2019-06-10
Piano Kushner per il Medioriente: stop all'idea di Stato ma pioggia di soldi sui palestinesi
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La Casa Bianca ha pronto il piano di pace per la risoluzione del conflitto israellopalestinese. Si tratta di un dossier significativo: non soltanto per la stabilizzazione della regione mediorientale ma anche perché - dai tempi della campagna elettorale del 2016 - questo tema ha spesso rappresentato uno dei cavalli di battaglia di Donald Trump.Il 25 e il 26 giugno si terrà a Manama, in Bahrein, il workshop economico Peace to prosperity: una conferenza promossa dagli Stati Uniti, per iniziare a reperire investimenti da impiegare nel territorio palestinese.Lo speciale contiene due articoli.Già nel corso delle primarie repubblicane di allora, il magnate newyorchese affermò di essere pronto a negoziare un accordo tra le due parti: un atteggiamento che portò alcuni suoi avversari - come il senatore della Florida Marco Rubio - a tacciarlo di eccessiva accondiscendenza verso il fronte palestinese. Poi, arrivato alla Casa Bianca, Trump ha delegato alla stesura del piano di pace suo genero, Jared Kushner. Una scelta controversa, che ha infastidito non poco le alte sfere della diplomazia americana. Del resto, questo elemento costituì anche una delle principali ragioni di attrito che divisero lo stesso Kushner dall'allora segretario di Stato, Rex Tillerson (silurato poi nel marzo del 2018).Adesso, stando a quanto riportato dal New York Times, il progetto sarebbe in via di definizione. Nonostante dettagli ufficiali al momento non ve ne siano, parrebbe che il piano verrà ad articolarsi in due punti fondamentali. Innanzitutto, la Casa Bianca avrebbe abbandonato l'obiettivo della creazione di una entità statale palestinese. La cosiddetta soluzione a due Stati è stata caldeggiata dai tre predecessori di Trump allo studio ovale: Barack Obama, George W. Bush e - soprattutto - Bill Clinton. Il punto è che tale ricetta non ha sinora prodotto i risultati sperati. E questo potrebbe aver spinto Kushner ad abbandonare l'idea. In secondo luogo, l'altro punto chiave della nuova proposta consisterebbe nell'immissione di ingenti investimenti e capitali nel territorio palestinese: investimenti che dovrebbero vedere protagonisti non solo gli Stati arabi ma anche enti privati. Proprio per iniziare a reperire denaro, è stata organizzata una conferenza economica in Bahrein alla fine di giugno, denominata significativamente «Peace to prosperity». Nell'occasione, tra l'altro, sembrerebbe che l'amministrazione americana sarebbe pronta a svelare la parte economica del piano, riservandosi tuttavia la possibilità di ufficializzare la componente più propriamente politica non prima del prossimo autunno.Il punto è che tali indiscrezioni stanno suscitando non poche polemiche. Le critiche a questo probabile piano infatti non mancano. Alcuni sostengono che il conflitto israeliano-palestinese sia caratterizzato da dinamiche profondamente complesse: dinamiche che non potrebbero quindi essere disinnescate da un approccio di tipo meramente economico-commerciale. In secondo luogo, altri affermano che - con questo piano - la Casa Bianca mirerebbe a favorire esclusivamente gli interessi di Israele e dell'Arabia Saudita. In questo senso, non solo il principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman avrebbe lavorato con Kushner al progetto, ma lo stesso premier israeliano, Benjamin Netanyahu starebbe cercando di bloccare una risoluzione del Congresso americano favorevole alla soluzione a due Stati. Ciononostante, come già accennato, c'è da rilevare come l'annosa questione del conflitto non sia stata risolta dalle tre amministrazioni americane precedenti. E che, nonostante un legittimo scetticismo, prima di bocciare senza appello il piano, forse bisognerebbe conoscerlo nel dettaglio. Anche per capirne il senso generale.Certo: i problemi sul tavolo non sono pochi. In primis, il fronte palestinese ha mostrato non poco scetticismo verso gli orientamenti della Casa Bianca, tanto che parrebbe non intenzionato a prender parte al forum del Bahrein. In secondo luogo, l'altro nodo riguarda la situazione politica interna ad Israele. La posizione di Netanyahu si sta facendo infatti sempre più traballante: un fattore che potrebbe rivelarsi non poco problematico nell'eventuale attuazione del piano. Infine, non è esattamente chiaro quale sarà il ruolo svolto dalle nazioni arabe: se alcune - come la Giordania - continuano a sostenere la necessità di creare uno Stato palestinese, altre potrebbero invece approfittarne per ingraziarsi gli Stati Uniti, in un'ottica egoistica e fondamentalmente incurante della stabilizzazione mediorientale.Infine, un altro fattore problematico riguarda l'atteggiamento di Turchia e Iran. Erdogan è da sempre un aspro critico della politica filo-israeliana portata avanti da Donald Trump. E, per il momento, non appare esattamente chiaro quale sarà la posizione del Sultano sulle strategie per la pace in Medio Oriente. Lo scorso febbraio, il presidente turco ha avuto un incontro con lo stesso Kushner dedicato proprio al piano. Ma, in quel frangente, i due hanno principalmente discusso degli aspetti economici, sorvolando sostanzialmente su quelli di carattere politico. Se Erdogan si colloca per ora su una linea ambigua, Teheran sembra avere le idee decisamente più chiare. Pochi giorni fa, l'ayatollah Ali Khamenei ha definito il piano di pace un grande tradimento da parte dell'Arabia Saudita e del Bahrein. In questo senso, la Repubblica Islamica mira evidentemente a diventare il punto di riferimento per gli oppositori alla strategia americana. Per questo, è altamente probabile che l'Iran punti a fomentare l'astio del fronte palestinese verso la linea della Casa Bianca, facendo magari leva anche su legami storici (non è del resto un mistero che Teheran abbia alle spalle una tradizione di finanziamenti a organizzazioni come Hamas).