Crescita dei prezzi all’8%, come nel 1986, trainata dal +64% del comparto energetico rispetto a un anno fa. Sarebbe urgente riattivare le sette centrali a carbone, invertire la rotta sulle trivelle e affrontare il tema Libia.
Crescita dei prezzi all’8%, come nel 1986, trainata dal +64% del comparto energetico rispetto a un anno fa. Sarebbe urgente riattivare le sette centrali a carbone, invertire la rotta sulle trivelle e affrontare il tema Libia.Prevedibile, anche se drammaticamente non prevista dai governi e dalla Banca centrale europea. L’inflazione italiana ha toccato l’8% riportando la lancetta dell’orologio al 1986. Lo scorso gennaio era al 4,8, mentre a fine 2021 era meno della metà del dato odierno. Tanto per rendere la drammaticità del momento, soltanto il mese scorso non superava il 6,8%. Una galoppata che suggerisce per prima cosa di diffidare dalle ultime rassicurazioni fuoriuscite dalla bocca di Christine Lagarde. Per il numero uno della Bce la diminuzione del nostro potere d’acquisto è sotto controllo. Entro la fine del 2023 la crescita dei prezzi generalizzata tornerà all’interno del perimetro del mandato Bce. Tradotto si tornerà a viaggiare sul 2%. il mandatoAl momento Francoforte è convinta di avere avviato le leve giuste. Ritoccando i tassi all’insù (in scia di quanto ha fatto la Federal reserve) si punta a creare un po’ di recessione e intervenire sulla matrice stessa dei consumi. L’intervento monetario però non basterà. Sul tavolo ci sono tanti altri fattori che rientrano nell’alveo di uno scontro economico che sta mettendo a dura prova la globalizzazione. Se andiamo infatti ad analizzare un po’ più nel dettaglio il carrello della spesa vediamo che a trascinare sono i prezzi del comparto energetico aumentati anche del 64% rispetto allo stesso mese del 2021. Mantenendo percentuali di crescita costanti rispetto al periodo precedente l’invasione russa dell’Ucraina. Segno che l’effetto guerra non si è ancora del tutto scaricato sulla nostra inflazione e che - guardando l’altro lato della medaglia - la corsa dell’energia e delle materie prime è sostenuta dal forte scontro geopolitico tra Est ed Ovest ma anche dalla rivoluzione «green» avviata dall’Unione europea. Gli alimentari freschi, e tendenzialmente a chilometraggio ridotto in fase di trasporto, segnano infatti un più contenuto +3,8%. Si tratta di un dato storico che ci riporta indietro negli anni, ma in ogni caso più facilmente maneggiabile rispetto alla situazione scomposta dell’energia e della filiera dell’approvvigionamento produttivo. Il che ci riporta a un ragionamento e a rivedere le politiche Ue. Se non vogliamo essere travolti dall’inflazione è il caso di fermare la corsa all’ecologismo di impronta totalitaria. Per prima cosa andrebbe subito smontata l’impalcatura degli Ets, il sistema per lo scambio di emissioni. Una micidiale macchina che alimenta l’inflazione. I limiti fissati per le emissioni stanno inoltre creando un effetto leva rispetto alla guerra economica in corso. Da un lato l’Europa spinge per le rinnovabili, tassa ciò che - secondo i nuovi dettami - inquina e fa salire i prezzi sia sul fronte della domanda che sul fronte dell’offerta. Salgono i prezzi dell’energia da fonti fossili e pure da rinnovabili. Basti pensare che il monopolio delle batterie e dei pannelli solari è in mano ai cinesi. E quindi saranno loro a decidere il listino prezzi. Anche se fanno errori politici, gli Usa hanno la capacità di gestire lo Stato in modo da compensare le posizioni della Casa Bianca. L’intervento della Corte suprema di due giorni fa è un messaggio chiaro nella direzione anti inflattiva. I giudici hanno stabilito che il governo americano non può fissare i limiti generali alle emissioni dalle centrali elettriche a carbone, che da sole producono il 20% di tutta l’elettricità degli Stati Uniti. Un segnale importante al mercato che indica una prima inversione di tendenza e un ritorno verso un più generale buon senso. L’Italia e l’Europa dovrebbe considerare l’ipotesi di tornare a prospettive ambientali accettabili. Inquinare un po’ di più e al tempo stesso sprecare meno risorse. Nel nostro caso significherebbe riattivare veramente le sette centrali a carbone delle 12 che avevamo fino al 2015. Queste ci darebbero da solo quasi il 5% del fabbisogno energetico. Tempo di attivazione, pochi mesi. È vero che il nostro Paese non produce più carbone (fatta eccezione nel Sulcis) ma in questo caso la dipendenza potrebbe essere ben bilanciata da fornitori che vanno dalla Cina all’Australia, dalla Colombia al Sudafrica.trivellare A maggior ragione l’inversione di rotta sulle trivelle dovrebbe essere ancor più celere. Il nuovo Pitesai, approvato lo scorso febbraio, consentirebbe di passare da 3 a 6 miliardi di metri cubi di gas all’anno la capacità estrattiva dall’Adriatico. L’anno prossimo potremmo gestirci in casa quasi il 10% del fabbisogno di gas. Certo, non sarebbe sufficiente. Tanto che prima o poi il governo dovrà decidersi ad affrontare il tema Libia e la tremenda disfatta che stiamo subendo a Sud del Mediterraneo. Tutto ciò per ribadire che per combattere l’inflazione bisogna uscire dagli schemi tradizionali delle banche centrali. Abbandonare l’ideologia e tornare ai fondamentali.
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Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
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Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.