2024-11-03
Il Pd getta la maschera: «L’obiettivo è imporre un mondo senza macchine»
I dem continuano a fare guerra alle auto. La Evi: «Durante il lockdown le emissioni non sono calate? Ma abbiamo continuato a mangiare e ad accendere la luce».L’idea che il presente richieda un graduale passaggio verso nuove fonti di energia, correttamente o erroneamente definite «più pulite», ha conquistato un consenso ormai abbastanza trasversale nei partiti politici europei. Quello che però tante volte viene taciuto, o quantomeno non specificato, è il come si intenda attuare la tanto agognata transizione ecologica. Il modello che hanno in mente a sinistra - pur senza offrire grandi soluzioni ai problemi imminenti - è emerso molto bene venerdì sera a Walden, il talk show condotto dal vicedirettore Francesco Borgonovo su Cusano News 7. E cioè un cambiamento imposto dall’alto, che ambisce a modificare lo stile di vita dei cittadini non per una libera scelta di questi ultimi, magari grazie all’emergere di nuove tecnologie oggettivamente più efficienti, bensì tramite divieti e obblighi.La narrazione ormai è nota, e ricorre incessantemente da oltre un decennio: bisogna «fare presto», perché «le persone muoiono». Morivano con il Covid, motivo per cui le misure liberticide dei governi Conte II e Draghi non potevano essere contestate (pena finire tra le file dei negazionisti e dei no vax), e morirebbero adesso a causa dei cambiamenti climatici, di cui siamo tutti responsabili. Il green, dunque, non deve essere una scelta politica ma un obbligo morale (dal retrogusto di ricatto). Quello che non è chiaro, però, è chi paghi. E che soluzioni vengano offerte ai cittadini. Intervenendo a Walden nella puntata di venerdì scorso, la deputata del Pd Ouidad Bakkali si è detta favorevole a una riduzione della mobilità privata. A domanda diretta del conduttore se fosse necessario diminuire il numero di automobili private in circolazione, l’onorevole Bakkali ha risposto di sì: meno auto e «più mezzi pubblici», «più trasporto pubblico locale». Ancora più esplicita è stata Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente. «Prima nell’intervista si parlava di un grandissimo numero di auto elettriche», ha detto riferendosi al servizio andato in onda in precedenza, in cui Giancarlo Genta, professore emerito al Politecnico di Torino, spiegava i motivi che rendono difficile, oggi, un passaggio completo al veicolo elettrico. «No», continua, «noi dobbiamo ripensare la mobilità. Io vivo a Roma, e per attraversare la città ci metto due ore. Noi dobbiamo avere un numero inferiore di auto private ma assolutamente un servizio pubblico di mezzi di trasporto che mi permettano di attraversare Roma, che io sia ricca o che io sia povera, in un tempo adeguato». Capito? La transizione all’auto green, nelle loro menti, non è un processo che porterà gradualmente i proprietari di veicoli tradizionali ad acquistarne di nuovi e più efficienti, bensì un sistema di «redistribuzione» verso l’alto della mobilità. Non è il cittadino che, di fronte a mezzi pubblici finalmente all’altezza, sceglierà liberamente di non prendere la macchina, ma è lo Stato (o peggio ancora l’Ue) a imporglielo mettendo delle regole che rendano tali beni inaccessibili. Inutile, per altro, segnalare che forse potrebbe non servire a molto. Ci ha provato Fabio Dragoni, il quale ha evidenziato come durante il lockdown del 2020, pur avendo quasi azzerato la mobilità di massa e fermato diverse attività produttive, la quantità di CO2 presente nell’atmosfera (nonostante le emissioni inferiori) ha continuato ad aumentare. «Io credo che anche quando ci siamo fermati con il Covid molte attività sono proseguite», ha replicato Eleonora Evi, altra deputata del Pd: «Abbiamo continuato a mangiare, ad accendere la luce e a portare avanti delle attività che hanno comunque contribuito a produrre dell’inquinamento, quindi polveri sottili ed emissioni di gas serra». Il lasso di tempo, specifica inoltre l’esponente dem, non sarebbe sufficiente a dimostrare alcunché. Quindi, verrebbe da dire, ci vuole o più green o più lockdown. «Dal mio punto di vista», ha continuato la Evi, è importante «ridurre oggi il numero di auto private che circolano soprattutto all’interno delle nostre città, con un impatto sull’inquinamento dell’aria e quindi sulla salute e sullo spazio vivibile, sul traffico». «Senza dubbio», prosegue, «abbiamo necessità di ripensare la mobilità, e si deve partire dalla riduzione delle auto. Dobbiamo renderci conto che noi italiani siamo il Paese in Europa con il maggior numero di automobili pro capite. È una follia. Noi prendiamo l’auto per fare anche distanze brevissime che potrebbero essere percorse in modi alternativi». Quali? «Andare a piedi, prendere i mezzi, andare in bicicletta e usare tutta quella mobilità dolce che oggi viene vituperata e su cui non si mettono soldi».Qui si apprezza il problema di metodo in tutta la sua pienezza. Innanzitutto, bisognerebbe spiegare che cosa significhi «ripensare la mobilità», in particolare - visto che si parla di iniziare oggi a limitare le auto - per le persone comuni, quelle che ogni mattina si devono alzare e andare al lavoro. Nell’immediato, come risolvere questo piccolo problema? In seconda battuta, quanti soldi servono per attuare il tutto? E dove li prendiamo, visto che i fautori del green sono gli stessi che da lustri inneggiano all’Unione europea che, con le sue regole fiscali, impedisce agli Stati di investire? Ma il problema maggiore, forse, è che ci sia qualche illuminato intenzionato a stabilire come i cittadini debbano spostarsi. Questo approccio, come ha sottolineato Alessandro Rico nel dibattito televisivo, non suona molto in armonia con i principi della democrazia. E il ricatto dell’emergenza permanente non può durare per sempre.
Jose Mourinho (Getty Images)