2023-12-29
Le piste ciclabili di Sala sono un pericolo
L’inchiesta sulla morte di Cristina Scozia, travolta da una betoniera il 20 aprile a Milano, sfiora anche l’assessore Marco Granelli. Al di là delle responsabilità penali, crescono le critiche su una viabilità devastata per ideologia. Alla faccia della sicurezza.Prosegue l’inchiesta relativa all’incidente stradale che, lo scorso 20 aprile, ha causato la morte di Cristina Scozia, trentanovenne madre di una bambina di sei anni, travolta da una betoniera a Milano mentre pedalava sulla pista ciclabile di via Francesco Sforza, all’angolo con corso di Porta Vittoria. La Procura ha aperto un fascicolo per indagare le condizioni di sicurezza della suddetta ciclabile. L’assessore alla Sicurezza di Milano, Marco Granelli (ai tempi detentore delle deleghe alla Mobilità) e altri due dirigenti comunali, pur non indagati, hanno ricevuto dalla polizia locale la notifica di una richiesta volta ad acquisire identificazione ed elezione di domicilio. In base alle prime ricostruzioni, la betoniera non si sarebbe accorta della bici che presumibilmente si trovava alla sua destra, nell’angolo cieco, sulla corsia ciclabile tracciata sull’asfalto, quando ha deciso di svoltare verso corso di Porta Vittoria. La dinamica verrà chiarita meglio dalla prima delle due perizie richieste dal pm Mauro Clerici, ma l’impatto è stato talmente violento che la donna è morta sul colpo. La seconda perizia, invece, riguarda proprio la conformità della pista ciclabile. Il dramma si inserisce all’interno di un anno tragico, a Milano, per quanto riguarda gli incidenti mortali che hanno coinvolto biciclette, al punto che a fine agosto il sindaco Beppe Sala aveva chiesto un faccia a faccia col ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, in seguito alla morte di un’altra ciclista, la ventottenne Francesca Quaglia, travolta e uccisa da un camion in via Caldara. «Noi tutti abbiamo visto con largo anticipo quanto le bici si sarebbero diffuse nelle città», aveva dichiarato in quell’occasione il primo cittadino milanese. «All’inizio quando si parlava di piste ciclabili c’erano persone scettiche, ma in realtà si capiva che la ciclabilità sarebbe diventata importante».Il tema delle ciclabili, però, ha destato nel tempo non poche polemiche. Già in passato ci è capitato di commentare, su queste pagine, la bizzarria dell’incrocio che interessa la ciclabile di corso Monforte quando incontra via Damiano e via Visconti di Modrone. Un tetris di attraversamenti di difficile interpretazione, che non trasmette proprio un’idea di sicurezza. O ancora le piste ciclabili costruite lungo corso Buenos Aires, una delle principali vie d’accesso al centro della città passando da piazzale Loreto. Anche in quel caso, i percorsi per le bici erano stati semplicemente disegnati sull’asfalto, producendo contemporaneamente disagio agli automobilisti, che si sono ritrovati a guidare su carreggiate ristrette in una strada già di per sé molto battuta, e ai ciclisti, privi di un divisorio che li proteggesse dall’anarchia del traffico meneghino. Infatti, durante la scorsa estate il Comune è dovuto ricorrere ai ripari, costruendo opportuni cordoli per separare le due corsie. «Questo episodio dovrebbe far aprire un’indagine molto più grande, estesa a tutte le piste ciclabili realizzate negli ultimi anni dal Comune», ha affermato Alessandro Verri, capogruppo della Lega a Palazzo Marino, nel commentare la notifica della Procura. «Da tempo denunciamo la pericolosità delle corsie ciclabili, per ciclisti e utenti della strada». «Nel 2021 ho presentato un esposto in procura per la pista ciclabile di corso Buenos Aires», ha dichiarato invece Riccardo De Corato, deputato di Fratelli d’Italia ed ex vicesindaco di Milano: «Gran parte delle piste ciclabili in città è stata fatta male e con superficialità. Un altro cattivo esempio è quella di Buonarroti - Monte Rosa, con continue interruzioni e senza alcuna protezione. Non basta un po’ di vernice a terra, bianca e gialla, per definirla pista ciclabile. È necessario che tutte le ciclabili siano dotate di cordoli alti, in modo tale che le persone che le percorrono in bicicletta appunto, siano protette da auto e soprattutto camion».Come già sostenuto, le ciclabili in sé non sono un problema, anzi, ben vengano nel momento cui sono pensate con realismo, sulla base delle esigenze di tutti, e contribuiscono a collegare i diversi punti della città. Diventano un problema quando, invece che dall’osservazione delle condizioni reali, la loro costruzione è guidata dall’ideologia, come se fossimo di fronte a una traiettoria inevitabile. Si tratta invece di scelte politiche, più o meno giuste a seconda delle situazioni e dei punti di vista, che nulla c’entrano con la salvezza del pianeta. Adesso sarà compito della magistratura indagare se le responsabilità dell’incidente in questione vadano imputate interamente all’autista della betoniera o se, invece, ci siano stati degli errori nella progettazione delle piste ciclabili. Sotto indagine sono, in particolare, tutte quelle ciclabili (come quelle menzionate) che la giunta di Beppe Sala ha fatto costruire, durante il Covid, semplicemente disegnandole sull’asfalto. Iniziativa probabilmente nata - a proposito di scelte politiche - per via dell’esplosione dei monopattini elettrici che si è registrata grazie al bonus del governo giallorosso. Ma al di là delle responsabilità, di cui si occuperà la magistratura, la priorità ora è mettere in sicurezza le strade e invertire l’approccio ideologico alla mobilità. Ciclabili sì, ma solo quando la viabilità dei nostri centri storici od opportuni (e ragionevoli) interventi strutturali lo consentono. Altrimenti, meglio lasciar perdere.
Alberto Stefani (Imagoeconomica)
(Arma dei Carabinieri)
All'alba di oggi i Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Chieti, con il supporto operativo dei militari dei Comandi Provinciali di Pescara, L’Aquila e Teramo, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia de L’Aquila, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di un quarantacinquenne bengalese ed hanno notificato un avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti di 19 persone, tutte gravemente indiziate dei delitti di associazione per delinquere finalizzata a commettere una serie indeterminata di reati in materia di immigrazione clandestina, tentata estorsione e rapina.
I provvedimenti giudiziari sono stati emessi sulla base delle risultanze della complessa attività investigativa condotta dai militari del NIL di Chieti che, sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia, hanno fatto luce su un sodalizio criminale operante fin dal 2022 a Pescara e in altre località abruzzesi, con proiezioni in Puglia e Campania che, utilizzando in maniera fraudolenta il Decreto flussi, sono riusciti a far entrare in Italia diverse centinaia di cittadini extracomunitari provenienti prevalentemente dal Bangladesh, confezionando false proposte di lavoro per ottenere il visto d’ingresso in Italia ovvero falsificando gli stessi visti. L’associazione, oggi disarticolata, era strutturata su più livelli e si avvaleva di imprenditori compiacenti, disponibili a predisporre contratti di lavoro fittizi o società create in vista dei “click day” oltre che di di professionisti che curavano la documentazione necessaria per far risultare regolari le richieste di ingresso tramite i decreti flussi. Si servivano di intermediari, anche operanti in Bangladesh, incaricati di reclutare cittadini stranieri e di organizzarne l’arrivo in Italia, spesso dietro pagamento e con sistemazioni di fortuna.
I profitti illeciti derivanti dalla gestione delle pratiche migratorie sono stimati in oltre 3 milioni di euro, considerando che ciascuno degli stranieri fatti entrare irregolarmente in Italia versava somme consistenti. Non a caso alcuni indagati definivano il sistema una vera e propria «miniera».
Nel corso delle indagini nel luglio 2024, i Carabinieri del NIL di Chieti hanno eseguito un intervento a Pescara sorprendendo due imprenditori mentre consegnavano a cittadini stranieri documentazione falsa per l’ingresso in Italia dietro pagamento.
Lo straniero destinatario del provvedimento cautelare svolgeva funzioni di organizzazione e raccordo con l’estero, effettuando anche trasferte per individuare connazionali disponibili a entrare in Italia. In un episodio, per recuperare somme pretese, ha inoltre minacciato e aggredito un connazionale. Considerata la gravità e l’attualità delle esigenze cautelari, è stata disposta la custodia in carcere presso la Casa Circondariale di Pescara.
Nei confronti degli altri 19 indagati, pur sussistendo gravi indizi di colpevolezza, non vi è l’attualità delle esigenze cautelari.
Il Comando Carabinieri per la Tutela del Lavoro, da anni, è impegnato nel fronteggiare su tutto il territorio nazionale il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, fenomeno strettamente collegato a quello dello sfruttamento lavorativo.
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