
Da Lucia Annunziata a Piero Badaloni a Lilli Gruber, la militanza politica non ha mai fatto scandalo alla tv di Stato. Purché sia di sinistra.Scusate, ma perché in Rai Gad Lerner sì, e Maria Giovanna Maglie no? Sostiene Lerner: «La Rai è di tutti, anche degli italiani che non la pensano come Matteo Salvini». Impeccabile. Ma pure di quelli che non la pensano come te, caro Gad, che volendo dimostrare di essere moralmente superiore scadi nell'insulto definendo questo giornale «fogliaccio» e il suo direttore un «brutto ceffo squadrista».Perché non è una novità: «A sinistra molti ritengono che la Rai sia cosa nostra» ammonì Giuliano Amato all'inizio degli anni Duemila, quando era presidente del Consiglio. Alla base della pretesa, un ragionamento «politico»: siccome Silvio Berlusconi era a capo del più grande agglomerato massmediatico privato, ecco che naturaliter il polo pubblico doveva essere considerato assegnato ai suoi competitor di centrosinistra.Da questo teorema discendono tuttora alcuni corollari. Se chi sbarca nella tv pubblica non è di sinistra, è quasi di sicuro un usurpatore. Non solo: i «nostri» - sempre quei pochi happy few, peraltro - sono scelti sulla base di meriti inoppugnabili. I «loro», invece, in quanto «lacchè» o «maggiordomi» screditati.Quanti giornalisti sono entrati in Rai tramite selezione? Di certo Bruno Vespa, che arrivò nel 1968 dopo un concorso (e per un concorso di cause - tra cui le capacità che ne hanno fatto un conduttore «equivicino», per usare l'espressione di Giuliano Ferrara - poi lì è rimasto fino a oggi; gli va comunque dato atto di aver svelato con onestà intellettuale il segreto di Pulcinella, quando disse negli anni Novanta che «l'azionista di riferimento del Tg1 è la Dc», come Psi e Pci lo erano degli altri tg). Altrettanto non si può dire per tutti coloro che sono transitati tra tg e reti che Dc, Psi e Pci - e poi centrodestra e centrosinistra - si sono contesi. A memoria: Lilli Gruber (Tg2/Tg1), Lucia Annunziata e Bianca Berlinguer (entrambe direttrici del Tg3, la prima perfino presidente della Rai per il centrosinistra), Enrico Mentana (Tg1/Tg2), Corradino Mineo (Tg3, Rainews24, poi eletto nel Pd, quindi in Sinistra Italiana), Piero Badaloni (Tg1, nel 1995 governatore del Lazio per il centrosinistra), David Sassoli (Tg3/Tg1, poi eletto in Europa con il Pd), Francesco Pionati, in quota Nusco (figlio di un ex sindaco di Avellino, amico di Ciriaco De Mita; è stato vicedirettore del Tg1), Fabrizio Del Noce (Tg1), Augusto Minzolini (Tg1, poi in Senato per il Popolo delle Libertà), Clemente Mimun (unico giornalista ad aver diretto i tre principali tg italiani: Tg1, Tg2, Tg5). Lo stesso Lerner per un breve periodo è stato direttore del Tg1 (si è dimesso dopo la messa in onda di un servizio sulla pedopornografia). Giovanni Minoli invece era capostruttura di Rai2 quando comparve in alcuni spot del Psi accanto a Bettino Craxi. E venendo all'oggi: l'attuale direttore del Tg2, Gennaro Sangiuliano, è stato giovane attivista del Msi, poi giornalista di Libero, ma la sua firma la si ritrova anche in articoli per Espresso e Sole 24 Ore, quindi candidato non eletto per il centrodestra alle politiche del 2001, infine in Rai in relativa «quota».Il bello è che, esaurito il mandato politico, c'è chi è rientrato in Rai come se niente fosse: Badaloni, Pionati che è ancora lì, Del Noce (che diventò addirittura direttore di Rai1).Ora, se la logica - per cui provo profonda ripulsa (ho votato sì alla privatizzazione della Rai nel referendum del 1995) - è questa, e cioè: se vuoi fare informazione in Rai devi accettare, o subire, di essere «incasellato», diventa poi risibile immaginare che chi riflette una posizione culturale - alla luce dei risultati elettorali odierni, a torto o a ragione - di minoranza nel Paese si veda garantito l'accesso a viale Mazzini (Lerner), mentre chi si ritrova dalla parte della maggioranza paradossalmente sia ostracizzato (Maglie).Questo ci porta dritti al cuore del problema: la cosiddetta impresentabilità di chi proviene da - o è approdato a -destra. Maglie sarebbe indegna perché ha sì lavorato al Tg2, come alcuni dei succitati colleghi, ma lei come «serva» (giudizio al vetriolo che si basa su una sua sincera ammissione: «Diciamo che Bettino Craxi mi ha dato una mano per entrare in Rai», le estorsi nel 1990 in un'intervista per Panorama), e perché protagonista di una storiaccia di rimborsi spese. Finita nel nulla, si dovrebbe aggiungere: il pm chiese e ottenne l'archiviazione per la presunta truffa, anche perché la Rai nemmeno si presentò in giudizio, con tanto di successive scuse da parte del capo del personale dell'epoca, Pier Luigi Celli, come lui stesso, uomo di centrosinistra, ha confermato alla Verità. Ergo: la Maglie è «brutta, sporca e cattiva», segnata vieppiù da quella sponsorizzazione che è uno stigma infamante.Le «nostre» frequentazioni sono invece quelle giuste, e il nostro giornalismo profuma di equilibrio - anche quando magari mischia pubblico e privato - perché «piace alla gente che piace». Per cui se Lerner si ritrova in Sardegna ospite nella villa di Carlo De Benedetti - Striscia la notizia ci fece un esilarante fotoromanzo - va tutto benissimo, perché l'ingegnere «fa chic» (o radical chic), tanto più se è anche il tuo editore. Figuriamoci se poi ad assumerti è Gianni Agnelli: «A fine '92 mi chiama Ezio Mauro e mi propone la vicedirezione della Stampa, da Agnelli nessun ostacolo ma solo una domanda quando ci vediamo: “È vero che quando lei era in Lotta Continua girava con la pistola?"», ha raccontato Lerner facendo finta di non pavoneggiarsi. E quando in tv a La7 provocò Paolo Mieli per una sua presunta, grave scorrettezza da direttore del Corriere della Sera, Mieli lo annichilì gelido: «Mea culpa, Gad. Sei stato bravo a ricordarlo. Anche eroico, perché davanti a quelle vessazioni, il fatto che nel mondo dell'informazione ci sia stata una persona come te, limpida e trasparente, è una confortante garanzia». Lerner incassò in silenzio.Anche la Gruber è stata immortalata in Sardegna chez De Benedetti, ricambiando con un invito in tv a La7 e riservandogli un trattamento di riguardo: nessun altro giornalista presente, solo lui e la padrona di casa per un faccia a faccia, in un clima molto friendly. Privilegio riservato solo a un altro ospite: Franco Bernabè, che dell Gruber è per inciso il testimone di nozze e che quando era amministratore delegato di Telecom la volle a Ottoemezzo al posto di Ferrara presentatosi alle elezioni.La7, nel suo piccolo, è la tv dei testimonial di nozze: Mentana, quando si sposò nel 2002, ne ebbe due di assoluto prestigio, Diego Della Valle e Fedele Confalonieri. In tempi più recenti, Mentana è stato paparazzato a bordo dello yacht dell'imprenditore marchigiano, quasi ex patron della Fiorentina, barca dove ha trovato modo di rilassarsi anche Michele Santoro, visto con bicchiere di sciampagnino in mano.Di Lucia Annunziata non ci sono scatti su riviste di gossip, ma foto d'epoca che ne certificano l'impegno politico fin dalla giovane età: un'assemblea studentesca alla presenza del leader del Pci Giorgio Amendola, lei al tavolo di presidenza con Fabio Mussi, Walter Veltroni e Massimo D'Alema. Con quest'ultimo verrà fotografata nel 1996 in piazza Santi Apostoli, la sera della vittoria dell'Ulivo di Romano Prodi, anche in questo caso sul palco in un tripudio di bandiere, qualcuna ancora con la falce e martello. Ecco perché in Italia non si può fare la rivoluzione: «Perché ci conosciamo tutti» (come da fulminante osservazione di Leo Longanesi). E perché ci sono relazioni più nobili di altre, e se vuoi salvaguardarti la carriera devi essere pronto a baciare la pantofola «giusta». In caso di indisponibilità, tuttavia, il potente di qualunque natura o colore non dovrebbe mai cercare di «imbavagliare» i giornalisti sgraditi. Anche perché l'attacco fa sorgere intorno al bersaglio l'aura del martire, trasformando la fatwa in un boomerang.Raccontò Umberto Brunetti, direttore di Prima Comunicazione, a Stefano Lorenzetto in un'intervista per Panorama 15 anni fa: «Repubblica il 12 novembre spara in prima pagina: “Mentana licenziato dal Tg5". Come licenziato? Non è vero! Ma se erano sei mesi che trattava. E poi ti pare che stava 13 anni insieme con Berlusconi senza andarci d'accordo? Tre miliardi lordi prende questo ragazzo. S'è mai visto uno che resta nella stessa azienda, con lo stesso stipendio, con la poltrona di direttore editoriale, con tre prime serate a disposizione in tv e con una liquidazione della Madonna già garantita nel caso si dovesse stufare? E ha il coraggio di andare in giro a dire: “Mi hanno sollevato dall'incarico"!».In conclusione, i politici dovrebbero sempre astenersi dall'indicare chi può o non può, deve o non deve lavorare in tv, radio, giornali, web, in Rai o nel privato. I giornalisti dovrebbero sempre rifiutarsi di diventare embedded, rinunciando alle conseguenti prebende (contratti, incarichi eccetera). Ma se in Rai l'andazzo è quello di sempre: perché Lerner sì, e Maglie no?
Quest’anno in Brasile doppio carnevale: oltre a quello di Rio, a Belém si terrà la Conferenza Onu sul clima Un evento che va avanti da 30 anni, malgrado le emissioni crescano e gli studi seri dicano che la crisi non esiste.
Due carnevali, quest’anno in Brasile: quello già festeggiato a Rio dei dieci giorni a cavallo tra febbraio e marzo, come sempre allietato dagli sfrenati balli di samba, e quello - anch’esso di dieci giorni - di questo novembre, allietato dagli sfrenati balli dei bamba che si recheranno a Belém, attraversata dall’equatore, per partecipare alla Cop30, la conferenza planetaria che si propone di salvarci dal riscaldamento del clima.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Il 9 novembre 1971 si consumò il più grave incidente aereo per le forze armate italiane. Morirono 46 giovani parà della «Folgore». Oggi sono stati ricordati con una cerimonia indetta dall'Esercito.
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Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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Teresa Ribera (Ansa)
Il capo del Mef: «All’Ecofin faremo la guerra sulla tassazione del gas naturale». Appello congiunto di Confindustria con le omologhe di Francia e Germania.
Chiusa l’intesa al Consiglio europeo dell’Ambiente, resta il tempo per i bilanci. Il dato oggettivo è che la lentezza della macchina burocratica europea non riesce in alcun modo a stare al passo con i competitor mondiali.
Chiarissimo il concetto espresso dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: «Vorrei chiarire il criterio ispiratore di questo tipo di politica, partendo dal presupposto che noi non siamo una grande potenza, e non abbiamo nemmeno la bacchetta magica per dire alla Ue cosa fare in termini di politica industriale. Ritengo, ad esempio, che sulla politica commerciale, se stiamo ad aspettare cosa accade nel globo, l’industria in Europa nel giro di cinque anni rischia di scomparire». L’intervento avviene in Aula, il contesto è la manovra di bilancio, ma il senso è chiaro. Le piccole conquiste ottenute nell’accordo sul clima non sono sufficienti e nei due anni che bisogna aspettare per la nuova revisione può succedere di tutto.









