2022-05-29
Pechino ci soffia droni militari ed elicotteri
La Cina da tempo cerca di acquisire il dominio dei cieli e la tecnologia italiana fa gola. Emblematico il caso di Alpi Aviation, che era stata ceduta per il 75% a imprese «sospette». Per il business del mare, attenzione anche alle mosse della «cinese» Ferretti.Le realtà tecnologiche e industriali italiane finite nel mirino della Cina negli ultimi anni sono numerose. Variano dal settore farmaceutico alla meccanica fino all’automotive. Ma Pechino ha sempre avuto un occhio di riguardo nei confronti della nostra industria aerospaziale, civile e militare. Tra il 2015 al 2020 gli aeroporti in Cina sono passati da 200 a 240. Non va dimenticato poi che l’aeroporto più grande de mondo è il Daxing di Pechino, inaugurato nel 2019. La Repubblica popolare cinese aspira da tempo alla leadership mondiale nell’ambito dell’aviazione civile. Da diversi anni in è in corso una vera e propria guerra economica e tecnologica, spesso sotterranea, segnata dalle tensioni tra Stati Uniti e Cina. I cinesi sono il secondo Paese al mondo a investire nel settore della difesa e della sicurezza. Sono anche tra i principali fornitori di armi, in particolare in Africa, ma hanno soprattutto un ruolo di leadership nella produzione e nella esportazione di droni civili e militari. Allo stesso tempo il governo cinese non spicca per particolare trasparenza nelle spese militari, né negli investimenti che vengono fatti all’estero. Di sicuro il settore dell’aviazione civile e militare italiano è stato negli ultimi anni più volte «avvicinato» dalla Cina. Emblematico, come ha sottolineato anche il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) nella sua relazione di febbraio sull’utilizzo del golden power, è il caso della Alpi Aviation di Pordenone, una azienda impegnata nella realizzazione di droni militari ad alta tecnologia che aveva ceduto il 75 per cento delle proprie quote al controllo di due rilevanti aziende riconducibili alla Repubblica popolare cinese. La cessione risaliva al 2018, all’epoca del governo di Giuseppe Conte. Alpi Aviation sarebbe passata a Mars Information Technology, società con sede a Hong Kong e legata appunto ad aziende di Stato cinesi. Solo grazie a un’indagine della Guardia di finanza e a un intervento della presidenza del Consiglio la vendita è stata annullata: finì sotto inchiesta anche l’ex comandante delle Frecce Tricolori Massimo Tammaro. Ma negli ultimi anni i cinesi hanno messo gli occhi anche su Piaggio Aerospace, altra azienda produttrice di velivoli civili, militari e a pilotaggio remoto, passata nel 2014 a Mubadala, fondo degli Emirati Arabi Uniti. In amministrazione straordinaria ormai da 4 anni, già nel 2017 erano circolate voci sul fatto che un consorzio cinese fosse pronto a rilevare il ramo d’azienda che produce jet executive. Esiste infatti un asse con la Cina che passa da Abu Dhabi e Dubai. Poi l’offerta sfumò. Ora Piaggio Aerospace è in attesa di nuovi acquirenti. E a quanto pare i cinesi si sarebbero fatti da parte. Di sicuro i buoni rapporti tra l’azienda di Villanova D’Albenga produttrice del drone P1hh e Pechino, erano dovuti anche all’ex amministratore delegato Alberto Galassi, attuale numero uno del gruppo Ferretti, leader nella produzione di yacht. Ferretti è stata salvata nel 2018 proprio dai cinesi. Il gruppo è controllato dal gruppo Weichai ed è quotato alla Borsa di Hong Kong. Ferretti ha anche una divisione difesa, «specializzata della progettazione, produzione, vendita ed assistenza di piattaforme navali per la sicurezza». Produce scafi da diporto e pattugliatori che vengono usati oltre che dalle nostre forze dell’ordine, anche dalla marina militare cinese nel pattugliamento delle coste. Vanno poi segnalata aziende più piccole, ma sempre strategiche finite nel mirino della Cina. C’è il caso di Famà Helicopters azienda italiana produttrice di elicotteri. Ma anche Konner, altra impresa impegnata nella produzione di elicotteri, ha da tempo un forte rapporto commerciale con Pechino. C’è infine la Mwfly di Rho, leader nella produzione di motori aeronautici per l’impiego di velivoli leggeri. Ha una sede anche in Cina a Jiangsu, nell’aeroporto della Shenyang Aircraft Corporation, storica azienda aeronautica cinese, impegnata tra l’altro nella realizzazione di aerei da combattimento. È difficile fare una stima di quanti accordi tra Italia e Cina siano stati stipulati dal 2018 a oggi, quando il governo Conte firmò l’alleanza sulla via della Seta. Gran parte di quei progetti sono sfuggiti al controllo del governo, perché sono stati stipulati direttamente con le singole università. Per di più in Italia manca un sistema centralizzato di autorizzazione degli accordi. Senza parlare poi del numero di studenti o giovani laureati che autonomamente cercano opportunità all’estero e finiscono nella rete dell’intelligence cinese, sempre interessata al know how delle menti migliori, specie nei settori ad alto valore aggiunto, come appunto quello aerospaziale. Anche su questo il Copasir ha lanciato un allarme pochi mesi fa, ricordando il «crescente l’interesse da parte di attori statuali stranieri, in particolare cinesi, nei confronti del mondo accademico italiano, in special modo per quegli ambiti nei quali più avanzata risulta l’attività di ricerca». Ma, aggiungeva il comitato «a fronte del finanziamento delle attività di ricerca erogato da parte del partner privato, ci si espone al concreto rischio di una sottrazione di tecnologia e know how. […] questo approccio adottato da alcune aziende straniere rischia di costituire una sorta di “cavallo di Troia” in grado di aggirare i paletti fissati dal golden power rispetto alla penetrazione in alcuni settori industriali strategici».