2022-08-14
Il Pd voleva licenziare Mattarella
Sergio Mattarella (Imagoeconomica)
A inizio legislatura i dem hanno presentato, con la firma del capo della commissione Affari costituzionali, un ddl presidenzialista che prevedeva l’insediamento del capo di Stato eletto (e l’uscita di quello in carica) entro 70 giorni. Il senatore Tommaso Cerno conferma tutto. I loro assi nel programma: cannabis legale, matrimoni «egualitari», eutanasia e ius scholae.Ma andiamo con ordine. Al netto degli strepiti da campagna elettorale, forse non tutti sanno che una parte del Pd è sempre stata sensibile all’idea di un capo dello Stato scelto direttamente dal popolo. A cominciare dal fondatore, Romano Prodi, il quale qualche anno fa, sul Messaggero, scrisse che il presidenzialismo è «l’unica via di salvezza» per «uscire dalla paralisi». Non a caso, in questa legislatura appena conclusa, ben due proposte di legge «presidenziali» portano il marchio del Partito democratico, e sono state presentate lo stesso giorno: il 23 marzo 2018, con Mattarella già in carica sul Colle da tre anni. La prima proposta di legge porta la firma dell’apprezzato costituzionalista dem Stefano Ceccanti, insieme a esponenti di spicco del partito come Andrea Romano, Lia Quartapelle e Alessia Morani. Con Mattarella al Quirinale, Ceccanti ammise pubblicamente che i poteri del Colle sono fuori controllo, al punto da rendersi necessaria una riforma urgente: «Di fatto il capo dello Stato, ormai da tempo», dice Ceccanti, «esercita già quei poteri che gli verrebbero attribuiti formalmente con l’elezione diretta». Insomma, secondo il giurista Pd, Mattarella sarebbe protagonista di un presidenzialismo surrettizio. Ai limiti della rottura costituzionale. Una situazione talmente grave che in calce alla sua proposta di legge sta scritto: «Si auspica un esame in tempi rapidi». Come dire: non c’è un attimo da perdere, ne va della salute della Costituzione. Molto più interessante, tuttavia, è la seconda proposta di riforma targata Pd, che prevede addirittura, in caso di elezione diretta del capo dello Stato, le dimissioni automatiche del presidente in carica (che all’epoca era già Sergio Mattarella). Il progetto di legge in questione si intitola Modifiche alla parte seconda della Costituzione per assicurare il pieno sviluppo della vita democratica e la governabilità del Paese. L’ideatore è il senatore Tommaso Cerno, e tra i cofirmatari figura un nome pesante del Partito democratico: Dario Parrini, nientemeno che il presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato, cioè la massima autorità parlamentare in campo di riforme della suprema Carta. Nell’ultimo articolo di questo progetto di legge, dove si parla di norme transitorie, sta scritto: «La prima elezione del presidente della Repubblica a suffragio universale e diretto ha luogo entro settanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale». Tradotto: se la legge del Pd fosse stata approvata, Sergio Mattarella avrebbe avuto 70 giorni di tempo per sloggiare dal Quirinale, a prescindere dalla sua volontà, per far posto al nuovo presidente eletto dal popolo. Una vera e propria defenestrazione per legge. Interpellato da La Verità, l’estensore della proposta, Tommaso Cerno, conferma: «È una cosa ovvia. Nel momento in cui la Costituzione dice che il Capo dello Stato lo elegge il popolo, il presidente uscente, per rispetto delle istituzioni, riconsegna il mandato al popolo stesso. Ma questo non è un golpe: semmai sarebbe un golpe il contrario». È esattamente ciò che ha prospettato Silvio Berlusconi venerdì scorso, scatenando le ire del centrosinistra. Come può il Pd attaccare il capo di Forza Italia per un meccanismo che il Pd stesso aveva previsto nei confronti di Sergio Mattarella? A voler ben vedere, il progetto di legge targato dem è persino più «strong»: oltre alla decadenza di Mattarella, si prevede che nel giorno d’elezione del nuovo presidente si sciolga «di diritto» l’intero parlamento. Insomma, qui si parla della fondazione di una nuova Repubblica, completamente rinnovata: uno scenario che oggi farebbe gridare al regime il mondo progressista.Dunque ricapitoliamo: il Pd, che adesso si erge a difesa di Mattarella, ha depositato in Senato un disegno di legge che prevede il benservito a Mattarella, firmato dal capo della Commissione Affari costituzionali in quota Pd. Possibile? «Il Partito democratico sapeva tutto. È stato uno dei primi atti della legislatura, quando erano all’opposizione e ancora non ragionavano per convenienze politiche» racconta Cerno: «Io resto presidenzialista dai tempi di Craxi, loro invece cambiano natura, ma senza cambiare le facce».In questo caso la faccia (e la firma) sul disegno di legge «anti-Mattarella», ce l’ha messa il già citato Dario Parrini, toscano, renziano di ferro fino al 2019, quando snobba Italia Viva per restare nella «ditta»: «Continuo a lottare nel Pd». Dieci mesi dopo diventa presidente della Commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, sulla poltrona prestigiosa che fu di Nicola Mancino e del professor Leopoldo Elia. Oggi, con buona probabilità, verrà ricandidato alle prossime elezioni dalla segreteria Letta, nel collegio di Empoli, essendo già stato incoronato dalla federazione locale del partito. Abbiamo provato a contattare Parrini per avere la sua versione, ma non c’è stata risposta. E quella piccola, insignificante firma sulla legge «espelli-Mattarella»? Tutto dimenticato. In questa folle campagna elettorale dove purtroppo verba volant, ma per fortuna scripta manent.