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2018-06-27
Macron in crisi di nervi con l’Italia fa visita al Papa
ANSA
Emmanuel Macron aveva un piano: scaricare sull'Italia il peso dei salvataggi dei migranti nel Mediterraneo, contenere i movimenti secondari interni alla Ue, convincere la Germania a una riforma dell'eurozona che mitigasse i rischi per le finanze pubbliche di Parigi, quindi capeggiare il progetto della difesa comune europea, per poi assicurarsi le commesse per la componentistica dei mezzi militari.
Un progetto scaltrissimo, in cui il nostro Paese avrebbe dovuto recitare il fondamentale ruolo dell'allocco. In primo luogo, infatti, c'erano gli impegni assunti sul tema della difesa comune dall'ex ministro Roberta Pinotti, che la considerava una «sfida fondamentale per l'Europa di oggi» e che sosteneva con convinzione il coinvolgimento di contingenti italiani nel Niger. Non paga, la Pinotti aveva lavorato pure all'istituzione di un Fondo comune per lo sviluppo di tecnologie europee nel campo della sicurezza. A ben guardare, però, Parigi considera sua proprietà quello che in teoria è «comune». Nella vicenda dei cantieri di Saint-Nazaire, ad esempio, l'obiettivo di Macron era chiaramente di impedire a Fincantieri di mettere le mani su un asset strategico, garantendo alla Francia la primazia nella realizzazione della componentistica. Insomma, appalti miliardari per i cugini d'Oltralpe e gli avanzi al gruppo italiano.
Nelle ultime settimane, tuttavia, il radicale cambiamento intervenuto a Palazzo Chigi ha messo a repentaglio il disegno di Monsieur le Président. L'Italia non è più la nazione che baratta il macigno della gestione del primo approdo dei migranti per un po' di flessibilità sui conti. La cancelliera tedesca Angela Merkel è alle prese con gli ultimatum del suo ministro degli Interni, Horst Seehofer, perciò sa di non potersi inimicare troppo Roma e, al contempo, di doversi scontrare con l'opposizione dei cristianodemocratici bavaresi alla creazione del bilancio europeo, promesso a Macron nel bilaterale di Meseberg. A complicare ulteriormente il quadro è intervenuta Elisabetta Trenta, la quale, succeduta alla Pinotti al ministero della Difesa, ha deciso di tenere fuori l'Italia dal programma francese per l'istituzione di una forza d'intervento europea, che doveva rappresentare una tappa essenziale nell'acquisizione, da parte di Parigi, della leadership politico-militare della Ue. Come ha spiegato il blog Gli occhi della guerra, i transalpini impiegavano l'etichetta della «difesa comune europea» per perseguire «un interesse francese declinato nel continente». Ipotesi maliziosa, ma avvalorata dall'adesione entusiasta della Gran Bretagna, che è in uscita dall'Unione e quindi è formalmente distante da scenari di collaborazione che prevedano cessioni di sovranità.
Così, all'improvviso, Macron si presenta indebolito al Consiglio europeo che comincia domani a Bruxelles. Ed è impossibile negare che un governo italiano non più fedele esecutore degli ordini provenienti da centri di potere stranieri è l'attore che ha messo in difficoltà lo stratega dell'Eliseo. Macron è stato spiazzato dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il quale aveva richiesto l'allestimento di hotspot in territorio africano per limitare le partenze e procedere al trasferimento in Europa soltanto di chi poteva effettivamente godere dello status di rifugiato. All'idea di sottrarre alla Francia il controllo esclusivo del Nordafrica, il premier ha infine aggiunto la cosiddetta European multilevel strategy for migration, il cui scopo sarebbe di costringere gli altri Paesi europei a farsi carico dell'esame delle richieste d'asilo di chi sbarca in Italia. Mosse che alla fine hanno costretto Stati finora trincerati, come Spagna e Malta, ad ammettere che è necessario ripensare un sistema dal quale Roma viene penalizzata.
È proprio per mettere i bastoni tra le ruote all'esecutivo gialloblù, che Macron ha deciso di volare da papa Francesco, nella speranza che la Santa Sede chiami a raccolta i cattolici contro le politiche sull'immigrazione di Lega e Movimento 5 stelle. Ma è evidente che al leader transalpino, apparso ultimamente sull'orlo di una crisi di nervi, tra un portavoce sboccato e un'allusione infelice alla «lebbra» del populismo, quello che doveva essere un meccanismo perfetto sta sfuggendo di mano. Al punto che, come rivelato da Dagospia, prima di recarsi dal Pontefice, Macron avrebbe pranzato nella romana Casina Valadier insieme a sua moglie Brigitte e al premier Conte: l'incontro sarebbe servito a eliminare una prima grana, ovvero la situazione della nave Ong Lifeline, cui le autorità maltesi hanno finalmente concesso il diritto di attraccare nell'isola (anche se gli immigrati sono stati trasferiti in Italia).
La riunione del 28 e 29 giugno, in ogni caso, si annuncia tesa e persino inconcludente. Durante la conferenza stampa con il premier spagnolo Pedro Sanchez, la Merkel ha ammesso che su almeno due delle nuove linee guida sull'immigrazione «si deve ancora lavorare»: ciò potrebbe significare che alla fine del vertice di Bruxelles non si otterrà l'unanimità. La sensazione è che, con l'asse Parigi-Berlino scricchiolante e un'Italia che rialza la testa, l'assetto geopolitico del continente si stia fluidificando: l'Europa abbandona le chimere di unificazione e si ricostituisce attorno a intese flessibili, i famosi «accordi bilaterali» che la stessa cancelliera tedesca, due giorni fa, ha evocato in maniera esplicita. Le carte si stanno rimescolando e Macron non resta che tentare un'altra mano.
Alessandro Rico
Il numero uno dell'Eliseo usa da ipocrita la sirena europeista
È durato oltre 50 minuti l'incontro privato tra papa Francesco e il presidente francese Emmanuel Macron in Vaticano, probabilmente l'incontro più lungo tra un presidente e il Papa argentino, simile a quello con Barack Obama. Già questa nota di cronaca sottolinea l'importanza del discorso che i due hanno intrattenuto con al centro i temi dell'immigrazione, l'Africa, l'ambiente e il disarmo, come recita il comunicato della sala stampa della Santa sede. E come era facile prevedere. Con un'«aggiunta» all'agenda del colloquio, dà conto il comunicato vaticano diffuso dopo il secondo incontro di Macron in Vaticano, quello con il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, e l'arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati: la «riflessione congiunta circa le prospettive del progetto europeo».
L'incontro tra papa Francesco e il presidente Macron (accompagnato dalla moglie Brigitte in abito nero e chioma raccolta, ma senza veletta) è un banco di prova e una specie di scialuppa di salvataggio per tante agende politiche. Innanzitutto c'è la strategia degli europeisti liberal in grande difficoltà contro i populismi, europeisti che oggi in Vaticano cercano più sponde che in qualsiasi altra cancelleria, compresa ovviamente quella statunitense. Come corollario, sotto i riflettori c'è la politica per gli immigrati, anche se lo stesso Macron, lo sappiamo, tende a predicare bene e a razzolare male. Di immigrazione il presidente francese ha parlato anche ieri mattina con la comunità di Sant'Egidio a Palazzo Farnese, dove ha ipocritamente menzionato i corridoi umanitari come un modello della politica di immigrazione legale, soprattutto per le persone che hanno bisogno di protezione umanitaria. Una questione che è la punta di un iceberg molto più ampio e che riguarda la crisi epocale che sta vivendo l'establishment occidentale di cui Macron è in qualche modo l'ultimo baluardo; alla Chiesa qualcuno vorrebbe chiedere di puntellare questo ordine liberale, oppure semplicemente rassegnarsi alla morte. Infine, et tout se tient, c'è il tentativo del presidente francese di mettersi a caccia del voto cattolico francese, operazione iniziata con enfasi con il discorso furbo che Macron ha tenuto davanti ai vescovi d'oltralpe al Colleges des Bernardins lo scorso 9 aprile.
In linea con questa nouvelle stratégie di avvicinamento al mondo cattolico, Macron nel pomeriggio di ieri ha ricevuto il titolo di protocanonico d'onore dal Capitolo della Basilica di San Giovanni in Laterano. Un'onorificenza riservata a tutti i capi di Stato francesi grazie a una tradizione secolare che risale al re Enrico IV, ma che i presidenti possono anche rifiutare come, non a caso, hanno fatto François Mitterrand, Georges Pompidou e François Hollande.
Il voto cattolico francese è allergico alla sinistra stile François Hollande, deluso dal gollista François Fillon, affascinato, ma non troppo da Marine Le Pen, ha sospeso il giudizio su Macron. Ma il presidente sa molto bene che questa «minoranza» è capace di inaspettate reazioni, come ha chiaramente mostrato la serie di eventi contro la famigerata legge Toubira sul cosiddetto «matrimonio per tutti», eventi che hanno portato milioni di francesi in piazza sotto il comune denominatore della Manif pour tous.
Questa strategia di riconquista del voto cattolico può essere considerata oltre gli stretti confini francesi, se si valuta ciò che rappresenta oggi il presidente Macron a livello internazionale. Il voto italiano ha mostrato una volta in più che i cosiddetti cattolici sono più autonomi di quanto si pensasse, spesso sono ago della bilancia degli equilibri politici, e Dio solo sa quanto il mondo progressista abbia sbeffeggiato le istanze cattoliche e ne stia pagando le conseguenze.
Macron allora prova a spaccare il fronte populista cominciando proprio dal voto cattolico, non solo quello francese, forse considerando i fedeli come la parte più malleabile e pronta ad accodarsi a un eventuale richiamo delle gerarchie. Usa la sirena europeista e una sorta di benedizione morale delle sacre stanze. Come ha fatto davanti ai vescovi di Francia chiama i cattolici a scendere in campo nella politica, utilizza parole suadenti e riconoscibili. Addirittura, un presidente che si appresta ad approvare una estensione della legge sulla Fivet per le coppie di lesbiche e le donne single, davanti ai vescovi chiama il feto con la parola pro life «nascituro». Ma proprio su questa legge, che dovrebbe essere discussa in autunno, potrebbe cadere la maschera di Macron davanti ai cattolici, tanto che il portavoce dei vescovi francesi monsignor Ribadeau Dumas ha detto che se questa legge verrà votata «Macron potrebbe svelare davanti alla comunità un sentimento di doppiezza». Double face, è questo il rischio dell'attivismo del presidente Macron nei confronti del mondo cattolico, lui battezzato a 12 anni ora si professa «agnostico» e aperto alla trascendenza, è figlio legittimo della patria del laicismo e difficilmente la tradirà. E la Chiesa, si ritaglierà davvero solo questo ruolo di presunta stampella dei liberal come molti vorrebbero? La storia insegna che trascinare il popolo di Dio di qua o di là è un operazione che può riservare molte sorprese.
Lorenzo Bertocchi
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Piano fallito, Francia in difficoltà: non ci siamo presi il «pacco» sulla difesa comune.Il presidente francese in Vaticano cerca sponda contro il fronte populista e per i voti cattolici.Lo speciale contiene due articoliEmmanuel Macron aveva un piano: scaricare sull'Italia il peso dei salvataggi dei migranti nel Mediterraneo, contenere i movimenti secondari interni alla Ue, convincere la Germania a una riforma dell'eurozona che mitigasse i rischi per le finanze pubbliche di Parigi, quindi capeggiare il progetto della difesa comune europea, per poi assicurarsi le commesse per la componentistica dei mezzi militari. Un progetto scaltrissimo, in cui il nostro Paese avrebbe dovuto recitare il fondamentale ruolo dell'allocco. In primo luogo, infatti, c'erano gli impegni assunti sul tema della difesa comune dall'ex ministro Roberta Pinotti, che la considerava una «sfida fondamentale per l'Europa di oggi» e che sosteneva con convinzione il coinvolgimento di contingenti italiani nel Niger. Non paga, la Pinotti aveva lavorato pure all'istituzione di un Fondo comune per lo sviluppo di tecnologie europee nel campo della sicurezza. A ben guardare, però, Parigi considera sua proprietà quello che in teoria è «comune». Nella vicenda dei cantieri di Saint-Nazaire, ad esempio, l'obiettivo di Macron era chiaramente di impedire a Fincantieri di mettere le mani su un asset strategico, garantendo alla Francia la primazia nella realizzazione della componentistica. Insomma, appalti miliardari per i cugini d'Oltralpe e gli avanzi al gruppo italiano.Nelle ultime settimane, tuttavia, il radicale cambiamento intervenuto a Palazzo Chigi ha messo a repentaglio il disegno di Monsieur le Président. L'Italia non è più la nazione che baratta il macigno della gestione del primo approdo dei migranti per un po' di flessibilità sui conti. La cancelliera tedesca Angela Merkel è alle prese con gli ultimatum del suo ministro degli Interni, Horst Seehofer, perciò sa di non potersi inimicare troppo Roma e, al contempo, di doversi scontrare con l'opposizione dei cristianodemocratici bavaresi alla creazione del bilancio europeo, promesso a Macron nel bilaterale di Meseberg. A complicare ulteriormente il quadro è intervenuta Elisabetta Trenta, la quale, succeduta alla Pinotti al ministero della Difesa, ha deciso di tenere fuori l'Italia dal programma francese per l'istituzione di una forza d'intervento europea, che doveva rappresentare una tappa essenziale nell'acquisizione, da parte di Parigi, della leadership politico-militare della Ue. Come ha spiegato il blog Gli occhi della guerra, i transalpini impiegavano l'etichetta della «difesa comune europea» per perseguire «un interesse francese declinato nel continente». Ipotesi maliziosa, ma avvalorata dall'adesione entusiasta della Gran Bretagna, che è in uscita dall'Unione e quindi è formalmente distante da scenari di collaborazione che prevedano cessioni di sovranità. Così, all'improvviso, Macron si presenta indebolito al Consiglio europeo che comincia domani a Bruxelles. Ed è impossibile negare che un governo italiano non più fedele esecutore degli ordini provenienti da centri di potere stranieri è l'attore che ha messo in difficoltà lo stratega dell'Eliseo. Macron è stato spiazzato dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il quale aveva richiesto l'allestimento di hotspot in territorio africano per limitare le partenze e procedere al trasferimento in Europa soltanto di chi poteva effettivamente godere dello status di rifugiato. All'idea di sottrarre alla Francia il controllo esclusivo del Nordafrica, il premier ha infine aggiunto la cosiddetta European multilevel strategy for migration, il cui scopo sarebbe di costringere gli altri Paesi europei a farsi carico dell'esame delle richieste d'asilo di chi sbarca in Italia. Mosse che alla fine hanno costretto Stati finora trincerati, come Spagna e Malta, ad ammettere che è necessario ripensare un sistema dal quale Roma viene penalizzata.È proprio per mettere i bastoni tra le ruote all'esecutivo gialloblù, che Macron ha deciso di volare da papa Francesco, nella speranza che la Santa Sede chiami a raccolta i cattolici contro le politiche sull'immigrazione di Lega e Movimento 5 stelle. Ma è evidente che al leader transalpino, apparso ultimamente sull'orlo di una crisi di nervi, tra un portavoce sboccato e un'allusione infelice alla «lebbra» del populismo, quello che doveva essere un meccanismo perfetto sta sfuggendo di mano. Al punto che, come rivelato da Dagospia, prima di recarsi dal Pontefice, Macron avrebbe pranzato nella romana Casina Valadier insieme a sua moglie Brigitte e al premier Conte: l'incontro sarebbe servito a eliminare una prima grana, ovvero la situazione della nave Ong Lifeline, cui le autorità maltesi hanno finalmente concesso il diritto di attraccare nell'isola (anche se gli immigrati sono stati trasferiti in Italia).La riunione del 28 e 29 giugno, in ogni caso, si annuncia tesa e persino inconcludente. Durante la conferenza stampa con il premier spagnolo Pedro Sanchez, la Merkel ha ammesso che su almeno due delle nuove linee guida sull'immigrazione «si deve ancora lavorare»: ciò potrebbe significare che alla fine del vertice di Bruxelles non si otterrà l'unanimità. La sensazione è che, con l'asse Parigi-Berlino scricchiolante e un'Italia che rialza la testa, l'assetto geopolitico del continente si stia fluidificando: l'Europa abbandona le chimere di unificazione e si ricostituisce attorno a intese flessibili, i famosi «accordi bilaterali» che la stessa cancelliera tedesca, due giorni fa, ha evocato in maniera esplicita. Le carte si stanno rimescolando e Macron non resta che tentare un'altra mano. Alessandro Rico<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/piano-fallito-eliseo-in-crisi-di-nervi-con-litalia-non-ci-siamo-presi-il-pacco-sulla-difesa-comune-2581568463.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-numero-uno-delleliseo-usa-da-ipocrita-la-sirena-europeista" data-post-id="2581568463" data-published-at="1766122708" data-use-pagination="False"> Il numero uno dell'Eliseo usa da ipocrita la sirena europeista È durato oltre 50 minuti l'incontro privato tra papa Francesco e il presidente francese Emmanuel Macron in Vaticano, probabilmente l'incontro più lungo tra un presidente e il Papa argentino, simile a quello con Barack Obama. Già questa nota di cronaca sottolinea l'importanza del discorso che i due hanno intrattenuto con al centro i temi dell'immigrazione, l'Africa, l'ambiente e il disarmo, come recita il comunicato della sala stampa della Santa sede. E come era facile prevedere. Con un'«aggiunta» all'agenda del colloquio, dà conto il comunicato vaticano diffuso dopo il secondo incontro di Macron in Vaticano, quello con il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, e l'arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati: la «riflessione congiunta circa le prospettive del progetto europeo». L'incontro tra papa Francesco e il presidente Macron (accompagnato dalla moglie Brigitte in abito nero e chioma raccolta, ma senza veletta) è un banco di prova e una specie di scialuppa di salvataggio per tante agende politiche. Innanzitutto c'è la strategia degli europeisti liberal in grande difficoltà contro i populismi, europeisti che oggi in Vaticano cercano più sponde che in qualsiasi altra cancelleria, compresa ovviamente quella statunitense. Come corollario, sotto i riflettori c'è la politica per gli immigrati, anche se lo stesso Macron, lo sappiamo, tende a predicare bene e a razzolare male. Di immigrazione il presidente francese ha parlato anche ieri mattina con la comunità di Sant'Egidio a Palazzo Farnese, dove ha ipocritamente menzionato i corridoi umanitari come un modello della politica di immigrazione legale, soprattutto per le persone che hanno bisogno di protezione umanitaria. Una questione che è la punta di un iceberg molto più ampio e che riguarda la crisi epocale che sta vivendo l'establishment occidentale di cui Macron è in qualche modo l'ultimo baluardo; alla Chiesa qualcuno vorrebbe chiedere di puntellare questo ordine liberale, oppure semplicemente rassegnarsi alla morte. Infine, et tout se tient, c'è il tentativo del presidente francese di mettersi a caccia del voto cattolico francese, operazione iniziata con enfasi con il discorso furbo che Macron ha tenuto davanti ai vescovi d'oltralpe al Colleges des Bernardins lo scorso 9 aprile. In linea con questa nouvelle stratégie di avvicinamento al mondo cattolico, Macron nel pomeriggio di ieri ha ricevuto il titolo di protocanonico d'onore dal Capitolo della Basilica di San Giovanni in Laterano. Un'onorificenza riservata a tutti i capi di Stato francesi grazie a una tradizione secolare che risale al re Enrico IV, ma che i presidenti possono anche rifiutare come, non a caso, hanno fatto François Mitterrand, Georges Pompidou e François Hollande. Il voto cattolico francese è allergico alla sinistra stile François Hollande, deluso dal gollista François Fillon, affascinato, ma non troppo da Marine Le Pen, ha sospeso il giudizio su Macron. Ma il presidente sa molto bene che questa «minoranza» è capace di inaspettate reazioni, come ha chiaramente mostrato la serie di eventi contro la famigerata legge Toubira sul cosiddetto «matrimonio per tutti», eventi che hanno portato milioni di francesi in piazza sotto il comune denominatore della Manif pour tous. Questa strategia di riconquista del voto cattolico può essere considerata oltre gli stretti confini francesi, se si valuta ciò che rappresenta oggi il presidente Macron a livello internazionale. Il voto italiano ha mostrato una volta in più che i cosiddetti cattolici sono più autonomi di quanto si pensasse, spesso sono ago della bilancia degli equilibri politici, e Dio solo sa quanto il mondo progressista abbia sbeffeggiato le istanze cattoliche e ne stia pagando le conseguenze. Macron allora prova a spaccare il fronte populista cominciando proprio dal voto cattolico, non solo quello francese, forse considerando i fedeli come la parte più malleabile e pronta ad accodarsi a un eventuale richiamo delle gerarchie. Usa la sirena europeista e una sorta di benedizione morale delle sacre stanze. Come ha fatto davanti ai vescovi di Francia chiama i cattolici a scendere in campo nella politica, utilizza parole suadenti e riconoscibili. Addirittura, un presidente che si appresta ad approvare una estensione della legge sulla Fivet per le coppie di lesbiche e le donne single, davanti ai vescovi chiama il feto con la parola pro life «nascituro». Ma proprio su questa legge, che dovrebbe essere discussa in autunno, potrebbe cadere la maschera di Macron davanti ai cattolici, tanto che il portavoce dei vescovi francesi monsignor Ribadeau Dumas ha detto che se questa legge verrà votata «Macron potrebbe svelare davanti alla comunità un sentimento di doppiezza». Double face, è questo il rischio dell'attivismo del presidente Macron nei confronti del mondo cattolico, lui battezzato a 12 anni ora si professa «agnostico» e aperto alla trascendenza, è figlio legittimo della patria del laicismo e difficilmente la tradirà. E la Chiesa, si ritaglierà davvero solo questo ruolo di presunta stampella dei liberal come molti vorrebbero? La storia insegna che trascinare il popolo di Dio di qua o di là è un operazione che può riservare molte sorprese. Lorenzo Bertocchi
Carola Rackete (Getty Images)
Era marzo 2021 e così prometteva di sfidare la magistratura Luca Casarini, fondatore e capomissione di Mediterranea Saving Humans. L’ex disobbediente del Nord-Est dichiarava di voler continuare a non rispettare le regole, l’ha ribadito anche lo scorso ottobre in apertura del processo a Ragusa dove è accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina con l’aggravante di averne tratto profitto. «¡Aquí no se rinde nadie! qui non si arrende nessuno», terminò il suo post su Facebook poco prima dell’udienza, citando la frase pronunciata dal comandante rivoluzionario Juan Almeida Bosque durante lo sbarco dei guerriglieri a Cuba. Casarini non riconosce la legge e poco importa se traveste l’inosservanza con scuse umanitarie: la lista dei disobbedienti per torti e offese subìte sarebbe interminabile, mentre in uno Stato di diritto non si fa giustizia a propria misura calpestando l’ordinamento.
Il capomissione della Ong si vanta di essere un trasgressore, solca i mari con «la nave dei centri sociali» agendo senza regole se non le condivide. «Io ho fatto del ragionamento sulla disobbedienza una caratteristica della mia vita [...] Sono i governi che violano continuamente la legge», è una sua precedente affermazione datata marzo 2019 in piena vicenda Mare Jonio, la barca entrata nel porto di Lampedusa malgrado il no del Viminale allora retto da Matteo Salvini.
Non è da meno il capo missione di Mediterranea, Beppe Caccia, che lo scorso agosto ammetteva con orgoglio di avere infranto la legge: «Abbiamo disobbedito a un ordine ingiusto e inumano del ministero dell’Interno. Ma così facendo abbiamo obbedito al diritto marittimo, alla Costituzione italiana e alle leggi dell’umanità». No, la Costituzione afferma che la legge è uguale per tutti, senza distinzioni di sorta e che tutti sono tenuti a rispettarla.
Eppure Carola Rackete si è vantata più volte di averla calpestata nel nostro Paese. La comandante tedesca della nave Sea Watch 3, che con le sue 650 tonnellate di stazza aveva investito la motovedetta della Guardia di finanza colpevole solo di avere intimato l’alt, nel giugno del 2019 giustificava l’azione. «Non è stato un atto di violenza. Solo di disobbedienza. Ma ho sbagliato la manovra. Per me era vietato obbedire. Mi chiedevano di riportarli in Libia. Ma per la legge sono persone che fuggono da un Paese in guerra, la legge vieta che io le possa riportare là», era la sua strabiliante versione accolta anche dal gip del tribunale di Agrigento che archiviò le accuse di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina e disobbedienza a nave da guerra. Salvini protestò: «Quindi, se capisco bene la sentenza, speronare una motovedetta militare italiana con uomini a bordo non è reato. Torniamo ai tempi dei pirati… No comment». Rackete un mese dopo tornava a vantarsi: «Abbiamo abbattuto un muro. Quello innalzato in mare dal Decreto sicurezza bis. Siamo stati costretti a farlo. Talvolta servono azioni di disobbedienza civile per affermare diritti umani e portare leggi sbagliate di fronte a un giudice».
In quest’ottica, l’assurdità dei decreti legge emanati durante l’emergenza Covid dovrebbero giustificare gli atti di disobbedienza compiuti, anche con il rifiuto di vaccinarsi che invece è stato perseguito e punito. Spesso il principio di legalità non ha affatto rappresentato la massima garanzia di libertà, anzi ha modificato diritti fondamentali dei cittadini e chi si è ribellato ne ha pagato le conseguenze. Solo le Ong sarebbero libere di infrangere le leggi?
Nel maggio del 2024 associazioni come Baobab experience, Collettivo rotte balcaniche, Linea d’ombra, Kitchen on borders difendevano un network nato «nell’autodenuncia della propria pratica quotidiana di disobbedienza civile, contro le politiche migratorie italiana ed europea, contro i confini interni ed esterni».
E se ci si mette anche la Chiesa, la disobbedienza può appare il nuovo credo a cui dare ascolto. In spregio alle leggi e ai tribunali, stando alle parole di don Mattia Ferrari, il cappellano di Mediterranea Saving Humans. «La morale per noi invece è che tu devi lottare accanto a chi è oppresso. Tu devi contrastare questo sistema. Tu devi sovvertire questo sistema capitalista e patriarcale. E allora abbiamo introdotto l’espressione disobbedienza morale», spiegava nel luglio del 2023.
Anche Alessandra Sciurba, già presidente di Mediterranea Saving Humans, nel 2020 parlava di «disobbedienza morale e obbedienza civile» che l’aveva animata a soccorrere migranti sulla barca a vela Alex sfidando decreti-legge e imposizioni governative illegittimi. È la stessa Associazione di promozione sociale (Aps) in cui si è trasformata Mediterranea a lamentarsi perché «le Ong sono costrette a spendere una gran quantità di tempo e risorse per contestare la restrittiva legislazione italiana e i fermi amministrativi arbitrariamente imposti». Navigano contro legge.
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David Neres festeggia con Rasmus Hojlund dopo aver segnato il gol dell'1-0 durante la semifinale di Supercoppa italiana tra Napoli e Milan a Riyadh (Ansa)
Nella prima semifinale in Arabia Saudita i campioni d’Italia superano 2-0 i rossoneri con un gol per tempo di Neres e Hojlund. Conte: «Vincere contro un top team dà fiducia, entusiasmo e consapevolezza». Allegri: «Il Napoli ha meritato perché ha difeso molto meglio di noi. Dobbiamo migliorare la fase difensiva, è lì che nascono le difficoltà».
È il Napoli la prima finalista della Supercoppa italiana. All’Alawwal Park di Riyadh, davanti a 24.941 spettatori, i campioni d’Italia superano 2-0 il Milan al termine di una semifinale mai realmente in discussione e torneranno lunedì nello stadio dell’Al Nassr per giocarsi il primo trofeo stagionale contro la vincente di Bologna-Inter, in programma domani sera.
Decidono un gol per tempo di Neres e Hojlund, protagonisti assoluti di una gara che la squadra di Antonio Conte ha interpretato con maggiore lucidità, intensità e qualità rispetto ai rossoneri. Il pubblico saudita, arrivato a scaglioni sugli spalti come da consuetudine locale, si è acceso soprattutto per Luka Modric durante il riscaldamento, più inquadrato sugli smartphone che realmente seguito sul campo, ma alla lunga è stato il Napoli a prendersi scena e risultato. Un successo meritato per i partenopei che rispetto al Milan hanno dimostrato di avere più idee e mezzi per colpire.
Conte ha scelto la miglior formazione possibile, confermando il 3-4-2-1 con l’unica eccezione rispetto alle ultime gare di campionato che riguarda il ritorno tra i titolari di Politano al posto di Lang. Davanti la coppia McTominay-Neres ad agire alle spalle di Hojlund. Ed è stato proprio il centravanti danese uno dei protagonisti del match e della vittoria del Napoli, mettendo lo zampino in entrambi i gol e facendo impazzire in marcatura De Winter. L’ex difensore del Genoa è stato scelto da Allegri come perno della difesa a tre per sostituire l'infortunato Gabbia, un’assenza che alla fine dei conti si è rivelata più pesante del previsto. Ma se quella del difensore centrale era praticamente una scelta obbligata, il turnover applicato in mezzo al campo e sulla corsia di destra non ha restituito gli effetti desiderati. Nel solito 3-5-2 hanno trovato spazio dal primo minuto anche Jashari e Loftus-Cheek, titolari al posto di Modric e Fofana, ed Estupinan per far rifiatare Bartesaghi, uno degli uomini più in forma tra i rossoneri.
Il Napoli ha preso infatti fin da subito l’iniziativa, con Elmas al tiro già al 2’ e con Maignan attento a bloccare senza problemi. Il Milan ha poi avuto due ghiotte occasioni: al 5’ sugli sviluppi di una rimessa laterale Pavlovic ha tentato una rovesciata, il pallone è arrivato a Loftus-Cheek che, solo davanti a Milinkovic-Savic, ha mancato incredibilmente l’impatto; al 16' Saelemaekers ha sprecato calciando alto da buona posizione. È l’illusione rossonera, perché da quel momento sono i partenopei a comandare il gioco. Al 32' McTominay ha sfiorato il vantaggio con un destro di prima poco fuori, mentre Nkunku al 37’ ha confermato il suo momento negativo non inquadrando nemmeno la porta a conclusione di un contropiede che poteva cambiare la partita. Partita che è cambiata in maniera decisiva due minuti dopo, al 39’, quando è arrivato il gol che ha sbloccato la semifinale: da un'azione insistita di Elmas sulla sinistra, il pallone è arrivato a Hojlund il cui tiro in diagonale ha messo in difficoltà Maignan. La respinta troppo corta del portiere francese è finita sui piedi di Neres, il più rapido ad avventarsi sul pallone e a depositarlo in rete. Il Napoli è andato vicino al raddoppio già prima dell’intervallo con un altro contropiede orchestrato da Elmas e concluso da Hojlund, su cui Maignan ha dovuto compiere un mezzo miracolo.
Nella ripresa il copione non è cambiato. Rrahmani ha impegnato ancora Maignan da fuori area, poi al 64’ è arrivato il 2-0 che ha chiuso la partita: Spinazzola ha affondato a sinistra e servito Hojlund, veloce e preciso a finalizzare con freddezza, firmando così una prestazione dominante contro un De Winter in grande difficoltà. Allegri ha provato a cambiare volto alla gara passando al 4-1-4-1 con l’ingresso di Fofana e Athekame, ma il Milan non è riuscito di fatto mai a rientrare davvero in partita. Anzi. Al 73' uno scatenato Hojlund ha sfiorato la doppietta personale. Poi, al 75', il Milan ha regalato alla parte di stadio rossonera la gioia più grande di tuta la serata, ovvero l'ingresso in campo di Modric. Il croato è entrato tra gli applausi del pubblico, ma è solo una nota di colore in una serata che resta saldamente nelle mani del Napoli. Nel finale spazio anche a qualche tensione, sia in campo che in panchina. Prima le scintille tra Tomori e McTominay, ammoniti entrambi da Zufferli. Poi, in pieno recupero, un battibecco verbale tra Oriali e Allegri. E mentre scorrevano i sette minuti di recupero concessi dal direttore di gara, accompagnato dal coro dei tifosi sauditi di fede azzurra «Siamo noi, siamo noi, i campioni dell’Italia siamo noi», è arrivato il verdetto definitivo.
Nel post partita Massimiliano Allegri ha riconosciuto i meriti degli avversari: «Il Napoli ha meritato perché ha difeso molto meglio di noi. Dobbiamo migliorare la fase difensiva, è lì che nascono le difficoltà». Sull’eliminazione da Coppa Italia e Supercoppa è stato netto: «Siamo dispiaciuti, ma il nostro obiettivo resta la qualificazione in Champions, che è un salvavita per la società». Di tutt’altro tono Antonio Conte, soddisfatto della risposta della sua squadra: «Battere il Milan fa morale. Vincere contro un top team dà fiducia, entusiasmo e consapevolezza. Con energia, anche in emergenza, siamo difficili da affrontare». Parole di elogio per Hojlund: «Ha 22 anni, grandi margini di crescita e oggi è stato determinante. Sta capendo sempre di più quello che gli chiedo».
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