2025-11-01
Pm accusa: i giudici vogliono governare
Il magistrato penale Giuseppe Bianco (Imagoeconomica)
Alcune correnti delle toghe non sono solo sindacati di categoria, ma si muovono da partiti intervenendo su ogni cosa, da Sanremo a Gaza, facendo scelte di campo. Il problema è che poi usano il loro peso per guidare organi e condizionare tutti gli altri magistrati.Ora che la riforma Nordio è passata, c’è grande polemica ed è meglio stemperare un po’ le tensioni, magari parlando di Sanremo. Perché - ci si creda o no - Sanremo è una tappa cruciale nell’analisi critica del correntismo: nell’anno del Signore 2020 qualcuno ricorderà che a presentare il festival era Amadeus. Circondato da bellissime fanciulle, il presentatore ebbe l’ardire di fare ciò che in altri tempi sarebbe stato solo un atto di galanteria o al limite una gaffe: si mise a lodare un po’ maldestramente la bellezza di una valletta. Non l’avesse mai fatto: con riflesso pavloviano una deputata si erse a vindice delle femmine offese e il povero Amadeus fu accusato di mille cose.Il fatto è però che - con riflesso altrettanto pavloviano - anche una corrente di magistrati, una di quelle più militanti, rispose al grido di dolore con un comunicato ufficiale dal titolo ansiogeno e un po’ faticato: «Promuovere il rispetto della dignità delle donne è un dovere per chi conduce un evento come il Festival di Sanremo. Chi svilisce le donne rende fertile il terreno su cui matura la violenza di genere» (18 gennaio 2020).Cioè: Amadeus padre morale di tutti gli stupratori. Roba da ergastolo. Altri magistrati si guardarono di sottecchi: cosa c’entra la magistratura con Sanremo Dio solo lo sa.Ma il punto è proprio questo: Dio lo sapeva perfettamente, e sapeva che quell’episodio, a prima vista insignificante, era solo l’ennesimo campanello di allarme di un processo storico ancora in corso, in cui alcune correnti giudiziarie si muovono ormai non secondo una logica onestamente sindacale, ma come veri e propri partiti politici che - come tutti i partiti - si fanno portatori di un progetto globale di governo. Ed è in nome di questo progetto globale che questi partiti politico-giudiziari si sentono legittimati a sconfinare in materie del tutto estranee ai temi istituzionali della funzione.Possono occuparsi di Sanremo, della fame nel mondo, ma anche del conflitto arabo-israeliano. Per esempio: se il 3 ottobre scorso alcuni partiti giudiziari hanno aderito ufficialmente a uno sciopero generale «per Gaza» indetto dalla Cgil e da altre sigle sindacali, altri magistrati - sempre delle correnti più militanti - hanno raccolto le firme a favore di una iniziativa della neonata associazione «Giuristi per Gaza», secondo cui in tutti i tribunali del Regno, prima di ogni udienza, i giudici dovrebbero leggere ogni giorno un comunicato che solleciti il rispetto delle pronunce della Corte penale internazionale, con chiara allusione al mandato d’arresto emesso dalla camera preliminare della Corte a carico del premier israeliano, Benjamin Netanyahu.Secondo questo neo correntismo lottatorio il fatto che i giudici - non in quanto cittadini, ma proprio in quanto giudici - esprimano una aperta scelta di campo in questioni di politica internazionale dove sono in corso difficilissimi negoziati non rappresenta affatto una uscita dal seminato, mentre diventa irrilevante il fatto che dopo un proclama del genere un imputato israeliano potrebbe anche sentirsi a disagio e poco garantito davanti a quel giudice che lo avesse letto.Pazienza. Ma è davvero così normale utilizzare le aule di tribunale come un pulpito da cui lanciare proclami di politica internazionale? Se questa è libertà di parola, ci sarebbe - banalmente parlando - tempo e luogo anche per la libertà di parola.Altro tema connesso: restando in ambito di Corte penale internazionale, due avvocati francesi hanno deciso di denunciare ben 120 politici di tutti i governi europei presenti e passati per crimini contro l’umanità a danno dei clandestini. La tesi di base - par di capire - è che ogni tentativo di regolamentare i flussi migratori sarebbe niente di meno che un delitto contro l’umanità, e ciò perché quello di superare i confini - legalmente o no - sarebbe addirittura un diritto umano.Sicché si profila una specie di arci-super-maxiprocesso contro politici di qualunque partito e di qualunque nazione, messi alla sbarra della Cpi come mafiosi. E non basta: ci sarebbe poi un altro super processo all’orizzonte: quello a carico di tutto il governo italiano (premier in testa), denunciato anch’esso alla Cpi da altre associazioni per presunta complicità nei fatti di Gaza. Insomma: è notte fonda. Ma proviamo a leggere le stelle.1Prima riflessione: in Italia sono nati veri e propri partiti giudiziari con progetti universalistici che contendono il posto a quelli tradizionali. A differenza degli altri, che hanno l’investitura elettiva di milioni di famiglie, questi hanno una investitura circoscritta al piccolo ambito di categoria (qualche migliaio di voti su di un bacino elettorale di non più di 10.000 anime). Ma, a differenza degli altri, sono partiti che - attraverso il sistema dell’autogoverno di cui hanno il perfetto dominio correntizio - possono anche arrivare a influenzare indirettamente la stessa giurisdizione. A differenza ancora degli altri, non hanno alcuna responsabilità politica. Marmificati come sono nell’amministrazione, che l’opinione pubblica sia d’accordo o no con le loro aspirazioni ecumeniche è per loro un dato del tutto irrilevante.2Seconda riflessione: il fenomeno dei partiti giudiziari italiani si muove all’interno di un globale movimento ipergiurisdizionalista che pretende non di affiancare in termini equilibrati la giurisdizione alla politica elettiva, ma di imporre l’egemonia assoluta della prima sulla seconda. Questa ideologia pangiudiziaria si basa su due presupposti di fondo, che peraltro sono esattamente le pregiudiziali un po’ qualunquiste del globalismo: il primo assioma è che le classi politiche elettive sarebbero per loro natura inette e corrotte; il secondo è che gli Stati nazionali sarebbero intimamente portati alla guerra.Per ovviare a questi deficit presunti, la soluzione sarebbe quella di imbrigliare tutto lo scibile in un circuito processuale e dare l’ultima parola al tecnicismo giudiziario, perfino sui grandi rebus di politica internazionale, dove forse - più che semplici giureconsulti - servirebbero la finezza e la pazienza tessitrice di un Metternich o di un Cavour. Il problema è che questa logica, nata con la generosa intenzione di ridurre le tensioni del mondo, si contorce e si ritorce contro sé stessa, perché incarcerando la politica elettiva in una scatoletta processuale al di là di ogni ragionevole punto di equilibrio, le tensioni non le diminuisce ma le aumenta, perché impedisce alla politica di svolgere la sua funzione naturale, che è appunto quella di regolare il conflitto sociale. Ed è esattamente ciò che sta succedendo.Insomma, un cortocircuito. Alla fine questa dinamica processuale totalizzante - al di là delle generose velleità dei suoi ambasciatori nostrani o internazionali - rischia solo di essere un tremendo buco nero di Calcutta, dove la politica, la diplomazia e la ragione umana vanno a morte per asfissia. Quanto all’Italia, il correntismo giudiziario di oggi, sempre più monopolio di alcuni veri e propri gruppi-partito, appare completamente impregnato di questa aspirazione universalistica e sempre più calato nella polemica politica mondana, e finisce con il proporre - senza che si renda conto dell’abnormità - la figura del giudice addirittura come guida politica e morale del Paese. Ma siccome il sistema associativo opera ormai su base oligarchica, ecco che alla fin fine il modello proposto non è nemmeno quello dei 10.000 magistrati, ma solo quello dei 50 dirigenti di vertice che controllano il sistema complessivo.Insomma: anche no, grazie. Almeno su Sanremo, lasciate liberi di decidere 60 milioni di Italiani. E magari - se possibile - anche i 10.000 magistrati.
Marcello Degni. Nel riquadro, Valeria Franchi (Imagoeconomica)
Giuliano Pisapia, Goffredo Bettini, Emma Bonino e Anna Paola Concia (Ansa)
L’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo Carlo Messina (Ansa)