2018-10-29
Le pellicce valgono ancora 30 miliardi, ma ora i brand spacciano quelle vere per finte
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Grazie alle consumatrici millennial, il settore sta vivendo una nuova primavera. Dopo anni in perdita, nel 2017 il valore della produzione delle aziende italiane, a livello retail, ha registrato un aumento del 3,5% a 1,37 miliardi di euro, crescendo più veloce del +2,5% annuale registrato dall'industria del fashion made in Italy. Patchwork o animalier. I grandi marchi puntano sulla pelliccia e conquistano anche i più giovani. Cover per il cellulare, orecchini maxi ma anche scarpe con il tacco e cappelli da baseball. La mania del «faux fur» (un tessuto simile al mantello degli animali ma creato con fibre sintetiche). La mania colpisce tutta la moda che spesso vende prodotti veri etichettandoli per sintetici.Nato nelle fabbriche tedesche di giocattoli per bambini, il Teddy bear coat di Max Mara è tornato a essere il cappotto più amato da star e celebrities che lo hanno riscoperto grazie al direttore creativo del marchio Ian Griffiths.Lo speciale contiene quattro articoli e una gallery con i look dalle passerelle.Vere o finte, le pellicce sono sempre più protagoniste sulle passerelle e negli scaffali dei negozi. Un tempo status symbol, poi cadute in disgrazia a causa delle campagne delle associazioni animaliste, le pellicce naturali stanno tornando nei guardaroba delle consumatrici millennial, oltre ad essere molto richieste su mercati enormi come la Cina. E sull'altro versante le pellicce ecologiche, molto più morbide e belle rispetto al passato, stanno conoscendo una diffusione sempre maggiore. Ce n'è insomma per tutti i gusti, come ha sintetizzato Wang Honghui, vicedirettore del gigantesco complesso di produzione e design Haining China Leather City, dove viene realizzata la metà dei prodotti in pelliccia naturale made in China: «Ci sono due distinti gruppi di consumatori e c'è spazio per entrambi nel mercato: qualcuno ama il caffè, qualcun altro il tè». Di sicuro la Cina è di gran lunga il maggiore mercato mondiale delle pellicce naturali, che secondo le stime vale circa 30 miliardi di dollari a livello globale nel settore retail (in totale il giro d'affari del settore, comprese le attività di produzione, supera i 40 miliardi): nel Paese del Dragone le vendite al dettaglio ammontano a 17 miliardi di dollari all'anno, una cifra colossale. Nessun altro mercato singolo, nemmeno quelli di Russia e Stati Uniti, arriva a sfiorare i 5 miliardi all'anno. E in Italia? Dopo anni di declino, le prospettive sembrano tornate positive per i pellicciai del nostro Paese. Secondo le ricerche annuali commissionate dall'Aip, Associazione Italiana Pellicceria, a Price Waterhouse Coopers, negli ultimi dieci anni il valore della produzione italiana nel canale commerciale era infatti sceso dagli 1,8 miliardi di euro del 2006 e 2007 agli 1,6 miliardi del 2011, fino a toccare gli 1,2 miliardi nel 2016, con un calo dell'11,3% solo tra il 2015 e il 2016. Lo scorso anno, tuttavia, il trend che sembrava segnato si è invertito: nel 2017, in base all'ultimo report di Pwc presentato in occasione della terza edizione della fiera specializzata Theonemilano, il valore della produzione delle aziende italiane della pellicceria, a livello retail, ha registrato un aumento del 3,5% a 1,37 miliardi di euro, crescendo più veloce del +2,5% annuale registrato dall'industria del fashion made in Italy (tessile, pelle, pelletteria, abbigliamento e calzature). Un impulso considerevole a questa crescita arriva dalle esportazioni, cresciute del 4% grazie all'aumento della domanda da parte di mercati come Cina, Russia e Francia, mentre sono calate le richieste da Usa, Svizzera, Giappone ed Emirati Arabi. Ma è indicativo anche il dato sui consumi interni di pellicce vere, aumentati lo scorso anno dell'1,8% fino a sfiorare il miliardo di euro (996 milioni), dopo una serie di segni meno tra il 2012 e il 2016. Questo nonostante proprio il 2017 sia passato alla storia come l'anno in cui i big della moda hanno iniziato a dichiarare, uno dopo l'altro, il loro «no» all'utilizzo di pellicce vere nelle loro collezioni. Nella lista figurano nomi come Armani, Hugo Boss, Stella McCartney, Michael Kors, Jimmy Choo, Ralph Lauren, Calvin Klein, Burberry, Tommy Hilfiger, Gucci, imitati dopo pochi mesi da Versace , Furla, John Galliano e dal colosso della moda online Yoox Net-a-Porter. Non solo: la scorsa primavera la città di San Francisco ha messo completamente al bando la vendita delle pellicce, mentre in autunno il British Fashion Council ha deciso, dopo aver condotto un sondaggio tra gli stilisti in procinto di partecipare alla London Fashion Week, di non far salire più nessun tipo di pelliccia animale sulle passerelle di Londra.Una serie di decisioni che riflettono un cambiamento di mentalità, guidato da una crescente attenzione ai diritti degli animali, e che è alla base della sempre maggiore diffusione delle pellicce ecologiche. Su questo mercato i dati disponibili sono pochi, anche se la tendenza è evidente: non ci sono praticamente negozi che non espongano, tra le vetrine della collezione invernale, capi in pelliccia sintetica. Le «faux fur», letteralmente pellicce finte, sono più economiche e più leggere rispetto a quelle naturali: due caratteristiche che le rendono appetibili per i consumatori, specie i più giovani. Negli Stati Uniti, per esempio, secondo Business of Fashion il mercato è cresciuto del 2% dal 2012 al 2016 e ora vale 114,6 milioni di dollari. A rappresentare il settore nel 2016 è nato il Faux Fur Institute, che raggruppa oltre 220 marchi di moda che usano quasi esclusivamente pellicce finte. Secondo il fondatore, Arnaud Brunois, i brand di pellicce ecologiche avevano visto un aumento degli ordini del 10% tra il 2016 e il 2017. Dietro al successo delle faux fur ci sono certamente ragioni legate a una maggiore consapevolezza ambientale. Tuttavia, anche su questo punto il dibattito è aperto: i produttori di pellicce obiettano infatti che i prodotti sintetici sono realizzati con materiali non biodegradabili e microplastiche che spesso vanno a finire nelle falde inquinandole, a differenza del pelo naturale. Gli animalisti, dal canto loro, rispondono citando le emissioni di anidride carbonica legate all'allevamento degli animali da pelliccia, oltre alla formaldeide e agli altri materiali tossici usati per la concia e la tintura. Di sicuro questo dibattito, spesso molto acceso, ha portato a situazioni paradossali: come le truffe «al contrario», con pellicce naturali vendute come finte. È successo qualche mese fa a Milano, dove la polizia locale ha sequestrato in un negozio nel quartiere di Chinatown oltre 8mila capi di vestiario contenenti pellicce di origine animale, ma indicate in etichetta come sintetiche. E lo scorso anno erano finiti sotto accusa anche diversi siti di ecommerce, tra cui Amazon e Groupon, che avrebbero venduto capi contenenti pellicce vere spacciandoli per «cruelty free».Chiara MericoINFOGRAFICA!function(e,t,n,s){var i="InfogramEmbeds",o=e.getElementsByTagName(t)[0],d=/^http:/.test(e.location)?"http:":"https:";if(/^\/{2}/.test(s)&&(s=d+s),window[i]&&window[i].initialized)window[i].process&&window[i].process();else if(!e.getElementById(n)){var a=e.createElement(t);a.async=1,a.id=n,a.src=s,o.parentNode.insertBefore(a,o)}}(document,"script","infogram-async","https://e.infogram.com/js/dist/embed-loader-min.js");
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco
Ecco #DimmiLaVerità del 18 settembre 2025. Il nostro Carlo Cambi ci rivela tutti i dettagli delle imminenti Regionali nelle Marche.