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2023-09-09
Il piano della Meloni al G20. India alleata contro la Cina e Unione africana nei Grandi
Giorgia Meloni (Ansa)
Il summit G20 che si terrà oggi e domani a Nuova Delhi è un appuntamento fondamentale per l’Italia. Il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è arrivato ieri nella capitale indiana, dove è stata accolta dal ministro indiano dell’Agricoltura Shobha Karandlaje. «Ho avuto il grande piacere di accogliere il primo ministro italiano, Giorgia Meloni, all’aeroporto di Nuova Delhi. È arrivata per partecipare all’attesissimo vertice dei leader del G20 ospitato nella capitale dell’India», ha dichiarato la Karandlaje.
L’inquilina di Palazzo Chigi, che è accompagnata dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, affronterà prevedibilmente vari dossier. E, probabilmente, il più delicato sarà quello dei rapporti con la Cina, visto che l’Italia sta di fatto abbandonando il controverso memorandum d’intesa sulla Nuova via della seta.
Non a caso, già ieri, il premier cinese Li Qiang (che parteciperà al vertice in rappresentanza di Xi Jinping) ha chiesto un incontro bilaterale al nostro premier: un faccia a faccia che dovrebbe tenersi oggi a margine del vertice. Ricordiamo che, appena pochi giorni fa, il titolare della Farnesina, Antonio Tajani, si era recato a Pechino anche per discutere del (sempre più traballante) futuro del memorandum. Sotto questo aspetto, è assai probabile che, nel corso del summit di oggi e domani, la Meloni cercherà di rafforzare ulteriormente la sponda con il presidente americano, Joe Biden, e con il premier indiano, Narendra Modi, proprio per tutelare l’Italia da eventuali ritorsioni cinesi a causa dell’addio di Roma alla Nuova via della seta. In tal senso, l’inquilina di Palazzo Chigi potrebbe approfittare del fatto che Xi Jinping non sarà presente al summit: una circostanza che, per quanto le autorità indiane neghino, sembra tradire una significativa tensione tra Pechino e Nuova Delhi.
Già da tempo la Meloni si sta muovendo per consolidare i legami con India e Stati Uniti. A marzo, si era recata in India per incontrare Modi e siglare vari accordi. Senza poi dimenticare il suo viaggio a Washington in luglio, dove è stata particolarmente apprezzata la sua posizione sulla crisi ucraina e sui rapporti con Pechino.
In secondo luogo, è altamente probabile che la Meloni si concentrerà sul dossier africano: un tema che è da sempre cruciale nell’agenda del suo governo. L’Italia ha, infatti, assoluta urgenza di stabilizzare non solo Tunisia e Libia, ma anche il Sahel: un’area, questa, attraversata da crescenti tensioni e crisi e che risulta anche uno snodo fondamentale per i flussi migratori diretti verso le nostre coste. A tal proposito, è interessante sottolineare che giovedì sono circolate indiscrezioni, secondo cui il G20 potrebbe ammettere l’Unione africana come membro permanente, riconoscendole così uno status similare a quello di cui oggi gode l’Unione europea. Nelle scorse ore, l’Hindustan Times ha riferito che l’accordo per l’adesione era «vicino», aggiungendo anche che, con ogni probabilità, il consesso non muterà nome in G21. È abbastanza evidente che, se l’Unione africana dovesse essere ammessa nel G20, ciò sarebbe funzionale a un tentativo di stabilizzazione economica del continente africano: un continente che, come abbiamo visto, negli ultimi mesi è stato scosso da varie crisi destabilizzanti (dal Sudan al Niger). Per l’Italia si tratterebbe, quindi, di una buona notizia, anche in considerazione del fatto che la Meloni è ormai in procinto di presentare il «Piano Mattei».
Non è inoltre escluso che, nel colloquio di ieri con il segretario al Tesoro americano Janet Yellen, Giorgetti abbia parlato della stabilizzazione economica della Tunisia e dell’eventuale scongelamento del prestito da 1,9 miliardi di dollari al Paese nordafricano da parte del Fondo monetario internazionale. Tra l’altro, la stessa direttrice del Fmi, Kristalina Georgieva, è arrivata a Nuova Delhi ieri per prendere parte al summit.
Inoltre, il crescente interesse mostrato da Modi nei confronti del Global South (e in particolare dell’Africa) potrebbe creare nuove occasioni di partnership tra la stessa Nuova Delhi e Roma, anche per cercare di arginare la persistente influenza cinese in Nord Africa. Da questo punto di vista, il summit G20 di Nuova Delhi potrebbe rivelarsi particolarmente prezioso per Roma. Tra l’altro, mentre non sembra avere intenzione di incontrare il commissario europeo Paolo Gentiloni, la Meloni e il premier britannico Rishi Sunak hanno avuto ieri un incontro, in cui i due hanno detto di voler condurre sforzi congiunti in Africa e in Ucraina.
Senza trascurare che, tra gli invitati speciali al vertice, figurano anche il leader dell’Oman, Haitham bin Tariq al-Said, quello degli Emirati Arabi Uniti, Mohammed bin Zayed, e quello dell’Egitto, Abdel Fattah al Sisi. Questo significa che la Meloni avrà anche l’opportunità di rafforzare i legami con il Mediterraneo allargato: un’area assolutamente strategica che Roma non può permettersi di lasciare all’influenza francese. Vale la pena ricordare che uno dei dossier principali del summit sarà la sicurezza alimentare: un nodo che chiama direttamente in causa la stabilità sia dell’Africa sia del Medio Oriente.
La guerra in Ucraina spacca i leader
È un quadro complesso quello in cui si inserisce il summit del G20 che si terrà oggi e domani a Nuova Delhi. Già ieri, prima ancora dell’inizio del vertice, si registravano significative divisioni. Ancora una volta a spaccare il blocco è stata l’invasione russa dell’Ucraina. Reuters riportava infatti che «il summit rischia di deragliare a causa delle divisioni sempre più profonde e radicate sulla guerra della Russia, danneggiando i progressi su questioni come la sicurezza alimentare, il debito e la cooperazione sul cambiamento climatico».«È difficile prevedere se sarà possibile raggiungere un accordo sulla dichiarazione», ha in tal senso detto il presidente del Consiglio europeo Charles Michel nel corso di una conferenza stampa. «Stiamo ancora negoziando». Poche ore dopo, fonti del G20 hanno reso noto che per la dichiarazione finale (ormai quasi ultimata) si sarebbero registrate divergenze «soltanto» sull’Ucraina. D’altronde, secondo quanto rivelato da funzionari indiani giovedì, il desiderio di Nuova Delhi era che, nel comunicato finale, fossero tenute in considerazione anche le posizioni di Mosca e Pechino. Ricordiamo, inoltre, che Kiev - che non è un membro del G20 - non è stata invitata dall’India al summit di oggi e domani, laddove il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, era stato ospitato al vertice G20 di Bali l’anno scorso. Nuova Delhi cerca, quindi, di mantenere il suo ben noto equilibrismo tra l’Occidente e la Russia. L’India sa che Washington non può fare a meno del suo contributo per contrastare l’influenza cinese nell’Indo-Pacifico. Dall’altra parte, il premier indiano, Narendra Modi, che ieri sera ha incontrato a cena Joe Biden, vuole mantenere i legami con Mosca (soprattutto nel settore della Difesa) per controbilanciare Pechino. Un ulteriore elemento significativo del summit è rappresentato dall’assenza di Xi Jinping. Se era praticamente certo che Vladimir Putin non si sarebbe recato a Nuova Delhi e che sarebbe stato rappresentato dal suo ministro degli Esteri Sergej Lavrov, non altrettanto si può dire del presidente cinese, che, a margine del summit, avrebbe dovuto originariamente avere un faccia a faccia con Biden. Ricordiamo d’altronde che, tra giugno e luglio, si erano recati in visita a Pechino vari alti esponenti dell’attuale amministrazione americana: dal segretario di Stato Tony Blinken al segretario al Tesoro Janet Yellen, passando per l’inviato speciale per il clima John Kerry. Eppure, la settimana scorsa era stato reso noto che Xi non avrebbe preso parte al summit di Nuova Delhi e che si sarebbe fatto rappresentare dal premier Li Qiang. Non è esattamente chiaro come vada letta questa assenza. Si possono tuttavia formulare delle ipotesi. In primis, è possibile che il leader cinese voglia tirare il freno a mano rispetto al (parziale) disgelo verificatosi quest’estate tra Washington e Pechino. In tal senso, Xi potrebbe aver evitato il summit proprio per non incontrare Biden. Una seconda ipotesi è che il presidente cinese abbia voluto sferrare un colpo all’immagine internazionale dell’India, boicottandole (o quasi) il summit. Una versione, questa, che hanno smentito da Nuova Delhi. Mercoledì, il ministro degli Esteri indiano, Subrahmanyam Jaishankar, ha minimizzato il significato politico dell’assenza di Xi, sostenendo che essa non abbia nulla a che fare con i rapporti tesi tra India e Cina. Questo quadro induce a ritenere che il blocco dei Brics sia nei fatti meno coeso di quanto abbia voluto far credere il mese scorso. In realtà, il senso del duello tra Nuova Delhi e Pechino è ancora più profondo e strutturale: le due capitali sono in competizione per assumere il ruolo di Paese di riferimento per il Global South. Una terza possibilità è che il presidente cinese sia azzoppato da grattacapi interni. La situazione economica cinese si sta aggravando e questo potrebbe avere dei contraccolpi sul piano politico per Xi. Il leader cinese, che è stato riconfermato l’anno scorso segretario generale del Pcc, non può permettersi di vedere indebolito il proprio potere, senza correre dei notevoli rischi. Quel che è certo è che gli Usa approfitteranno dell’assenza di Xi per cercare di recuperare influenza tra i Paesi del G20. In tal senso, secondo quanto rivelato da Axios News, «Biden e i leader di India, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti sperano di annunciare sabato un importante accordo infrastrutturale congiunto che collegherà i Paesi del Golfo e quelli arabi tramite una rete ferroviaria». Altro dossier che sarà al centro del summit sarà quello del clima. «Il mondo è in un difficile momento di transizione, il futuro è multipolare. La crisi climatica sta peggiorando drammaticamente, ma la risposta collettiva è mancata di ambizione, credibilità e urgenza», ha detto ieri il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, in conferenza stampa nella capitale indiana.
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Riduci
Il premier vuole la sponda di Nuova Delhi (e di Joe Biden) per staccarsi dalla Via della seta. La «promozione» potrebbe portare alla stabilizzazione economica del Continente nero. Delegati al lavoro per la dichiarazione finale ma pesano le divergenze sulla Russia. Volodymyr Zelensky non è stato invitato al summit: Narendra Modi guarda a Mosca per frenare Pechino.Lo speciale contiene due articoli. Il summit G20 che si terrà oggi e domani a Nuova Delhi è un appuntamento fondamentale per l’Italia. Il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è arrivato ieri nella capitale indiana, dove è stata accolta dal ministro indiano dell’Agricoltura Shobha Karandlaje. «Ho avuto il grande piacere di accogliere il primo ministro italiano, Giorgia Meloni, all’aeroporto di Nuova Delhi. È arrivata per partecipare all’attesissimo vertice dei leader del G20 ospitato nella capitale dell’India», ha dichiarato la Karandlaje.L’inquilina di Palazzo Chigi, che è accompagnata dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, affronterà prevedibilmente vari dossier. E, probabilmente, il più delicato sarà quello dei rapporti con la Cina, visto che l’Italia sta di fatto abbandonando il controverso memorandum d’intesa sulla Nuova via della seta.Non a caso, già ieri, il premier cinese Li Qiang (che parteciperà al vertice in rappresentanza di Xi Jinping) ha chiesto un incontro bilaterale al nostro premier: un faccia a faccia che dovrebbe tenersi oggi a margine del vertice. Ricordiamo che, appena pochi giorni fa, il titolare della Farnesina, Antonio Tajani, si era recato a Pechino anche per discutere del (sempre più traballante) futuro del memorandum. Sotto questo aspetto, è assai probabile che, nel corso del summit di oggi e domani, la Meloni cercherà di rafforzare ulteriormente la sponda con il presidente americano, Joe Biden, e con il premier indiano, Narendra Modi, proprio per tutelare l’Italia da eventuali ritorsioni cinesi a causa dell’addio di Roma alla Nuova via della seta. In tal senso, l’inquilina di Palazzo Chigi potrebbe approfittare del fatto che Xi Jinping non sarà presente al summit: una circostanza che, per quanto le autorità indiane neghino, sembra tradire una significativa tensione tra Pechino e Nuova Delhi.Già da tempo la Meloni si sta muovendo per consolidare i legami con India e Stati Uniti. A marzo, si era recata in India per incontrare Modi e siglare vari accordi. Senza poi dimenticare il suo viaggio a Washington in luglio, dove è stata particolarmente apprezzata la sua posizione sulla crisi ucraina e sui rapporti con Pechino.In secondo luogo, è altamente probabile che la Meloni si concentrerà sul dossier africano: un tema che è da sempre cruciale nell’agenda del suo governo. L’Italia ha, infatti, assoluta urgenza di stabilizzare non solo Tunisia e Libia, ma anche il Sahel: un’area, questa, attraversata da crescenti tensioni e crisi e che risulta anche uno snodo fondamentale per i flussi migratori diretti verso le nostre coste. A tal proposito, è interessante sottolineare che giovedì sono circolate indiscrezioni, secondo cui il G20 potrebbe ammettere l’Unione africana come membro permanente, riconoscendole così uno status similare a quello di cui oggi gode l’Unione europea. Nelle scorse ore, l’Hindustan Times ha riferito che l’accordo per l’adesione era «vicino», aggiungendo anche che, con ogni probabilità, il consesso non muterà nome in G21. È abbastanza evidente che, se l’Unione africana dovesse essere ammessa nel G20, ciò sarebbe funzionale a un tentativo di stabilizzazione economica del continente africano: un continente che, come abbiamo visto, negli ultimi mesi è stato scosso da varie crisi destabilizzanti (dal Sudan al Niger). Per l’Italia si tratterebbe, quindi, di una buona notizia, anche in considerazione del fatto che la Meloni è ormai in procinto di presentare il «Piano Mattei».Non è inoltre escluso che, nel colloquio di ieri con il segretario al Tesoro americano Janet Yellen, Giorgetti abbia parlato della stabilizzazione economica della Tunisia e dell’eventuale scongelamento del prestito da 1,9 miliardi di dollari al Paese nordafricano da parte del Fondo monetario internazionale. Tra l’altro, la stessa direttrice del Fmi, Kristalina Georgieva, è arrivata a Nuova Delhi ieri per prendere parte al summit.Inoltre, il crescente interesse mostrato da Modi nei confronti del Global South (e in particolare dell’Africa) potrebbe creare nuove occasioni di partnership tra la stessa Nuova Delhi e Roma, anche per cercare di arginare la persistente influenza cinese in Nord Africa. Da questo punto di vista, il summit G20 di Nuova Delhi potrebbe rivelarsi particolarmente prezioso per Roma. Tra l’altro, mentre non sembra avere intenzione di incontrare il commissario europeo Paolo Gentiloni, la Meloni e il premier britannico Rishi Sunak hanno avuto ieri un incontro, in cui i due hanno detto di voler condurre sforzi congiunti in Africa e in Ucraina.Senza trascurare che, tra gli invitati speciali al vertice, figurano anche il leader dell’Oman, Haitham bin Tariq al-Said, quello degli Emirati Arabi Uniti, Mohammed bin Zayed, e quello dell’Egitto, Abdel Fattah al Sisi. Questo significa che la Meloni avrà anche l’opportunità di rafforzare i legami con il Mediterraneo allargato: un’area assolutamente strategica che Roma non può permettersi di lasciare all’influenza francese. Vale la pena ricordare che uno dei dossier principali del summit sarà la sicurezza alimentare: un nodo che chiama direttamente in causa la stabilità sia dell’Africa sia del Medio Oriente.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/piano-della-meloni-al-g20-2665125996.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-guerra-in-ucraina-spacca-i-leader" data-post-id="2665125996" data-published-at="1694250684" data-use-pagination="False"> La guerra in Ucraina spacca i leader È un quadro complesso quello in cui si inserisce il summit del G20 che si terrà oggi e domani a Nuova Delhi. Già ieri, prima ancora dell’inizio del vertice, si registravano significative divisioni. Ancora una volta a spaccare il blocco è stata l’invasione russa dell’Ucraina. Reuters riportava infatti che «il summit rischia di deragliare a causa delle divisioni sempre più profonde e radicate sulla guerra della Russia, danneggiando i progressi su questioni come la sicurezza alimentare, il debito e la cooperazione sul cambiamento climatico».«È difficile prevedere se sarà possibile raggiungere un accordo sulla dichiarazione», ha in tal senso detto il presidente del Consiglio europeo Charles Michel nel corso di una conferenza stampa. «Stiamo ancora negoziando». Poche ore dopo, fonti del G20 hanno reso noto che per la dichiarazione finale (ormai quasi ultimata) si sarebbero registrate divergenze «soltanto» sull’Ucraina. D’altronde, secondo quanto rivelato da funzionari indiani giovedì, il desiderio di Nuova Delhi era che, nel comunicato finale, fossero tenute in considerazione anche le posizioni di Mosca e Pechino. Ricordiamo, inoltre, che Kiev - che non è un membro del G20 - non è stata invitata dall’India al summit di oggi e domani, laddove il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, era stato ospitato al vertice G20 di Bali l’anno scorso. Nuova Delhi cerca, quindi, di mantenere il suo ben noto equilibrismo tra l’Occidente e la Russia. L’India sa che Washington non può fare a meno del suo contributo per contrastare l’influenza cinese nell’Indo-Pacifico. Dall’altra parte, il premier indiano, Narendra Modi, che ieri sera ha incontrato a cena Joe Biden, vuole mantenere i legami con Mosca (soprattutto nel settore della Difesa) per controbilanciare Pechino. Un ulteriore elemento significativo del summit è rappresentato dall’assenza di Xi Jinping. Se era praticamente certo che Vladimir Putin non si sarebbe recato a Nuova Delhi e che sarebbe stato rappresentato dal suo ministro degli Esteri Sergej Lavrov, non altrettanto si può dire del presidente cinese, che, a margine del summit, avrebbe dovuto originariamente avere un faccia a faccia con Biden. Ricordiamo d’altronde che, tra giugno e luglio, si erano recati in visita a Pechino vari alti esponenti dell’attuale amministrazione americana: dal segretario di Stato Tony Blinken al segretario al Tesoro Janet Yellen, passando per l’inviato speciale per il clima John Kerry. Eppure, la settimana scorsa era stato reso noto che Xi non avrebbe preso parte al summit di Nuova Delhi e che si sarebbe fatto rappresentare dal premier Li Qiang. Non è esattamente chiaro come vada letta questa assenza. Si possono tuttavia formulare delle ipotesi. In primis, è possibile che il leader cinese voglia tirare il freno a mano rispetto al (parziale) disgelo verificatosi quest’estate tra Washington e Pechino. In tal senso, Xi potrebbe aver evitato il summit proprio per non incontrare Biden. Una seconda ipotesi è che il presidente cinese abbia voluto sferrare un colpo all’immagine internazionale dell’India, boicottandole (o quasi) il summit. Una versione, questa, che hanno smentito da Nuova Delhi. Mercoledì, il ministro degli Esteri indiano, Subrahmanyam Jaishankar, ha minimizzato il significato politico dell’assenza di Xi, sostenendo che essa non abbia nulla a che fare con i rapporti tesi tra India e Cina. Questo quadro induce a ritenere che il blocco dei Brics sia nei fatti meno coeso di quanto abbia voluto far credere il mese scorso. In realtà, il senso del duello tra Nuova Delhi e Pechino è ancora più profondo e strutturale: le due capitali sono in competizione per assumere il ruolo di Paese di riferimento per il Global South. Una terza possibilità è che il presidente cinese sia azzoppato da grattacapi interni. La situazione economica cinese si sta aggravando e questo potrebbe avere dei contraccolpi sul piano politico per Xi. Il leader cinese, che è stato riconfermato l’anno scorso segretario generale del Pcc, non può permettersi di vedere indebolito il proprio potere, senza correre dei notevoli rischi. Quel che è certo è che gli Usa approfitteranno dell’assenza di Xi per cercare di recuperare influenza tra i Paesi del G20. In tal senso, secondo quanto rivelato da Axios News, «Biden e i leader di India, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti sperano di annunciare sabato un importante accordo infrastrutturale congiunto che collegherà i Paesi del Golfo e quelli arabi tramite una rete ferroviaria». Altro dossier che sarà al centro del summit sarà quello del clima. «Il mondo è in un difficile momento di transizione, il futuro è multipolare. La crisi climatica sta peggiorando drammaticamente, ma la risposta collettiva è mancata di ambizione, credibilità e urgenza», ha detto ieri il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, in conferenza stampa nella capitale indiana.
Luca Casarini. Nel riquadro, il manifesto abusivo comparso a Milano (Ansa)
Quando non è tra le onde, Casarini è nel mare di Internet, dove twitta. E pure parecchio. Dice la sua su qualsiasi cosa. Condivide i post dell’Osservatore romano e quelli di Ilaria Salis (del resto, tra i due, è difficile trovare delle differenze, a volte). Ma, soprattutto, attacca le norme del governo e dell’Unione europea in materia di immigrazione. Si sente Davide contro Golia. E lotta, invitando anche ad andare contro la legge. Quando, qualche giorno fa, è stata fermata la nave Humanity 1 (poi rimessa subito in mare dal tribunale di Agrigento) Casarini ha scritto: «Abbatteremo i vostri muri, taglieremo i fili spinati dei vostri campi di concentramento. Faremo fuggire gli innocenti che tenete prigionieri. È già successo nella Storia, succederà ancora. In mare come in terra. La disumanità non vincerà. Fatevene una ragione». Questa volta si sentiva Oskar Schindler, anche se poi va nei cortei pro Pal che inneggiano alla distruzione dello Stato di Israele.
Chi volesse approfondire il suo pensiero, poi, potrebbe andare a leggersi L’Unità del 10 dicembre scorso, il cui titolo è già un programma: Per salvare i migranti dobbiamo forzare le leggi. Nel testo, che risparmiamo al lettore, spiega come l’Ue si sia piegata a Giorgia Meloni e a Donald Trump in materia di immigrazione. I sovranisti (da quanto tempo non sentivamo più questo termine) stanno vincendo. Bisogna fare qualcosa. Bisogna reagire. Ribellarsi. Anche alle leggi. Il nostro, sempre attento ad essere politicamente corretto, se la prende pure con gli albanesi che vivono in un Paese «a metà tra un narcostato e un hub di riciclaggio delle mafie di mezzo mondo, retto da un “dandy” come Rama, più simile al Dandy della banda della Magliana che a quel G.B. Brummel che diede origine al termine». Casarini parla poi di «squadracce» che fanno sparire i migranti e di presunte «soluzioni finali» per questi ultimi. E auspica un modello alternativo, che crei «reti di protezione di migranti e rifugiati, per sottrarli alle future retate che peraltro avverranno in primis nei luoghi di “non accoglienza”, così scientificamente creati nelle nostre città da un programma di smantellamento dei servizi sociali, educativi e sanitari, che mostra oggi i suoi risultati nelle sacche di marginalità in aumento».
Detto, fatto. Qualcuno, in piazzale Cuoco a Milano, ha infatti pensato bene di affiggere dei manifesti anonimi con le indicazioni, per i migranti irregolari, su cosa fare per evitare di finire nei centri di permanenza per i rimpatri, i cosiddetti di Cpr. Nessuna sigla. Nessun contatto. Solo diverse lingue per diffondere il vademecum: l’italiano, certo, ma anche l’arabo e il bengalese in modo che chiunque passi di lì posa capire il messaggio e sfuggire alla legge. Ti bloccano per strada? Non far vedere il passaporto. Devi andare in questura? Presentati con un avvocato. Ti danno un documento di espulsione? Ci sono avvocati gratis (che in realtà pagano gli italiani con le loro tasse). E poi informazioni nel caso in cui qualcuno dovesse finire in un cpr: avrai un telefono, a volte senza videocamera. E ancora: «Se non hai il passaporto del tuo Paese prima di deportarti l’ambasciata ti deve riconoscere. Quindi se non capisci la lingua in cui ti parla non ti deportano. Se ti deportano la polizia italiana ti deve lasciare un foglio che spiega perché ti hanno deportato e quanto tempo deve passare prima di poter ritornare in Europa. È importante informarci e organizzarci insieme per resistere!».
Per Sara Kelany (Fdi), «dire che i Cpr sono “campi di deportazione” e “prigioni per persone senza documenti” è una mistificazione che non serve a tutelare i diritti ma a sostenere e incentivare l’immigrazione irregolare con tutti i rischi che ne conseguono. Nei Cpr vengono trattenuti migranti irregolari socialmente pericolosi, che hanno all’attivo condanne per reati anche molto gravi. Potrà dispiacere a qualche esponente della sinistra o a qualche attivista delle Ong - ogni riferimento a Casarini non è casuale - ma in Italia si rispettano le nostre leggi e non consentiamo a nessuno di aggirarle». Per Francesco Rocca (Fdi), si tratta di «un’affissione abusiva dallo sgradevole odore eversivo».
Casarini, da convertito, diffonde il verbo. Che non è quello che si è incarnato, ma quello che tutela l’immigrato.
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