2022-05-19
Perlasca si costituisce parte civile
Udienza del processo presso il Tribunale di Stato del Vaticano (Ansa)
Ieri i giudici hanno accolto la richiesta del principale teste d’accusa. Così si «scongela» anche il capo di imputazione verso Angelo Becciu: le pressioni per far ritrattare il suo sottoposto.Da indagato a supertestimone a parte civile. È questa la parabola del ruolo di monsignor Alberto Perlasca, il principale teste di accusa nel processo sulla gestione delle finanze di Oltretevere in corso davanti al Tribunale di Stato della Città del Vaticano. Ieri i giudici hanno sciolto la riserva e accolto parzialmente la richiesta, presentata il 5 maggio scorso di buon mattino dal difensore di Perlasca, Alessandro Sammarco. Secondo quanto risulta alla Verità Perlasca entra quindi nel processo (che riprenderà questa mattina) come parte civile per il capo d’imputazione più importante tra quelli su cui verteva la richiesta, ossia le pressioni subite per ritrattare le sue dichiarazioni. Nello specifico, si tratta del capo d’imputazione Ee secondo il quale Becciu «avendo appreso che nei suoi confronti monsignor Alberto Perlasca aveva reso dichiarazioni accusatorie, lo incitava, attraverso il vescovo di Como, Sua Eccellenza Oscar Cantoni, superiore gerarchico diocesano del Perlasca e, dunque, a lui legato dal vincolo di obbedienza, a ritrattare quanto dichiarato ai magistrati nell’ambito dei procedimenti a suo carico». Accuse che Becciu, durante la scorsa udienza aveva smentito, confermando però l’intervento su Cantoni e sostenendo che «l’unica via che ho ritenuto in quel momento percorribile è stata quella di confidarmi con il vescovo di Como esprimendogli tutto il mio dispiacere e il mio dolore nell’apprendere che monsignor Perlasca raccontava falsità, dicendogli che se veramente Perlasca aveva detto quanto leggevo sui giornali, sarei stato costretto, con profondo dolore, a tutelare la mia onestà, e quindi, mio malgrado, denunciarlo per calunnia». Al momento è finita diversamente, con Becciu imputato e Perlasca parte civile per quel suo intervento. Con l’accoglimento della richiesta, rispunta anche un’imputazione che era stata «congelata». Il capo Ee era infatti tra quelli che l’ordinanza emessa il 6 ottobre scorso dal presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone aveva rimandato all’Ufficio del promotore di giustizia, equivalente vaticano della Procura della Repubblica. Una seconda parte della richiesta, relativa ad un’altra imputazione, è stata invece respinta per un vizio di forma. Ieri era anche il giorno della seconda parte dell’interrogatorio di Becciu, che ha avuto un battibecco con l’aggiunto Alessandro Diddi, che ha contestato al cardinale i suoi «non ricordo». Becciu si è difeso spiegando che «lo stress di questo processo ha influito molto sulla mia memoria» e rispondendo «non è che firmavo senza guardare ma c’erano centinaia di documenti da firmare. Il sostituto alla segreteria di Stato ha mille cose da fare». Becciu, pur essendo stato dispensato da papa Francesco dal segreto pontificio, non ha voluto parlare del caso di Cecilia Marogna, coinvolta, secondo l’ex numero due della Segretaria di Stato nella liberazione della suora Gloria Cecilia Narvaez, rapita in Mali dagli jihadisti. Il cardinale ha invece fornito, con toni singolari, una spiegazione sul pernottamento della Marogna a casa sua che era emerso dagli atti processuali: «Sono un fedele lettore del Manzoni. Ricordate fra Cristoforo che accoglie Lucia al monastero e alle contestazioni risponde “Omnia munda mundis”?. Lei alla sera venne da me, dovevamo parlare. Si fece tardi. Quando stava uscendo le suore che mi assistono in casa mi dissero: “La signora ha paura d’andare in albergo perché c’è il Covid, possiamo alloggiarla noi?”. Io dissi di sì. L’ho ritrovata la mattina dopo a colazione e poi è andata via. La cosa andò così», aggiungendo anche di sapere che la donna «collaborava con i servizi segreti», ma chiosando con «non posso dire di più».