compensi “destinati a Siri per modificare i provvedimenti legislativi"». Non si capisce se il nuovo virgolettato sia uno stralcio di un documento o di una chiacchierata, ma in modo un po' capzioso viene ribadito che «una cimice “piazzata" dalla Dia registra la conversazione».Dopo la lettura, i magistrati di Roma, che insieme a quelli di Palermo hanno ordinato la perquisizione del sottosegretario, restano basiti e iniziano a cercare la conversazione che non ricordavano di aver letto. Ma, dopo aver scartabellato dentro al fascicolo e aver chiesto aiuto agli investigatori e ai colleghi siciliani, rimangono sconcertati per il risultato: l'audio non esiste. Avete letto bene: sul Corriere sarebbe stata pubblicata tra virgolette una battuta mai captata dagli investigatori. «Le intercettazioni sui giornali? Sono false. Quelle frasi non ci sono nel fascicolo», ci assicura un inquirente. Un'esperienza che in Procura avevano già vissuto con la prima inchiesta sul sindaco di Roma Virginia Raggi.«L'inizio dell'indagine è stata costellata da episodi del genere. Uscirono sui quotidiani messaggini che non erano mai stati scritti e in un mese la Procura fece cinque smentite». Non servì a nulla e così i cronisti continuano a dare in pasto all'opinione pubblica dialoghi farlocchi o quanto meno manipolati, mentre i magistrati hanno smesso persino di smentire. Per esempio nei giorni scorsi nessuno dal Palazzo di giustizia ha provato ad arginare l'ennesima campagna. «Stadio, Raggi ora è indagata per l'esposto di un architetto ex M5s» ha gongolato il 20 aprile La Repubblica. Peccato che la notizia si potesse scrivere alla stessa maniera circa dieci mesi prima, quando venne aperto il fascicolo. Da allora la Procura ha chiesto l'archiviazione per il sindaco, mentre il gip Costantino De Robbio ha recentemente ordinato un supplemento di indagini. Ma torniamo alle intercettazioni immaginarie. Quello che dà più fastidio agli inquirenti non è il senso delle frasi contenute tra i caporali, significato che, come nel caso di Siri, si può dedurre dai provvedimenti di perquisizione, ma è la decisione di trasformarlo nelle vive parole degli indagati: perché un conto è riportare le tesi dell'accusa, un altro è pubblicare frasi che non sono mai state pronunciate.A seccare ulteriormente i pm è anche il fatto che il virgolettato trasmette l'idea che chi dovrebbe custodire il segreto, l'abbia divulgato. Un sospetto grave.Del resto le notizie di giudiziaria sono spesso «politicamente sensibili» e possono avere anche delle ricadute sull'economia, per questo, in base al codice non scritto delle toghe, andrebbero pubblicate con particolare cautela. Figuriamoci se poi in edicola escono frasi inventate. Ma la Settimana santa ha regalato anche altre sorprese. Il giorno di Pasqua, per esempio, alcuni dei principali quotidiani si sono esibiti in altri titoli fantasiosi, già stigmatizzati dalla Verità due giorni fa in una «Guida per disinnescare i finti scoop dei giornaloni che si rivelano bufale». Domenica, il solito Corriere della sera, apriva così: «Fondi alla Lega nuovo fronte» e nel sommario si leggeva: «Il tesoriere Centemero rischia il processo». All'interno del servizio altre presunte chicche: «Ma nuovi guai giudiziari potrebbero presto coinvolgere il Carroccio. Perché la prossima settimana sarà chiuso il fascicolo sui finanziamenti alla politica del costruttore Luca Parnasi. E a rischiare il processo per finanziamento illecito è il tesoriere Giulio Centemero». La vicenda è arcinota e riguarda le indagini sui presunti finanziamenti illeciti alla fondazione Eyu riferibile al Pd (per questo nel fascicolo è indagato anche l'ex tesoriere democratico Francesco Bonifazi, accusato pure di false fatturazioni) e all'associazione Più voci, vicina al Carroccio e presieduta dallo stesso Centemero. Nelle scorse settimane, in occasione della richiesta di proroga delle indagini e della convocazione di Centemero per un interrogatorio, ne scrissero tutti i giornali. Per Pasqua il Corriere ha rispolverato l'inchiesta e ha anticipato la notizia della chiusura delle indagini, dando l'idea, si dispiacciono i magistrati, che fosse trapelata l'ennesima velina. «In realtà si è trattato di un'anticipazione del nulla» ironizzano dal Palazzo di giustizia. In effetti «la prossima settimana», cioè l'attuale, non succederà niente di nuovo. C'è chi scommette che le decisioni verranno prese tra giovedì 2 maggio, quando il procuratore Giuseppe Pignatone tornerà in sede, e mercoledì 8 maggio, dal momento che, il giorno successivo, Pignatone andrà ufficialmente in pensione e i suoi colleghi vorrebbero che firmasse anche lui un atto tanto delicato. Ma prima devono mettersi d'accordo sul da farsi in quattro: i due pm, Barbara Zuin e Luigia Spinelli, che questa settimana non sono in servizio, Pignatone e il procuratore aggiunto Paolo Ielo.In ogni caso, la volontà di chi indaga è quella di evitare comunicazioni «politicamente sensibili» e capaci di condizionare il voto a ridosso delle elezioni europee del 26 maggio. Quindi bisognerà chiudere prima della seconda metà del prossimo mese.Totodata a parte, il titolo pasquale del Corriere non è piaciuto in Procura. «La sensazione è che fosse un modo per spingere» il lavoro degli inquirenti, ammette uno di loro. «Ma quello di alcuni giornali non solo è stato uno scatto in avanti, è stato un salto nel burrone». La percezione dei magistrati è che dietro agli articoli ci siano «spinte e contro spinte». Ma perché le toghe non si sono ancora accordate in modo definitivo né sull'invio dell'avviso di chiusura indagini per il finanziamento illecito (l'alternativa è la richiesta di archiviazione), né sui tempi di chiusura? Semplice: uno dei possibili ultimi atti del procuratore Pignatone, se non l'ultimo, è quasi un rompicapo per giuristi e si gioca in punta di diritto. Le fondazioni e le associazioni possono essere considerate alla stregua di un partito? E il loro finanziamento può costituire un illecito? La risposta a questi quesiti orienterà la scelta finale. A prescindere dai titoli dei giornali.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/pm-choc-lintercettazione-utilizzata-contro-siri-non-esiste-nellinchiesta-2635465803.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="conte-prepara-il-giudizio-sul-politico-lo-guardero-negli-occhi-e-decidero" data-post-id="2635465803" data-published-at="1757427808" data-use-pagination="False"> Conte prepara il giudizio sul politico: «Lo guarderò negli occhi e deciderò» L'avvocato del popolo diventa il pubblico ministero del caso Siri, e il governo guidato da Giuseppe Conte traballa come non mai. Il braccio di ferro tra Lega e M5s sulla vicenda di Armando Siri, il sottosegretario ai Trasporti del Carroccio indagato per corruzione, rivela la strategia che ha in mente il M5s non solo per le imminenti europee, ma anche e soprattutto per eventuali politiche anticipate: accusare Matteo Salvini di aver fatto naufragare il governo «del cambiamento» pur di difendere un indagato, con una spruzzatina di veleno al sapore di mafia. La cronaca della giornata di ieri spazza via gli ultimi sospetti: tra Lega e M5s è guerra vera, e non tattica elettorale, con Salvini che difende Siri e la Lega, Luigi Di Maio che affonda i colpi, lo staff comunicazione del M5s che ordina il bombardamento a tappeto contro il Carroccio e il premier Conte che si accoda alla strategia pentastellata. «Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte», fanno sapere in mattinata da Palazzo Chigi, «sentirà telefonicamente il sottosegretario Armando Siri prima della partenza per la Cina. L'incontro tra Conte e Siri si terrà al rientro del premier in Italia». Considerato che Conte sarà in Cina da domani, 26 aprile, a domenica 28, la prossima settimana sarà quella decisiva. Il premier, però, qualcosa anticipa: «In questo momento», dice, «non sono né per le dimissioni né contro. Le ragioni dell'etica pubblica e della politica possono portare a decisioni senza aspettare i tempi della magistratura. Deciderò dopo averlo guardato negli occhi». Mentre immaginiamo lo sguardo magnetico di Conte che penetra nell'animo di Siri e poi decide se tenere in vita il governo, registriamo le successive esternazioni dell'inquilino di Palazzo Chigi, secondo il quale la posizione del M5s, che chiede le dimissioni del sottosegretario, è «legittimissima. La presunzione di innocenza è un principio sacrosanto ma in politica a volte si decide anche senza aspettare le sentenze, perché se si tratta di chi svolge una funzione pubblica, in politica conta anche l'etica pubblica, che impone una valutazione a caldo su quelle che sono le ipotesi accusatorie: confrontarsi, verificarle e», aggiunge Conte, «se del caso non aspettare una sentenza che passa in giudicato». «I 5 stelle», prosegue il premier, «hanno una particolare sensibilità sui temi della giustizia, una loro concezione, l'hanno anche dimostrato sulla propria pelle. Sulla posizione di De Vito io stesso ho dichiarato che pur nel rispetto del principio di innocenza mi è sembrata una decisione giusta». Sfortunato, Conte, il cui riferimento è al presidente del Consiglio comunale di Roma, Marcello De Vito del M5s, agli arresti per corruzione dallo scorso 20 marzo, che proprio ieri, attraverso una lettera, ha fatto sapere di non avere alcuna intenzione di dimettersi dalla carica. Matteo Salvini, da parte sua, non molla. Risponde con un secco «no» a chi gli chiede se Conte abbia chiesto le dimissioni di Siri, e aggiunge: «Ho piena fiducia nella magistratura e sono sicuro che faranno il loro lavoro bene e nel più breve tempo possibile. Non accostate mai il mio nome e quello della Lega alla mafia. Chi parla di Lega», azzanna Salvini, «deve sciacquarsi la bocca perché con la mafia non abbiamo nulla a che vedere. Io aspetto la magistratura. Chiunque accosti la Lega a parole come mafia, camorra, 'ndrangheta, fa qualcosa di sciocco. Siamo in un Paese civile dove non si è colpevoli o innocenti in base a un'occhiata. Né io né il premier», aggiunge il leader leghista, «facciamo il giudice, l'avvocato o il magistrato». Una bella staffilata verso l'ex avvocato del popolo. Le provocazioni del M5s sono pesantissime: Salvini, immaginiamo, starà faticando non poco a tenere tranquilli i suoi. In serata, a buttare benzina sul fuoco, arriva un durissimo post su Facebook del capo politico del M5s, il vicepremier Luigi Di Maio: «Sulla legalità passi indietro non ne faremo mai. C'è una gran bella differenza», argomenta Di Maio, «tra garantismo e, diciamola così, paraculismo. Per noi se una persona viene arrestata o indagata per corruzione deve lasciare. Se non lascia, lo accompagniamo noi fuori dalla porta. Senza aspettare i magistrati. Se pensate che il Movimento debba cambiare approccio», aggiunge il vicepremier, «se pensate che di fronte a un'inchiesta dove ci sono di mezzo dei mafiosi la cosa giusta da fare sia attendere e meditare, andate altrove. Aria». Aria di crisi di governo, quella che tira. Ma in politica, si sa, non c'è nulla di scontato.
(Ansa)
Il ministro Guido Crosetto in occasione dell'82°anniversario della difesa di Roma: «A me interessa che gli aiuti a Gaza possano arrivare, le medicine possano arrivare, la vita normale possa riprendere». Nonostante tutto, Crosetto ha ben chiaro come le due guerre più grandi - quella Ucraina e quella a Gaza - possano cessare rapidamente. «Io penso che la decisione di terminare i due conflitti sia nelle mani di due uomini: Putin e Netanyahu».