2023-06-16
Stiamo entrando nel futuro da incubo di Dick
Philip K.Dick (1928-1982) qui in versione androide (Getty Images)
Mondadori ripubblica il romanzo del 1958 dove si parla di un mondo dominato da eutanasia, selezioni genetiche e meticciato diffuso. Oggi la scienza rispolvera l’eugenetica nella lotta contro infertilità e malattie. E così la distopia dell’autore americano diventa realtà.Nella realtà, la biologa Magdalena Zernicka-Goetz dell’Università di Cambridge e del California Institute of Technology, ha annunciato di aver creato «una struttura embrionale umana sintetica», più precisamente ha fatto sapere che lei e i suoi colleghi ricercatori possono «creare modelli simili a embrioni umani riprogrammando le cellule staminali embrionali». Nell’immaginario edificato da Philip K. Dick qualcosa di molto simile corrispondeva a un’entità chiamata la Fonte, un cubo contenente «zigoti, bloccati e congelati, centinaia di miliardi. Tutto il nostro seme, la nostra orda. Lì dentro c’è la nostra razza. Tutti noi… Una frazione minuscola di ciò che è racchiuso lì, le generazioni future».Lo scrittore americano aveva descritto tutto ciò in un romanzo intitolato Dottor Futuro che oggi - coincidenza significativa - viene ripubblicato da Mondadori nella collana Oscar Fantastica. Fu scritto in origine nel 1959, quando lo scrittore americano era ancora misconosciuto e costretto ad aggirarsi nel sottobosco della letteratura di genere. A stampare il libro fu, infatti, la casa editrice Ace Double, «la più infima tra le case editrici pulp di New York». Un altro editore, forse, avrebbe costretto Dick a rivedere alcune parti del testo, nato come adattamento di un racconto lungo pubblicato qualche tempo prima.Ma parte del fascino del romanzo sta anche nella semplicità di alcuni passaggi, nella forma a tratti poco rifinita sotto la quale palpita una storia potente, potentissima. Ironia del destino, da questo libretto imbastito forse per racimolare un po’ di quattrini nell’attesa di diventare finalmente un «autore mainstream» fuoriescono lampi di preveggenza al limite della profezia.La trama è piuttosto semplice. Jim Parsons, un medico molto orgoglioso della sua professione, un mattino si sta recando al lavoro quando viene improvvisamente e inspiegabilmente proiettato nel futuro. Si ritrova in un modo in cui il ricorso all’eutanasia è regolare e incentivato. Anzi, sta alla base dell’intera esistenza civile. A spiegare a Parsons come funzioni il meccanismo è un certo Stenog, uno che conta nella società avveniristica. «Manteniamo costante la popolazione», racconta. «Due miliardi e settecentocinquanta milioni, più o meno. A ogni morte, uno zigote viene automaticamente scongelato e inizia la fase regolare di sviluppo. Per ogni morte c’è una nuova vita istantanea, le due cose sono strettamente intrecciate».Non si tratta soltanto di questo, ovviamente. L’età media della popolazione è di quindici anni e l’umanità è sottoposta a un rigido percorso di selezione genetica. Gli zigoti, racconta sempre Stenog, «sono forniti secondo uno schema preciso e molto complesso. Ogni anno abbiamo delle Liste. Graduatorie di merito intertribali. Test che riguardano ogni tipo di capacità, idoneità fisica, facoltà mentali e funzionamento intuitivo a ogni livello e di ogni tipo di orientamento. Prove che vanno dalle più astratte a quelle più pratiche di abilità manuale». Chi non è adatto o risulta danneggiato o si ammala viene semplicemente soppresso perché ritenuto non efficiente e addirittura dannoso.Ai primi segni di malessere, dunque, non si chiama il medico, ma un «euthanor personale» che provvede all’eliminazione. Ne consegue che i medici non soltanto sono divenuti superflui, ma sono persino detestati. Le persone non vengono più curate. Manco a dirlo, il dottor Parsons rimane estremamente turbato dalle dinamiche che regolano il nuovo mondo: «Sì, quella società era costruita sulla morte. La morte rappresentava una componente quotidiana delle loro vite. Gli individui morivano e nessuno ne era turbato, nemmeno le vittime. Morivano felici e contenti. Ma era sbagliato, era contro natura. Un uomo avrebbe dovuto difendere la propria vita istintivamente. Anteporla a qualunque altra cosa. Quella società negava un impulso fondamentale comune a tutte le forme di vita». In queste poche parole pronunciate dal protagonista del romanzo c’è molto del pensiero di Dick.Passato alla storia come un autore «controculturale», molto celebrato per la presenza ricorrente delle droghe nelle sue opere, il narratore americano era in realtà ossessionato dalla difesa della vita. Forse perché, come ha ricordato Giulio Meotti, «uno dei figli di Dick, Christopher, nacque con un grave difetto alla nascita e lo scrittore sarebbe stato segnato dall’aborto del quinto figlio». O forse perché osservò con orrore i progetti di sterilizzazione forzata dei «devianti» portati avanti in California. Fatto sta che egli tornò ripetutamente su temi quali l’eutanasia, l’aborto, la creazione artificiale della vita. Ad esempio, in un celebre racconto intitolato Le pre-persone, che può essere letto come un rifiuto dell’interruzione di gravidanza. In generale, Dick era spaventato dalla possibilità della selezione della specie, dalle tendenze alla discriminazione e alla cancellazione dei deboli e degli inadatti, categorie in cui forse si riconosceva.In Dottor Futuro, in ogni caso, c’è molto di più. La nuova civiltà immaginata dall’autore è una sorta di trionfo del meticciato: anche come forma di rivalsa verso i bianchi che hanno dominato il mondo, gli individui sono tutti di pelle scura, frutto di una mescolanza imposta. Divisi arbitrariamente in tribù, subiscono poi un’ulteriore scrematura tramite, appunto, la selezione dei più forti e prestanti. Ed è inevitabile correre con il pensiero alle notizie di queste ore, cioè alla prospettiva di riprodurre embrioni umani in laboratorio. Una possibilità che - se sommata agli impieghi di tecnologie di editing genetico quali Crispr - potrebbe effettivamente condurre a un prepotente ritorno in auge dell’eugenetica, benché sotto le mentite spoglie della «lotta all’infertilità» o della battaglia contro le malattie.Soprattutto quest’ultimo aspetto risulta interessante, se osservato con le lenti della contemporaneità. Certo, non siamo ancora giunti (o, meglio, tornati) agli estremi eugenetici. Tuttavia, l’idea di una classe medica che smette di curare le malattie per concentrarsi sulla prevenzione e su ipotetici miglioramenti di specie prodotti dagli sviluppi tecnologici non ci è poi così aliena. Gli incubi elettrici di Philip K. Dick, purtroppo, ai nostri giorni appaiono decisamente meno deliranti.