2020-05-22
Più di 6 miliardi a Fca non sono la soluzione: le auto non si vendono
John Elkann (Getty images)
Il prestito all'ex Fiat serve all'indotto ma non a far riprendere il settore. Le associazioni: «Il decreto incentiva solo l'elettrico».Fca fa bene a chiedere un prestito da 6,3 miliardi da spendere nelle attività italiane, ma senza incentivi che facciano ripartire il mercato dell'auto, il settore resterà a lungo al palo. «È assolutamente legittimo che Fca, un grande gruppo industriale che in Italia impiega oggi circa 60.000 lavoratori in tanti stabilimenti, a cui va aggiunto il settore dell'indotto davvero importante per l'economia del Paese, in un momento così difficile per il mercato dell'auto, abbia chiesto la garanzia dello Stato per accedere a un ingente prestito finanziario», ha sottolineato la segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan. «La Cisl ritiene che per Fca e per qualsiasi impresa che chieda un prestito finanziario con la garanzia dello Stato e quindi dei soldi della comunità, occorra che ci sia in primo luogo l'impegno al mantenimento dei livelli occupazionali negli stabilimenti italiani». Ieri anche altri sindacati si sono mossi sul tema del prestito chiesto dal Lingotto. La Fabi, ad esempio, il sindacato dei bancari, ha fatto notare, attraverso le parole del segretario, Lando Maria Sileoni, che «l'erogazione di finanziamenti a Fca Italy è importante perché servono per il territorio nazionale ed impegnano l'azienda a non licenziare. Ma personalmente ritengo che la distribuzione dei dividendi agli azionisti, in questo momento di difficoltà sia inopportuna. Molti gruppi bancari, italiani ed europei, hanno sospeso i dividendi. Credo che i manager di Fca avrebbero dovuto astenersi e lo Stato tenerne conto».Sempre su Fca, inoltre, la Cisl vuole sapere che ne «è stato dell'impegno di Fca di introdurre strumenti di democrazia economica e di partecipazione dei lavoratori, come avevamo colto nelle dichiarazioni della sua dirigenza alcuni mesi fa. Lo Stato si faccia dunque promotore di una legge di sostegno alla partecipazione dei lavoratori negli organismi di indirizzo e controllo degli investimenti». Il problema è che far ripartire le linee produttive senza che nessuno compri nuove auto sarebbe solo una perdita di tempo e soldi. Le preoccupazioni sul difficile stato di salute del mondo delle quattro ruote arrivano da Anfia, Federauto e Unrae. «È incomprensibile come in Italia non si faccia nulla per salvaguardare la strategicità e la competitività di un comparto come l'automotive e si preferisca andare incontro a un rischio di deindustrializzazione», spiegano in una nota.Secondo le tre istituzioni di settore, serve «un'importante campagna di incentivi per la rottamazione di auto e veicoli commerciali vetusti e l'acquisto di autoveicoli di ultima generazione, e per lo sviluppo infrastrutturale, nonché la revisione della fiscalità sulle autovetture per un adeguamento a livello europeo». In parole povere, insomma, il problema è che al momento nessuno o quasi pensa di comprare una nuova automobile. Anfia, Federauto e Unrae vorrebbero quindi che il governo si ispirasse a quanto in tema sta già avvenendo in altri Paesi europei e proponesse nuovi incentivi per far ripartire le vendite. La situazione è tanto difficile, spiegano le associazioni, che bisogna rilanciare tutto il settore e non incentivare solo l'acquisto di auto a basse emissioni inquinanti come i veicoli elettrici. In Francia e Germania, si spiega in una nota, «stanno mettendo al centro piani di supporto, così da rilanciare i consumi e la transizione verso un modello di mobilità più sostenibile. Abbiamo accolto con sorpresa, delusione e, soprattutto, grande preoccupazione», spiegano Anfia, Federauto e Unrae, «la scelta del governo, nel Decreto Rilancio, di limitarsi al rifinanziamento del fondo per l'acquisto di autoveicoli a basse emissioni. Si tratta di un intervento poco significativo per un'effettiva ripartenza del settore automotive nel nostro Paese. Il settore automotive italiano è certamente impegnato a incoraggiare il processo di elettrificazione della mobilità e lo testimoniano gli ingenti investimenti che la filiera italiana ed europea sta compiendo per affrontare questa delicata transizione, di per sé sfidante in termini di risultati di mercato, raggiungimento degli obiettivi ambientali europei e tenuta dell'occupazione. Purtroppo, le condizioni non sono più quelle di qualche tempo fa». Il punto è che il problema non riguarda solo l'industria automobilistica. Senza le vendite di nuove automobili, lo Stato incassa meno gettito Iva e a rimetterci sarebbero tutti gli italiani. In assenza di obiettivi mirati, Anfia, Federauto e Unrae prevedono «una chiusura del mercato auto 2020 con 500.000/600.000 unità in meno rispetto all'anno precedente» e questo «determinerà un mancato gettito Iva di circa 2,5 miliardi di euro. Il rallentamento delle vendite, che il meccanismo in vigore di bonus-malus non è sufficiente a contrastare, sarà responsabile di un mancato rinnovo del parco circolante italiano, che, in riferimento alle auto, a fine 2019, per il 32,5% è ancora costituito da auto ante-Euro 4 e, dato ancor più preoccupante, per il 57% da vetture con oltre dieci anni di anzianità».