
Fino a pochi anni fa il leader albanese era un «caro amico» dei progressisti. Adesso che aiuta la Meloni, finisce all’indice.Non so se i centri di permanenza per i rimpatri che il governo Meloni intende aprire in Albania vedranno mai la luce e neppure sono in grado di dire se serviranno a ridurre gli sbarchi in Italia. Tuttavia, è bastato l’annuncio dell’intesa sottoscritta con Tirana per raggiungere un risultato: far esplodere il Partito democratico e mostrare agli italiani l’ipocrisia di una parte politica che dice di avere a cuore gli interessi nazionali, ma invece persegue con una buona dose di cinismo soltanto degli obiettivi speculativi, anche a scapito del proprio Paese. Come è noto, il presidente del Consiglio ha lavorato in prima persona all’accordo con Edi Rama e nonostante l’operazione fosse delicata e coinvolgesse diversi aspetti, a cominciare dalle relazioni internazionali per finire alle questioni giuridiche, nulla è trapelato, al punto che in seguito alla conferenza stampa dei due premier, perfino nel centrodestra si è avuta una certa sorpresa. Ma se gli esponenti della Lega e di Forza Italia, informati a cose fatte, si sono dimostrati felicemente meravigliati, a sinistra l’espressione che più si addice per definire l’atteggiamento è «infuriati». Non tanto perché Meloni ha trovato un modo per lanciare un segnale a scafisti e immigrati e insieme per venire incontro alle richieste degli italiani che reclamano meno immigrazione e comunque si oppongono ai Cpr di fianco a casa. Ma in quanto l’aiuto al capo del governo è arrivato da uno di loro, ossia da un politico che fa parte del Partito socialista europeo insieme al Pd. Già, Edi Rama è di sinistra, proprio come Elly Schlein e come Giuseppe Provenzano o Andrea Orlando, che dopo l’intesa sottoscritta dal primo ministro albanese hanno chiesto la cacciata dal Partito socialista di lui e del suo partito. Il patto tra Roma e Tirana «viola il diritto internazionale e l’articolo 10 della Costituzione» secondo la segretaria del Pd. Dunque, non potendo momentaneamente espellere «per questioni di compatibilità» Giorgia Meloni, i compagni sperano di rifarsi su Rama, che li ha messi in forte imbarazzo.Sono lontani i tempi in cui al premier socialista del piccolo Paese balcanico erano dedicate parole di miele. Nel marzo del 2020, quando Rama inviò in Italia medici e infermieri per dare una mano nei nostri ospedali travolti dalla prima ondata di Covid, Enrico Letta, all’epoca non ancora segretario del Pd ma solo riserva del partito, su Facebook si lasciò andare a una sviolinata. «Il gesto dell’Albania verso il nostro Paese vale davvero tanto. Una relazione davvero speciale resa ancora più forte dal via libera del Consiglio Europeo all’apertura dei negoziati per la futura adesione a Ue». E quando nel 2018 Massimo D’Alema ricevette dalle mani del presidente albanese Ilir Meta la prestigiosa onorificenza intitolata a Madre Teresa di Calcutta, Edi Rama fu salutato dall’ex segretario del Pds come un caro amico. «Lo ricordo ancora ministro della cultura di tanti anni fa» disse il fu premier e ministro degli esteri nel governo Prodi «e di lui ho seguito la straordinaria esperienza di sindaco di Tirana e poi l’avvento alla guida del partito socialista e alla guida del Paese. Un rapporto di amicizia e di collaborazione che ho coltivato insieme a Giuliano Amato». Ecco, Rama fino a ieri era portato in palmo di mano dalla sinistra italiana, che addirittura sponsorizzava le richieste di ingresso del suo Paese nella Ue, parlando dei successi conseguiti dalla repubblica balcanica nel giro di pochi decenni. Ma è bastato che il premier albanese sottoscrivesse un’intesa con Giorgia Meloni per la costruzione di due Cpr lungo la costa adriatica, che subito le sue azioni in casa Pd sono precipitate. All’improvviso, i compagni di Largo del Nazareno si sono accorti che il compagno Rama «ha tradito i valori della famiglia socialista» e reclamano un iter spedito per cacciarlo. Fino a ieri, nessuno si era lamentato per le sue relazioni, comprese quelle con Erdogan che lo avevano portato a esprimere parole favorevoli nei confronti del sultano turco. Ma che ora il premier sia arrivato a stringere un patto con la leader di Fratelli d’Italia, aiutando l’Italia e dunque il suo governo, è ritenuto un fatto di una gravità inaudita. La polemica, oltre ad avere aspetti che coinvolgono il congresso del Pse in corso a Malaga, ha un paio di ricadute nazionali. La prima è che il Partito democratico sta ribollendo, in quanto l’ala riformista non ci sta ad assecondare i diktat dell’ala massimalista impersonata da Schlein, Provenzano e Orlando. «Non siamo dei buttafuori» si lamentano i moderati. Insomma, i Cpr ancora non ci sono, ma la rissa a sinistra è già in corso. Tuttavia, queste sono faccende che riguardano i compagni. Ciò che interessa invece il nostro Paese è molto semplice. Di fronte a una nazione che dà una mano all’Italia, i vertici del Pd sono pronti a mettersi di traverso pur di farla pagare a Giorgia Meloni. In pratica, con un cinismo politico mai visto, la sinistra è pronta a tutto, anche a danneggiare l’Italia, regalandoci più migranti. Un partito contro la propria patria.
(Ansa)
Ignazio La Russa, Giorgia Meloni e Sergio Mattarella depongono la corona d'alloro sulla tomba del Milite Ignoto in occasione della Giornata dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate.
Valerio de Gioia (Imagoeconomica)
Il magistrato Valerio de Gioia: «Non capisco la netta chiusura di certi colleghi: il testo non mortifica le toghe. Sono favorevole al sorteggio del Csm: limiterà lo strapotere delle correnti. Pm sotto il governo? Nella riforma non c’è scritto».
Alfredo Mantovano (Imagoeconomica)
Il sottosegretario rispedisce al mittente le accuse di Anm e Pd: «Su rimpatri, industria e violenti ora comandano le toghe».
Massimo D'Alema (Ansa)
D’Alema, il primo ex comunista a Palazzo Chigi che appoggiò la Nato nei bombardamenti in Serbia, ora fa il terzomondista. Glissa sulla vicenda delle armi alla Colombia (e il «Corriere» gli dà manforte) e poi tira le solite stoccate contro la Meloni.






