2021-02-26
Il diktat tedesco: dell’euro non si parla
Il corrispondente della «Faz» Tobias Piller mi chiede se scriviamo falsità sull'euro per vendere copie. Peccato che il dibattito sui fatti non gli interessi: la moneta unica è un dogma di cui non si può parlare. Noi invece amiamo i dettagli e lasciamo a lui i pregiudiziDue giorni fa, con chiarezza esemplare, Giuseppe Liturri ha spiegato le ragioni di un piccolo bisticcio televisivo fra Romano Prodi e Ignazio La Russa dove, a un certo punto, l'ex presidente della Ue ha sentito il bisogno di tirare in ballo anche noi della Verità. Argomento del contendere, il valore di cambio con cui 20 anni fa l'Italia entrò nell'euro: fu conveniente per il nostro Paese fissare l'ingresso a 1.936,27 lire per un euro o fu penalizzante? Aiutò le nostre esportazioni oppure le ostacolò? Della questione si discute da anni, con Prodi che difende le sue scelte (era lui il presidente del Consiglio) e altri che invece le criticano. Nella discussione su La 7, dopo aver cercato di convincere La Russa, l'ex presidente è sbottato: «Non c'è niente da fare, non capisce. Hanno capito tutti, tranne La Verità e questi giornali qui». A parte il tono di disprezzo usato, non è vero che hanno capito tutti. O meglio: hanno capito in tanti, ma che quella scelta fu un errore. E tra quelli che hanno compreso ci sono fior di professori e di industriali, alcuni tra i più grandi del Paese. Liturri, dicevo, con pazienza e precisione mercoledì ha ricostruito i termini della questione, chiarendo che la scelta di un cambio ritenuto non vantaggioso trae origine dalla negoziazione che fu fatta anni prima, il 24 novembre del 1996, quando si decise il cambio marco/lira per il rientro dell'Italia nel Sistema monetario, una trattativa che si chiuse a 990 lire per un marco, in conseguenza della rivalutazione della lira. E il nostro Liturri, ricordando che nel 1995, con una lira a 1.250 contro un marco, le nostre esportazioni italiane volavano, conclude che fissare il cambio con il marco a 990 - da cui derivò automaticamente il cambio d'ingresso a 1.936,27 - di certo non favorì le nostre imprese. Vi chiedete perché vi ho riassunto una storia vecchia di 20 anni, dando spazio al battibecco già commentato fra Prodi e La Russa? Ve lo spiego subito. Dopo aver pubblicato mercoledì l'articolo del nostro commentatore ho ricevuto la lettera di un collega della Frankfurter Allgemeine Zeitung, quotidiano tedesco tra i più diffusi. Tobias Piller, corrispondente da Roma del giornale, mi scrive: «Gentile direttore, permetti una curiosità: prossimamente vorrei scrivere un editoriale sulle diverse “verità" tra Italia e Germania. Per questo non vorrei andare troppo in fondo sui dettagli dell'articolo di oggi, pagina 11, su Prodi e l'euro. Per me, certamente, è un falso storico. Quello che mi interessa è il perché. Ci si crede davvero? È uno strumento per distruggere prima o poi l'euro? Queste polemiche sono quello che si aspettano i vostri lettori, e per questo comprano La Verità e allora semplicemente contribuisce alla vendita? Mi fai sapere qualche tua idea spontanea?».Dopo aver letto la mail, avevo deciso di rispondere a Piller di non aver bisogno di spiegare alcunché, in quanto il collega mi sembrava aver già tutto chiaro nella sua testa. Infatti, in poche righe il corrispondente della Faz affermava, senza manifestare alcun dubbio, che la questione del cambio lira/euro era un falso storico, anzi una leggenda. Non solo: il corrispondente si chiedeva se alimentare tali falsità servisse a distruggere l'euro o, più semplicemente, a gabbare dei lettori creduloni, aumentando così le vendite. Dunque, Piller non era interessato ad approfondire l'argomento, per comprendere se la tesi di Liturri avesse fondamento, ma dall'alto delle sue inscalfibili convinzioni, mi interrogava solo sulle motivazioni della pubblicazione di un «falso storico», lasciando come possibili risposte due caselle: il complotto o il bieco sfruttamento di lettori cretini.Come dicevo, all'inizio avevo pensato di rispondere per le rime, con una mail privata. Poi ho però pensato che un simile concentrato di pregiudizi e di cattiva informazione fosse giusto renderlo pubblico, perché è da gente come Tobias Piller che dipende la percezione che negli altri Paesi si ha di noi. Mi spiego: il collega premette di non essere interessato ad approfondire i dettagli. Per lui le tesi di Liturri sono ininfluenti, perché il tribunale dell'informazione suprema ha già sentenziato che quanto scritto dal nostro editorialista sia da ritenere «un falso storico». Ah, sì? E chi lo ha deciso? Da Tremonti a Savona per finire a Romiti, in questo Paese ci si è spesso interrogati sul famoso ingresso nell'euro e nessuno ha emesso le sentenze che piacciono a Piller, ma semmai ha ritenuto che quel rapporto di cambio ci abbia penalizzato. Ma non sono stati solo alcuni ex ministri e l'ex amministratore delegato della Fiat a dimostrarsi convinti che il cambio lira/euro favorisse la Germania. La lista di persone che la pensano in questo modo è lunga, anche fuori dall'Italia, a cominciare da Wolfang Schaeuble, ex ministro tedesco delle Finanze e presidente del Bundestag, che in un'intervista ha candidamente ammesso: «È vero, noi approfittiamo dell'euro. Anche i tedeschi lo hanno capito». Il che non vuol dire essere contro l'euro e nemmeno contro la Germania o l'Europa, bensì riconoscere che si è sbagliato. Ma i pregiudizi del collega vanno oltre, perché egli dimostra di ritenere che chiunque la pensi in maniera diversa da lui sia un allocco «che ci crede davvero» o una persona in malafede «che diffonde balle». Scrive Piller: «Queste polemiche (sottintendendo leggende, ndr) sono quello che si aspettano i vostri lettori e per questo comprano La Verità e allora semplicemente (sottinteso: tutto ciò) contribuisce alla vendita?». In pratica, secondo lui, in redazione lavoreremmo per compiacere lettori stupidi, allo scopo di vendere di più. Insomma, saremmo più o meno come la Bild dei bei tempi di Axel Springer, ovvero un giornalaccio che asseconda i peggiori istinti del popolo. Invece, spiace per lui, siamo un giornale serio, molto più serio di un corrispondente della Faz che scrive, mentre si accinge a preparare un articolo pieno di pregiudizi, «di non voler andare troppo in fondo sui dettagli dell'articolo». Noi, al contrario, quando scriviamo vogliamo andare molto «in fondo sui dettagli» e non ci accontentiamo di pregiudizi e nemmeno di leggende. Ma questo appartiene al nostro modo di fare giornalismo, che è molto diverso da quello di Piller. Noi cerchiamo di capire i concetti, a lui bastano i preconcetti. È forse ciò che vogliono i suoi lettori. Di sicuro non i nostri.
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L'evento organizzato dal quotidiano La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Sul palco con il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin, il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, il presidente di Ascopiave Nicola Cecconato, il direttore Ingegneria e realizzazione di Progetto Terna Maria Rosaria Guarniere, l'Head of Esg Stakeholders & Just Transition Enel Maria Cristina Papetti, il Group Head of Soutainability Business Integration Generali Leonardo Meoli, il Project Engineering Director Barilla Nicola Perizzolo, il Group Quality & Soutainability Director BF Spa Marzia Ravanelli, il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il presidente di Generalfinance, Boconi University Professor of Corporate Finance Maurizio Dallocchio.