2025-02-04
Più che «atto dovuto», un «atto incompleto»
Caso Almasri: il procuratore di Roma ha sì trasmesso la denuncia di Luigi Li Gotti al Tribunale dei ministri come prevede la legge, ma senza chiederne al tempo stesso l’archiviazione (come invece avrebbe dovuto). Così una scelta politica lecita s’è trasformata in condotta criminosa.Nella nostra felice Repubblica la trasformazione di questioni politiche in questioni giudiziarie, a seguito dell’intervento spontaneo o indotto della magistratura, è divenuta quasi la regola. Ennesima conferma se ne è avuta nella ormai ben nota vicenda del capo della polizia libica Njeem Osama Almasri, essendosi in essa inserita la denuncia presentata da Luigi Li Gotti nei confronti del presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano per i presunti reati di favoreggiamento personale e peculato. Il procuratore della Repubblica di Roma, Franco Lo Voi, al quale la denuncia era stata presentata, l’ha subito trasmessa al collegio di magistrati (comunemente e impropriamente definito «tribunale dei ministri») che, in base alla normativa speciale contenuta nella legge costituzionale n. 1/1989, ha la esclusiva competenza, nel caso di reati attribuiti al presidente del Consiglio o a taluno dei ministri, a condurre le indagini, al cui esito, sentito il pubblico ministero, può disporre l’archiviazione degli atti ovvero, in alternativa, la loro trasmissione allo stesso pubblico ministero perché, a sua volta, li trasmetta al presidente del ramo del Parlamento competente a decidere circa il rilascio o meno dell’autorizzazione a procedere. Ne è nata, com’è noto, una polemica tra quanti sostengono che quello posto in essere da Lo Voi altro non sarebbe se non un «atto dovuto» privo, come tale, di qualsivoglia contenuto valutativo, per cui non gli si potrebbe attribuire alcun significato più o meno latamente «politico», e quanti sostengono il contrario, sull’assunto che si sarebbe trattato di un «atto voluto», espressione di un ormai sistematico atteggiamento di contrapposizione assunto da una parte almeno della magistratura nei confronti dell’attuale governo. Per avere un’idea di quale possa essere il fondamento giuridico dell’una o dell’altra tesi, occorre partire dall’esame dell’art. 6, secondo comma, della citata legge costituzionale n. 1/1989. Esso dispone che il procuratore della Repubblica, una volta ricevuta la notizia di un reato per il quale è competente il «Tribunale dei ministri», deve soltanto trasmettere a quest’ultimo, entro il termine di 15 giorni, i relativi atti, corredandoli con le proprie richieste e dandone immediata comunicazione agli interessati ma senza compiere, nel frattempo, alcuna indagine. In base a tale disciplina, la trasmissione degli atti al «Tribunale dei ministri» può, in effetti, considerarsi in sé e per sé come «atto dovuto» da parte del pubblico ministero. Deve infatti escludersi che quest’ultimo abbia, in alternativa, la possibilità di chiedere, secondo le norme ordinarie, al giudice per le indagini preliminari l’archiviazione, potendo questa essere disposta solo dal suddetto organo collegiale. Meno che mai potrebbe ammettersi - quali che siano o possano essere stati eventuali abusi commessi in altre occasioni - che il pubblico ministero abbia il potere di archiviare direttamente una qualsivoglia notizia di reato, solo sulla base della sua ritenuta, manifesta infondatezza. La trasmissione degli atti, però, come si è visto, dev’essere accompagnata, in base al testuale tenore della norma, dalle richieste del pubblico ministero al «Tribunale dei ministri»; adempimento, questo, da considerarsi anch’esso, quindi, come «atto dovuto» ma che, invece, nel caso in questione, a quanto è dato sapere, è totalmente mancato. Ed è proprio tale mancanza quella che sarebbe da ritenere, in realtà, motivo di addebito al dott. Lo Voi. La denuncia presentata da Li Gotti era, infatti, tale da rivelarsi, senza necessità che fossero effettuate indagini di sorta (tanto che neppure di queste risulta essere stata fatta specifica richiesta) palesemente e totalmente priva di fondamento giuridico. Ciò essenzialmente in quanto la condotta addebitata ai soggetti denunciati trovava la sua piena legittimazione in una ben precisa norma di legge: quella, cioè, costituita dall’art. 697, comma 1 bis, del codice di procedura penale, ai sensi del quale, in forza del richiamo contenuto nell’art. 3 della legge n. 327/2012, attuativa degli obblighi derivanti dall’adesione dell’Italia al trattato istitutivo della Corte penale internazionale, il ministro della Giustizia poteva non dare corso alla richiesta di arresto e consegna dell’Almasri alla Corte penale internazionale se ritenuta - come evidentemente ritenuta, pur in assenza di formale e, peraltro, non necessaria esplicitazione - contraria a «interessi essenziali dello Stato». Valutazione, questa, di natura esclusivamente politica e come tale sottratta a ogni possibilità di sindacato giurisdizionale, potendo di essa essere chiamato il ministro a rispondere solo davanti al Parlamento. Ed è di tutta evidenza che l’espulsione immediata dell’Almasri, in quanto motivata anch’essa da un preminente interesse pubblico, ben poteva essere eseguita mediante uso di un aereo di Stato. Entrambi i reati ipotizzati dal denunciante erano, quindi, chiaramente insussistenti e nessun altro reato era, d’altra parte, ravvisabile. In una tale situazione, quindi, il pubblico ministero avrebbe dovuto, con la trasmissione della denuncia in questione all’organo collegiale, chiedere anche la pronuncia di una immediata archiviazione dei relativi atti, salva, naturalmente, la possibilità, per lo stesso organo collegiale, qualora non fosse stato d’accordo, di rifiutarla e di disporre, conseguentemente, le indagini da esso ritenute necessarie. E ciò tanto più in quanto è la stessa legge costituzionale n. 1/1989, a stabilire all’art. 9 che, ove sia stata richiesta, alla Camera o al Senato, per un reato «ministeriale», l’autorizzazione a procedere, essa possa essere negata qualora si ritenga che «l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o per il perseguimento di un preminente interesse pubblico». L’aver quindi trasmesso - quale che ne sia stata la ragione - la denuncia di Li Gotti al «Tribunale dei ministri» senza chiederne al tempo stesso l’archiviazione, è stato causa, specie all’estero, di un ingiusto danno arrecato all’immagine del governo italiano, essendosi fatta apparire come condotta addirittura criminosa quella che era stata soltanto una sua, pur discutibile ma comunque legittima, scelta politica. Il che, per il bene del Paese, si poteva e si doveva evitare.Pietro Dubolino, Presidente di sezione emerito della Corte di Cassazione
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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