2020-09-18
Altro che matto: è omicidio premeditato
Il tunisino accusato di aver ucciso don Roberto Malgesini aveva comprato il coltello e seguiva il prete, già preso a bottigliate. Davanti al gip ritratta e nega tutto. La famiglia porta la salma in Valtellina per funerali privati.«Adesso sta provando a fare il matto davvero». La frase del poliziotto di pattuglia a San Rocco è sferzante, la piazzetta del delitto è tappezzata di fiori e la notizia della ritrattazione di Mahmoudi Ridha arriva come uno schiaffo in faccia alla città. L'auto con la bara di don Roberto Malgesini è ripartita da poco, si era fermata proprio qui fra il centro di Como e la tangenziale per una carezza di chi voleva bene al sacerdote martire e apprezzava il suo sacrificio quotidiano. I genitori e i fratelli erano scesi a pregare davanti al punto dov'è caduto, colpito dalle coltellate. Poi via, per l'ultimo viaggio verso la Valtellina. Verso la chiesa di Regoledo di Cosio dove oggi ci sarà il funerale e il cimitero fra le montagne dove riposerà fino all'ultimo giorno.Nel frattempo ciò che ieri era fermo, reso graniticamente immobile dalla confessione del tunisino, adesso si muove e torna torbido come acqua di palude. «Non sono io l'autore del delitto, non c'entro nulla», ha detto Mahmoudi in carcere durante l'interrogatorio al giudice per le indagini preliminari Laura De Gregorio. Una frase che ribalta una realtà assoluta fino a un momento prima, la stessa evoluzione dei fatti narrata dal presunto assassino quando martedì si è consegnato alle forze dell'ordine e ha reso piena confessione dicendo: «Sono contento di averlo ucciso». Una strategia che, forse, ha studiato da solo per allentare la pressione e di cui non era a conoscenza neppure il suo legale. Un colpo di teatro che non deve avere impressionato il gip, il quale ha immediatamente convalidato l'arresto per omicidio volontario con l'aggravante della premeditazione (rischia l'ergastolo).Soprattutto, il giudice ha stabilito che Mahmoudi è imputabile, vale a dire capace di intendere e di volere, quindi di stare nel processo. Il difensore chiederà la perizia psichiatrica come atto dovuto. Il particolare è molto importante nel contesto di un omicidio al quale immediatamente era stata applicata la giustificazione della follia. Un altro colpo di piccone alla falsa narrazione del matto afflitto da turbe psichiche (da nessuna parte rilevate né mai certificate in Comune, in questura, negli ospedali) tanto cara alla diocesi di Como, alla Caritas lariana, al mondo progressista dell'accoglienza diffusa. E purtroppo anche al Papa, costretto dallo storytelling dilagante ad accodarsi involontariamente alla bugia consolatoria che molti media vanno ripetendo a pappagallo. Il tunisino non era senzatetto (abitava in un piccolo locale dell'oratorio di Sant'Orsola) e non era pazzo. Intervistato dal quotidiano La Provincia, il sacrestano di Sant'Orsola Alessandro Roncoroni spiega: «Stava qui da noi da quattro anni, l'ho visto anche la sera prima del delitto perché gli ho aperto la porta per dormire. Non faccio lo psichiatria, ma mi pareva normale. Non era matto». La ricostruzione degli eventi portata avanti dagli investigatori - con la collaborazione decisiva del presunto omicida prima della ritrattazione - rivela anzi lucidità e determinazione negli intenti di Mahmoudi, che progettava l'atto violento da luglio, quando è entrato in un grande magazzino a comprare il coltello da cucina che sarebbe diventato l'arma del delitto. «L'ho pagato 19 euro, mi sarebbe servito per difendermi dalle persone che mi stavano facendo del male». Secondo lui quel decreto di espulsione dall'Italia che stava finalmente diventando esecutivo (a suo carico c'è un dossier alto mezzo metro con numerosi reati), era il risultato di un complotto. Quindi a meritare la morte avrebbero dovuto essere anche gli avvocati «che non facevano i miei interessi» e quel sacerdote che lo aiutava, che lo consolava, che gli aveva consigliato i legali. Ma che «era complice anche lui, come gli ho gridato prima di ammazzarlo». Il giorno prima del delitto Mahmoudi ha trascorso mezza giornata a passeggiare attorno al tribunale di Como per rintracciare i suoi avvocati, i fratelli Carlo e Vittorio Rusconi («volevo ammazzare loro»). Qualche giorno prima nella zona centrale di Porta Torre aveva minacciato don Roberto chiedendogli uno sforzo ulteriore per non farlo espellere. In passato gli avrebbe tirato anche una bottiglia in testa, gesto al quale il sacerdote rispose con un «non fa niente, in fondo è buono». Descritto come prepotente, arrogante da alcuni degli stessi volontari che lo aiutavano, al momento dell'arresto Mahmoudi - con le mani ancora insanguinate - ha spiegato in ogni particolare la dinamica dell'assassinio. «Alle sette di mattina don Roberto stava caricando i thermos delle colazioni sulla Panda, l'ho avvicinato dicendogli che avevo mal di denti. Mi ha risposto che mi avrebbe accompagnato all'ospedale verso le dieci, alla fine del giro. Ho aspettato il momento giusto per colpirlo, quando si è piegato per prendere un cartone». La prima coltellata è alla schiena, le altre sulle braccia, sulle spalle, poi alla gola. «Ho smesso di colpire perché mi sono ferito anch'io», ha detto agli investigatori che lo interrogavano. Aggiungendo: «Mi ha dato da mangiare ma alla fine mi ha tradito. Sono contento di averlo ucciso». Neppure due giorni dopo, ecco la clamorosa retromarcia.Accompagnato dall'amore di chi ha conosciuto il suo sorriso, lontano dal sangue e dalla cronaca nera, don Roberto Malgesini sale in Valtellina. Gli sono accanto papà Bruno, mamma Ida, i fratelli Mario ed Enrico, la sorella Caterina che sussurra: «Conoscendolo, lui ha già perdonato anche chi lo ha ucciso». Fin dal primo momento hanno detto al vescovo di Como, Oscar Cantoni, che avrebbero voluto portare a casa il loro ragazzo. Senza clamori, senza messe solenni, senza l'esibizione mediatica del dolore. E dopo tre giorni di trattative hanno vinto loro: i funerali verranno officiati dal vescovo ma nella piccola chiesa di Regoledo, mentre sabato in Duomo a Como si terrà una solenne funzione commemorativa per il grande abbraccio della città. C'è chi attribuisce la decisione dei famigliari non solo all'amor di sobrietà, ma anche allo stupore nel vedere un po' strumentalizzato dall'istituzione religiosa il sacrificio di quel piccolo San Francesco votato agli ultimi. Sensazioni.È invece una certezza il desiderio spasmodico da parte della politica di derubricare a incidente di percorso il sacrificio di un altro sacerdote. Ieri il presidente dei senatori di Italia viva, Davide Faraone, è partito per una delle sue grottesche crociate: ha denunciato alla Commissione di vigilanza della Rai (della quale fa parte) un giornalista di Rai 2 che si era azzardato a scrivere su Facebook che Mahmoudi «non è un folle, ma un immigrato clandestino ancora in giro grazie agli immigrazionisti». Oggi dire la verità è diventato un reato.
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson
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