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2021-10-20
In Lombardia droni e satelliti contro la terra dei fuochi. In un anno 16 roghi sospetti
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L'incendio all'ex Snia a Varedo (Ansa)
Il discorso della «terra dei fuochi» va ampliato a tutto il resto della Penisola, in particolare alla Lombardia, dove negli ultimi mesi si sono verificati 16 roghi di rifiuti, secondo i dati di Arpa, agenzia regionale per la protezione dell'ambiente.
L'ultimo in ordine cronologico è quello che lo scorso 24 settembre, a Varedo nel brianzolo, ha mandato in fumo circa 2.000 tonnellate di rifiuti nell'ex Snia, un'area dismessa e lasciata al degrado dove un tempo c'era una delle industrie tessili più importanti della zona e che oggi l'amministrazione comunale punta a riqualificare attraverso la realizzazione di un centro commerciale. Il sindaco di Varedo Filippo Vergani, appena riconfermato alle ultime elezioni, ha parlato senza troppi giri di parole di «atto intimidatorio», scrivendo sul suo profilo social che «dopo più di tre anni di area sotto sequestro e dopo aver rincorso per mesi la proprietà, i preparativi per iniziare con lo smaltimento del materiale abusivamente stoccato da associazioni a delinquere erano in corso. Ricordo che tali associazioni a delinquere sono già state condannate a processo nel quale al Comune è stato riconosciuto un danno di immagine. Mi auguro che la magistratura faccia presto luce sui misteri di un incendio molto probabilmente doloso che colpisce al cuore Varedo in un momento importante come la tornata amministrativa». E proprio su queste parole torna di grande attualità il tema delle ecomafie. Pochi giorni dopo l'incendio, infatti, la Direzione distrettuale antimafia ha recapitato una nota presso la Procura di Milano in cui chiede alla Polizia locale di Varedo informazioni inerenti i tempi per lo smaltimento della società proprietaria degli immobili al fine di procedere al dissequestro. Altro episodio verificatosi recentemente è quello di Ferragosto nella periferia Ovest di Milano, in via Airaghi, dove è andato a fuoco un capannone abbandonato contenente rifiuti. I Vigili del fuoco intervenuti per domare le fiamme hanno raccontato che non si è trattato della prima chiamata per spegnere un incendio in quella zona.
Come ha anche evidenziato la commissione d'inchiesta regionale nel maggio del 2020, «è stato, infatti, rilevato come la gestione inefficiente dei rifiuti e il sovraccarico degli stessi rispetto alla capacità e al numero di impianti crei un effetto "a collo di bottiglia" che, unito alla presenza di molti capannoni abbandonati e di aree dismesse sul territorio regionale, favorisce l'infiltrazione delle organizzazioni criminali e lo svolgimento di attività illecite, quali ad esempio: trasporti non autorizzati, presenza di rifiuti negli impianti superiori rispetto alle quantità autorizzate, trasporti in capannoni non autorizzati, aumento dei casi di incendi sia negli impianti autorizzati, sia nei depositi abusivi». Per questo, per contrastare queste attività illecite, «la Commissione ha individuato i seguenti strumenti correttivi, a carattere regionale: promuovere l'installazione dei sistemi di videosorveglianza negli impianti; promuovere maggiore collaborazione tra enti e l'autorità giudiziaria per la prevenzione e l'accertamento di illeciti nella gestione e nello smaltimento dei rifiuti; attivare Nuclei ambiente presso tutte le Prefetture (attualmente sono presenti solo a Pavia e a Brescia); censire e monitorare costantemente tutto il territorio con particolare riferimento alle aree abbandonate e ai capannoni dismessi, coinvolgendo le amministrazioni comunali; snellire i tempi relativi al dissequestro degli impianti, per favorire in tempi celeri la ripresa delle attività, ove possibile; attivare una task force».
Ora, il tema da mettere sul tavolo è capire quanti di questi episodi siano effettivamente frutto del caso o dolosi. Perché, se da un lato è vero che la Lombardia va presa come modello virtuoso per quanto riguarda lo trattamento dei rifiuti speciali, visto che il 26% del totale prodotto in Italia viene smaltito proprio in Lombardia, dall'altro non si può più ignorare il susseguirsi di roghi, il più delle volte tossici che disperdono nell'aria quantità eccessive di diossina. La Lombardia è, infatti, la regione con il più alto numero di tonnellate di rifiuti prodotti. Secondo quanto si apprende dal report pubblicato quest'anno da Ispra - Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale - nel 2019 sono state prodotte nella sola Lombardia 33,5 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, il 37,8% di quelli generati da tutto il Nord Italia. Per rifiuti speciali si intende quelli prodotti dalle industrie e dalle aziende e che a differenza di quelli urbani non vengono gestiti dalla pubblica amministrazione, bensì da enti privati. Lo smaltimento illegale di questi rifiuti speciali riguarda quelle aziende che operano in regime di evasione fiscale e che quindi per poter smaltire i rifiuti prodotti devono affidarsi a metodi illeciti.
Il progetto Savager per sorvegliare il territorio della Lombardia
Il fenomeno degli incendi sembrava se non diminuito quantomeno controllato negli ultimi anni, specialmente dopo il 2019, quando in seguito a un report elaborato da Arpa Lombardia si era dimostrato un progressivo e preoccupante aumento di roghi di rifiuti, passando dai 6 del 2016 ai 21 del 2017 e ai 22 del 2018. Un trend negativo che ha portato la stessa Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente a intensificato l'attività di controllo supportando le autorità nella lotta alla gestione illecita dei rifiuti con il progetto Savager finalizzato a implementare il presidio ambientale con mezzi sofisticati come il telerilevamento, i droni e i dati provenienti dal satellite. Nel 2020 l'Agenzia ha operato 90 controlli sui 279 impianti che smaltiscono i rifiuti in Lombardia. Grazie a questi controlli il trend è tornato a diminuire nel 2020, anno in cui si sono verificati 10 episodi di roghi, più della metà rispetto ai 21 del 2019. Una diminuzione che è dovuta anche all'emergenza covid 19.
Savager è un sistema di sorveglianza basato sull'utilizzo di tecnologie di osservazione della Terra, da satellite, aereo e drone, capaci di rilevare anomalie negli impianti autorizzati, indizi di possibili violazioni, ma anche di individuare installazioni o luoghi che ospitano o sono adatti a ospitare depositi abusivi di rifiuti. Il progetto – che ha una valenza preventiva - è attivo in alcune provincie, a seguito di protocolli di intesa sottoscritti con le procure e rappresenta solo una parte dell'azione di presidio ambientale svolto dall'Agenzia in tutto il territorio regionale. Arpa utilizza queste strumentazioni anche in altri campi, come quello del monitoraggio dei dissesti geologici, e in situazioni in cui l'intervento umano è ad alto rischio.
Arpa viene attivata esclusivamente negli incendi che hanno coinvolto installazioni produttive, escludendo gli incendi di aree boschive, nuclei abitativi e mezzi di trasporto, ad eccezione di quelli relativi al trasporto di sostanze pericolose.
L'attenzione mediatica relativa agli incendi in attività produttive e impianti di trattamento/gestione rifiuti, spesso di natura dolosa, è aumentata notevolmente negli ultimi anni anche per il susseguirsi di eventi di questo tipo. Dalla osservazione delle analisi, che prendono in considerazione i rapporti relativi agli incendi in cui è stata coinvolta l'Agenzia negli ultimi anni, si può notare che, a parte il valore minimo di 42 del 2016, si registrano circa 60 incendi all'anno. Nel 2020 si è registrata una diminuzione degli incendi che hanno richiesto l'attivazione dell'Agenzia, in linea con le altre tipologie di attivazioni a causa della emergenza sanitaria.
Non esistono scale standardizzate della gravità di un incendio, comunque, dalla esperienza di campo, si può sicuramente affermare che non tutti gli incendi presentano la medesima intensità, sia per durata che per tipologia di materiale combusto. Dal punto di vista del coinvolgimento di Arpa solo quelli per cui si è reso necessario un sopralluogo possono essere considerati significativi. Nel 2020 si è reso necessario un intervento immediato sul posto dell'Agenzia in 31 casi su 50, ovvero per il 62% delle segnalazioni.
In ogni caso, anche secondo la commissione di regione Lombardia, per evitare il proliferare di queste situazioni, ci sarebbe da «contenere l'eccesso di burocrazia, tale per cui si dovrebbe realizzare una semplificazione normativa di livello nazionale e regionale, oltre che amministrativa, rispondendo in questo caso anche alla necessità di favorire gli investimenti anche privati nel settore, disincentivati proprio dall'eccesso di burocrazia legato alle autorizzazioni per le attività di raccolta, smaltimento, recupero e trasporto dei rifiuti; la semplificazione burocratica e normativa promossa, inoltre, non può non andare di pari passo con l'intensificazione dei controlli da parte di Arpa, Province, Vigili del Fuoco e tutti gli altri enti preposti».
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Sono trascorsi 18 anni da quando Legambiente parlò per la prima volta all'interno di un report sulle ecomafie di «terra dei fuochi». Allora, il riferimento del fenomeno che descrive l'interramento di rifiuti tossici e dei roghi appiccati per eliminarli era circoscritto al Sud Italia e più precisamente alla CampaniaSavager è un sistema di sorveglianza lanciato da Arpa e basato sull'utilizzo di tecnologie di osservazione della Terra capaci di rilevare anomalie negli impianti autorizzati, indizi di possibili violazioni, ma anche di individuare installazioni o luoghi che ospitano o sono adatti a ospitare depositi abusivi di rifiutiLo speciale contiene due articoliIl discorso della «terra dei fuochi» va ampliato a tutto il resto della Penisola, in particolare alla Lombardia, dove negli ultimi mesi si sono verificati 16 roghi di rifiuti, secondo i dati di Arpa, agenzia regionale per la protezione dell'ambiente. L'ultimo in ordine cronologico è quello che lo scorso 24 settembre, a Varedo nel brianzolo, ha mandato in fumo circa 2.000 tonnellate di rifiuti nell'ex Snia, un'area dismessa e lasciata al degrado dove un tempo c'era una delle industrie tessili più importanti della zona e che oggi l'amministrazione comunale punta a riqualificare attraverso la realizzazione di un centro commerciale. Il sindaco di Varedo Filippo Vergani, appena riconfermato alle ultime elezioni, ha parlato senza troppi giri di parole di «atto intimidatorio», scrivendo sul suo profilo social che «dopo più di tre anni di area sotto sequestro e dopo aver rincorso per mesi la proprietà, i preparativi per iniziare con lo smaltimento del materiale abusivamente stoccato da associazioni a delinquere erano in corso. Ricordo che tali associazioni a delinquere sono già state condannate a processo nel quale al Comune è stato riconosciuto un danno di immagine. Mi auguro che la magistratura faccia presto luce sui misteri di un incendio molto probabilmente doloso che colpisce al cuore Varedo in un momento importante come la tornata amministrativa». E proprio su queste parole torna di grande attualità il tema delle ecomafie. Pochi giorni dopo l'incendio, infatti, la Direzione distrettuale antimafia ha recapitato una nota presso la Procura di Milano in cui chiede alla Polizia locale di Varedo informazioni inerenti i tempi per lo smaltimento della società proprietaria degli immobili al fine di procedere al dissequestro. Altro episodio verificatosi recentemente è quello di Ferragosto nella periferia Ovest di Milano, in via Airaghi, dove è andato a fuoco un capannone abbandonato contenente rifiuti. I Vigili del fuoco intervenuti per domare le fiamme hanno raccontato che non si è trattato della prima chiamata per spegnere un incendio in quella zona.Come ha anche evidenziato la commissione d'inchiesta regionale nel maggio del 2020, «è stato, infatti, rilevato come la gestione inefficiente dei rifiuti e il sovraccarico degli stessi rispetto alla capacità e al numero di impianti crei un effetto "a collo di bottiglia" che, unito alla presenza di molti capannoni abbandonati e di aree dismesse sul territorio regionale, favorisce l'infiltrazione delle organizzazioni criminali e lo svolgimento di attività illecite, quali ad esempio: trasporti non autorizzati, presenza di rifiuti negli impianti superiori rispetto alle quantità autorizzate, trasporti in capannoni non autorizzati, aumento dei casi di incendi sia negli impianti autorizzati, sia nei depositi abusivi». Per questo, per contrastare queste attività illecite, «la Commissione ha individuato i seguenti strumenti correttivi, a carattere regionale: promuovere l'installazione dei sistemi di videosorveglianza negli impianti; promuovere maggiore collaborazione tra enti e l'autorità giudiziaria per la prevenzione e l'accertamento di illeciti nella gestione e nello smaltimento dei rifiuti; attivare Nuclei ambiente presso tutte le Prefetture (attualmente sono presenti solo a Pavia e a Brescia); censire e monitorare costantemente tutto il territorio con particolare riferimento alle aree abbandonate e ai capannoni dismessi, coinvolgendo le amministrazioni comunali; snellire i tempi relativi al dissequestro degli impianti, per favorire in tempi celeri la ripresa delle attività, ove possibile; attivare una task force».Ora, il tema da mettere sul tavolo è capire quanti di questi episodi siano effettivamente frutto del caso o dolosi. Perché, se da un lato è vero che la Lombardia va presa come modello virtuoso per quanto riguarda lo trattamento dei rifiuti speciali, visto che il 26% del totale prodotto in Italia viene smaltito proprio in Lombardia, dall'altro non si può più ignorare il susseguirsi di roghi, il più delle volte tossici che disperdono nell'aria quantità eccessive di diossina. La Lombardia è, infatti, la regione con il più alto numero di tonnellate di rifiuti prodotti. Secondo quanto si apprende dal report pubblicato quest'anno da Ispra - Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale - nel 2019 sono state prodotte nella sola Lombardia 33,5 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, il 37,8% di quelli generati da tutto il Nord Italia. Per rifiuti speciali si intende quelli prodotti dalle industrie e dalle aziende e che a differenza di quelli urbani non vengono gestiti dalla pubblica amministrazione, bensì da enti privati. Lo smaltimento illegale di questi rifiuti speciali riguarda quelle aziende che operano in regime di evasione fiscale e che quindi per poter smaltire i rifiuti prodotti devono affidarsi a metodi illeciti. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/pezzo-rifiuti-2655262676.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-progetto-savager-per-sorvegliare-il-territorio-della-lombardia" data-post-id="2655262676" data-published-at="1634665242" data-use-pagination="False"> Il progetto Savager per sorvegliare il territorio della Lombardia Il fenomeno degli incendi sembrava se non diminuito quantomeno controllato negli ultimi anni, specialmente dopo il 2019, quando in seguito a un report elaborato da Arpa Lombardia si era dimostrato un progressivo e preoccupante aumento di roghi di rifiuti, passando dai 6 del 2016 ai 21 del 2017 e ai 22 del 2018. Un trend negativo che ha portato la stessa Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente a intensificato l'attività di controllo supportando le autorità nella lotta alla gestione illecita dei rifiuti con il progetto Savager finalizzato a implementare il presidio ambientale con mezzi sofisticati come il telerilevamento, i droni e i dati provenienti dal satellite. Nel 2020 l'Agenzia ha operato 90 controlli sui 279 impianti che smaltiscono i rifiuti in Lombardia. Grazie a questi controlli il trend è tornato a diminuire nel 2020, anno in cui si sono verificati 10 episodi di roghi, più della metà rispetto ai 21 del 2019. Una diminuzione che è dovuta anche all'emergenza covid 19. Savager è un sistema di sorveglianza basato sull'utilizzo di tecnologie di osservazione della Terra, da satellite, aereo e drone, capaci di rilevare anomalie negli impianti autorizzati, indizi di possibili violazioni, ma anche di individuare installazioni o luoghi che ospitano o sono adatti a ospitare depositi abusivi di rifiuti. Il progetto – che ha una valenza preventiva - è attivo in alcune provincie, a seguito di protocolli di intesa sottoscritti con le procure e rappresenta solo una parte dell'azione di presidio ambientale svolto dall'Agenzia in tutto il territorio regionale. Arpa utilizza queste strumentazioni anche in altri campi, come quello del monitoraggio dei dissesti geologici, e in situazioni in cui l'intervento umano è ad alto rischio.Arpa viene attivata esclusivamente negli incendi che hanno coinvolto installazioni produttive, escludendo gli incendi di aree boschive, nuclei abitativi e mezzi di trasporto, ad eccezione di quelli relativi al trasporto di sostanze pericolose.L'attenzione mediatica relativa agli incendi in attività produttive e impianti di trattamento/gestione rifiuti, spesso di natura dolosa, è aumentata notevolmente negli ultimi anni anche per il susseguirsi di eventi di questo tipo. Dalla osservazione delle analisi, che prendono in considerazione i rapporti relativi agli incendi in cui è stata coinvolta l'Agenzia negli ultimi anni, si può notare che, a parte il valore minimo di 42 del 2016, si registrano circa 60 incendi all'anno. Nel 2020 si è registrata una diminuzione degli incendi che hanno richiesto l'attivazione dell'Agenzia, in linea con le altre tipologie di attivazioni a causa della emergenza sanitaria.Non esistono scale standardizzate della gravità di un incendio, comunque, dalla esperienza di campo, si può sicuramente affermare che non tutti gli incendi presentano la medesima intensità, sia per durata che per tipologia di materiale combusto. Dal punto di vista del coinvolgimento di Arpa solo quelli per cui si è reso necessario un sopralluogo possono essere considerati significativi. Nel 2020 si è reso necessario un intervento immediato sul posto dell'Agenzia in 31 casi su 50, ovvero per il 62% delle segnalazioni.In ogni caso, anche secondo la commissione di regione Lombardia, per evitare il proliferare di queste situazioni, ci sarebbe da «contenere l'eccesso di burocrazia, tale per cui si dovrebbe realizzare una semplificazione normativa di livello nazionale e regionale, oltre che amministrativa, rispondendo in questo caso anche alla necessità di favorire gli investimenti anche privati nel settore, disincentivati proprio dall'eccesso di burocrazia legato alle autorizzazioni per le attività di raccolta, smaltimento, recupero e trasporto dei rifiuti; la semplificazione burocratica e normativa promossa, inoltre, non può non andare di pari passo con l'intensificazione dei controlli da parte di Arpa, Province, Vigili del Fuoco e tutti gli altri enti preposti».
In Toscana un laboratorio a cielo aperto, dove con Enel il calore nascosto della Terra diventa elettricità, teleriscaldamento e turismo.
L’energia geotermica è una fonte rinnovabile tanto antica quanto moderna, perché nasce dal calore naturale generato all’interno della Terra, sotto forma di vapore ad alta temperatura, convogliato attraverso una rete di vapordotti per alimentare le turbine a vapore che girando, azionano gli alternatori degli impianti di generazione. Si tratta di condotte chiuse che trasportano il vapore naturale dal sottosuolo fino alle turbine, permettendo di trasformare il calore terrestre in elettricità senza dispersioni. Questo calore, prodotto dai movimenti geologici naturali e dal gradiente geotermico determinato dalla profondità, può essere utilizzato per produrre elettricità, riscaldare edifici e alimentare processi industriali. La geotermia diventa così una risorsa strategica nella transizione energetica.
L’energia geotermica non dipende da stagionalità o condizioni climatiche: è continua e programmabile, dando un contributo alla stabilità del sistema elettrico.
Oggi la geotermia è riconosciuta globalmente come una delle tecnologie più affidabili e sostenibili: in Cile, Islanda, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Filippine e molti altri Paesi questa filiera sta sviluppandosi vigorosamente. Ma è in Italia – e più precisamente in Toscana – che questa storia ha mosso i suoi primi passi.
La presenza dei soffioni boraciferi nel territorio di Larderello (Pisa), da sempre caratterizzato da manifestazioni naturali come vapori, geyser e acque termali, ha fatto intuire il valore energetico di quella forza invisibile. Già nel Medioevo erano attive piccole attività produttive basate sul contenuto minerale dei fluidi geotermici, ma è nel 1818 – grazie all’ingegnere francese François Jacques de Larderel – che avviene il primo utilizzo industriale. Il passaggio decisivo c’è però nel 1904, quando Piero Ginori Conti, sfruttando il vapore naturale, accende a Larderello le prime cinque lampadine: è la prima produzione elettrica geotermica al mondo, anticipando la nascita nel 1913 della prima centrale geotermoelettrica al mondo. Da allora questa tecnologia non ha mai smesso di evolversi, fino a diventare un laboratorio internazionale di ricerca e innovazione.
Attualmente, la Toscana rappresenta il cuore della geotermia nazionale: tra le province di Pisa, Grosseto e Siena Enel gestisce 34 centrali, per un totale di 37 gruppi di produzione che garantiscono una potenza installata di quasi 1.000 MW. Questi impianti generano ogni anno tra i 5,5 e i quasi 6 miliardi di kWh, pari a oltre un terzo del fabbisogno elettrico regionale e al 70% della produzione rinnovabile della Toscana.
Si tratta anche di uno dei più avanzati siti produttivi dal punto di vista tecnologico, che punta non allo sfruttamento ma alla coltivazione di questi giacimenti di energia. Nelle moderne centrali geotermiche, il vapore che ha già azionato le turbine – chiamato tecnicamente «vapore esausto» – non viene disperso nell'atmosfera, ma viene convogliato nelle torri refrigeranti, che con un processo di condensazione ritrasformano il vapore in acqua e lo reimmettono nei serbatoi naturali sotterranei attraverso pozzi di reiniezione.
Accanto alla dimensione produttiva, la geotermia toscana si distingue per la sua capacità di integrarsi nel tessuto sociale ed economico locale. Il calore geotermico residuo – dopo aver alimentato le turbine dell’impianto di generazione - è ceduto gratuitamente o a costi agevolati per alimentare reti di teleriscaldamento che raggiungono oltre 13.000 utenze, scuole, palazzetti, piscine e edifici pubblici, riducendo le emissioni e i consumi di combustibili fossili. Lo stesso calore sostiene attività agricole e artigianali, come serre per la coltivazione di fiori e ortaggi e aziende alimentari, che utilizzano questo calore «di scarto» invece di bruciare gas o gasolio. Persino la produzione di birra artigianale può beneficiare di questa fonte termica sostenibile!
Ma c’è dell’altro, perché questa integrazione tra energia e territorio si riflette anche sul turismo. Le zone geotermiche della cosiddetta «Valle del Diavolo», tra Larderello, Sasso Pisano e Monterotondo Marittimo, attirano ogni anno migliaia di visitatori. Musei, percorsi guidati e la possibilità di osservare da vicino fenomeni naturali e impianti di produzione, rendono il distretto un caso unico al mondo, dove la tecnologia convive con una geografia dominata da vapori e sorgenti naturali che affascinano da secoli viaggiatori e studiosi, creandoun’offerta turistica che vive grazie alla sinergia tra Enel, soggetti istituzionali, imprese, tessuto associativo e consorzi turistici.
Così, oltre un secolo dopo le prime lampadine illuminate dal vapore di Larderello, la geotermia continua ad essere una storia italiana che unisce ingegneria e paesaggio, sostenibilità e comunità. Una storia che prosegue guardando al futuro della transizione energetica, con una risorsa che scorre sotto ai nostri piedi e che il Paese ha imparato per primo a trasformare in energia e opportunità.
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Ecco #DimmiLaVerità del 18 dicembre 2025. Con il nostro Stefano Piazza facciamo il punto sul terrorismo islamico dopo la strage in Australia.
A Bruxelles c’è nervosismo: l’Italia ha smesso di dire sempre sì. Su Ucraina, fondi russi e accordo Mercosur, Roma alza la voce e rimette al centro interessi nazionali, imprese e agricoltori. Mentre l’UE spinge, l’Italia frena e negozia. Risultato? L’Italia è tornata a contare. E in Europa se ne sono accorti.