
Ascoltato ieri alla Camera Devon Archer, implicato nelle società del rampollo: «Joe e Hunter parlarono 20 volte degli affari all’estero». Intanto la Procura ripesca, con tempistica sospetta, una vecchia condanna dell’uomo.Joe Biden comincia ad avere paura. A dimostrarlo sta il fatto che il suo Dipartimento di Giustizia sembra aver provato a intimidire un testimone per lui potenzialmente scomodo: un testimone la cui deposizione potrebbe costare all’inquilino della Casa Bianca addirittura un impeachment. Ieri è stato audito dalla commissione Sorveglianza della Camera dei rappresentanti Devon Archer: ex amico ed ex socio del figlio del presidente americano, Hunter, che sedette con lui nel board della controversa azienda ucraina Burisma e che, sempre insieme a lui, fondò Rosemont Seneca. Una compagnia, quest’ultima, che, nel 2013, inaugurò a sua volta una joint venture con la società di investimenti cinese Bohai Capital. Iniziata nel pomeriggio italiano di ieri, la testimonianza ha avuto luogo a porte chiuse e, quando La Verità è andata in stampa, non era ancora terminata. Tuttavia, qualcosa iniziava già a trapelare. Il deputato repubblicano Jim Jordan ha definito l’audizione «molto produttiva», mentre la collega Marjorie Taylor Greene ha raccontato al Daily Mail che, secondo Archer, «Hunter Biden e Joe Biden hanno parlato più di 20 volte dei suoi affari». Secondo la testata, si tratterebbe degli affari internazionali del figlio del presidente. Già il 23 luglio, il New York Post aveva anticipato che Archer era pronto a rivelare che Hunter mise in contatto il padre, ai tempi in cui era vicepresidente degli Usa, con vari suoi soci in almeno due dozzine di occasioni. Se confermate, queste rivelazioni si rivelerebbero assai imbarazzanti per Joe Biden. Era infatti il 21 settembre 2019 quando, da candidato alla nomination presidenziale dem, disse: «Non ho mai parlato con mio figlio dei suoi rapporti d'affari all'estero». Ebbene, sabato scorso la Procura federale del distretto meridionale di New York ha chiesto al giudice distrettuale, Ronnie Abrams, di fissare una data affinché Archer possa presentarsi in prigione. Quest’ultimo è infatti stato condannato da una giuria nel 2018 con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata a frodare una tribù di nativi americani (una questione, precisiamo, in cui Hunter non è coinvolto). Ne scaturì, nel febbraio 2022, una sentenza a un anno di carcere, la cui esecuzione - secondo Politico - è stata tuttavia ripetutamente rinviata a causa di vari ricorsi. Ora, la stranezza non è che la procura abbia chiesto di fissare una data per il carcere, ma che tale mossa sia avvenuta a 48 ore dalla testimonianza parlamentare di Archer. Va detto che, da un punto di vista squisitamente tecnico, la richiesta della Procura non avrebbe probabilmente compromesso la possibilità del socio di Hunter di deporre alla Camera. Domenica, la stessa procura si è sentita in dovere di puntualizzare di non voler interferire nella deposizione e anche l’avvocato di Archer ha teso a minimizzare quanto accaduto. Resta però il fondato sospetto che si sia trattato di una forma di pressione, se non addirittura di intimidazione. Sono del resto settimane che la commissione Sorveglianza ha intimato ad Archer di testimoniare e quest’ultimo ha fatto più volte slittare la data dell’audizione. Inoltre, nei giorni immediatamente precedenti alla deposizione di ieri, l’ex socio di Hunter si era nascosto, facendo perdere le sue tracce: il Daily Mail aveva in particolare riportato che avrebbe ricevuto non meglio precisate «minacce». Come che sia, sospetti di intimidazione da parte della Procura di New York erano stati ventilati domenica anche dallo Speaker della Camera, Kevin McCarthy. «Un testimone chiave dello scandalo di corruzione dei Biden ha confermato che collaborerà con la commissione Sorveglianza della Camera, nonostante l’istanza del Dipartimento di Giustizia del fine settimana», aveva twittato, per poi proseguire: «Chiunque cerchi di ostacolare la supervisione del Congresso sarà ritenuto responsabile. Che cosa sta cercando di nascondere l’amministrazione Biden?». Dall’altra parte, secondo il New York Post, non è escludibile che la richiesta di sabato puntasse a screditare Archer come testimone dell’audizione. D’altronde, se non avesse realmente voluto interferire, per quale ragione la Procura avrebbe emesso quella richiesta al giudice appena 48 ore prima della deposizione (tra l’altro in pieno weekend)? Non poteva semplicemente attendere tre o quattro giorni? Non sarà che il Dipartimento di Giustizia teme la testimonianza di Archer perché i deputati repubblicani potrebbero usarla come base per un impeachment contro l’inquilino della Casa Bianca? Vale a tal proposito la pena sottolineare che il procuratore federale di New York, Damian Williams, è stato nominato da Biden ad agosto 2021. Williams ha anche lavorato, tra il 2007 e il 2008, come impiegato legale per l’attuale procuratore generale, Merrick Garland, che all’epoca era giudice d’appello. Senza trascurare che Williams ha in passato ricevuto il sostegno della Paul & Daisy Soros Fellowship for New Americans: iniziativa del defunto fratello maggiore di George Soros, Paul. A tutto questo vanno aggiunti i comportamenti non esattamente cristallini tenuti dal Dipartimento di Giustizia negli ultimi tempi. Recentemente due informatori dell’Agenzia delle entrate americana hanno denunciato sue pesanti interferenze nell’indagine penale sui reati fiscali di Hunter Biden. Senza trascurare il report del procuratore speciale, John Durham, che ha evidenziato le storture commesse dall’Fbi contro Donald Trump nel cosiddetto caso Russiagate. Ricordiamo infine che Hunter è attualmente sotto indagine penale per sospetta violazione della legge che impone ai lobbisti, operanti per conto di entità straniere, di registrarsi. Senza trascurare il documento dell’Fbi, secondo cui Joe e Hunter avrebbero ricevuto cinque milioni di dollari a testa dal fondatore di Burisma Mykola Zlochevsky in cambio di pressioni per far silurare l’allora procuratore generale ucraino, Viktor Shokin. L’eventualità di un impeachment contro il presidente americano, insomma, sembra farsi sempre più concreta.
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