
Solo 40 giorni fa, quando l’Europa rischiava di subire dazi del 50% dagli Usa, Elly Schlein parlava di «vera sciagura per imprese e lavoratori italiani» e intimava a Giorgia Meloni di darsi da fare «con il suo amico Donald Trump». Adesso che tra Bruxelles e Washington tira aria di un punto di caduta al 10% e il premier mantiene una posizione cauta e possibilista, il segretario del Pd conferma di vivere in un universo parallelo e accusa: «L’Italia rischia di perdere decine di miliardi di euro in esportazioni e oltre 100.000 posti di lavoro». Non si sa che cosa debba ottenere l’Europa dalla Casa Bianca perché la Schlein si plachi, forse i dazi all’incontrario. Oppure la Meloni dovrebbe smettere di parlare con Trump e di incontrarlo, visto che sarebbe sempre segno di una qualche subalternità o di qualche tentativo di scavalcare l’Europa, anche se oggi il Pd protesta proprio contro i tentativi di accordo portati avanti da Bruxelles. Il paradosso è proprio questo: se ieri i dem intimavano al governo italiano di non trattare con gli Usa per cercare di strappare un accordo ad hoc per il nostro Paese, adesso chiedono all’esecutivo di intervenire. «Promemoria per il governo: è l’ora di dare uno sguardo al mondo reale uscendo dalla bolla della retorica trionfalista. Se Meloni e i suoi ministri tra una pacca sulle spalle e l’altra dessero un’occhiata fuori dalla finestra, vedrebbero la stangata in arrivo sull’economia e in particolare su alcuni settori importanti della nostra manifattura a causa dei dazi di Trump», ha detto Anna A scani, vicepresidente della Camera e deputata dem, «Mettendo la testa nel mondo reale il governo deve innanzitutto agire con convinzione, e senza ambiguità, con i partner dell’Unione». Sulla stessa linea Chiara Braga, capogruppo dem: «Che aspetta (la Meloni, ndr) a mobilitarsi, a usare le sue relazioni per far pesare l’Europa e mettere in sicurezza la nostra economia?». E poi: «Batta un colpo».
Come previsto, da ieri il commissario Ue al Commercio, Maros Sefcovic, un socialdemocratico slovacco, sta guidando una squadra di negoziatori con l’amministrazione Usa e tutto fa pensare che l’Ue sia pronta ad accettare dazi del 10%, in linea con l’accordo raggiunto dagli Usa con il Regno Unito, guidato dal laburista Keir Starmer.
L’intesa tra la Commissione e l’amministrazione Trump potrebbe arrivare già questa settimana, prima della scadenza della sospensione Usa delle tariffe reciproche prevista per mercoledì prossimo.
Visto che il governo italiano ha già fatto sapere informalmente che un accordo al 10% potrebbe essere il male minore, il Pd è andato su tutte furie, a costo di lanciarsi in una piroetta incredibile. Per la Schlein il governo starebbe minimizzando i rischi di un simile accordo, perché l’Italia «rischia di di perdere comunque decine di miliardi di euro in esportazioni e oltre 100.000 posti di lavoro». Poi è partita all’attacco della Meloni, definendo la sua posizione «una resa» a Trump, al pari dell’accettazione di un aumento della spesa militare al 5% del Pil, «a danno di welfare e sanità pubblica».
Eppure basta vedere che allarmi ha lanciato il segretario del Pd negli ultimi mesi per vedere che oggi dovrebbe quasi festeggiare. Lo scorso 23 maggio, la Schlein aveva ironizzato sui buoni rapporti tra Palazzo Chigi e Casa Bianca: «Trump oggi ha annunciato dazi devastanti al 50% per l’Unione europea dal primo giugno che sarebbero una vera sciagura per imprese e lavoratori italiani. Aspettiamo con ansia che la sua grande amica e pontiera Giorgia Meloni gli dica di fermarsi». Se alla fine si scendesse al 10% forse sarebbe meglio non fare la Cassandra. Il 18 aprile, intervistata dal Sole 24 Ore, la Schlein non era di buon umore, perché il giorno prima la Meloni aveva incontrato Trump a Washington. Allora si era spostata sull’effetto dazi: «Hanno già cominciato a fare danni ingenti ancora prima del 2 aprile, quando il presidente degli Stati Uniti Donald Trump li ha firmati, perché hanno causato quell’incertezza che è la prima nemica dello sviluppo economico». Una settima prima, dopo un’uscita volgare di Trump sugli alleati europei, il leader del Nazzareno ci aveva ancora marciato: «Prima Trump definisce parassiti noi italiani ed europei, e il governo Meloni fa orecchie da mercante abbassando la testa. Poi, lo stesso giorno in cui Giorgia Meloni annuncia trionfante che sarà ricevuta alla corte di Trump il 17 aprile, il presidente americano insulta con parole irripetibili chi propone un incontro per disinnescare una crisi finanziaria ed economica globale».
Gli Stati Uniti intanto continuano a firmare accordi al ribasso, dopo aver sparato alto e aver turbato i mercati. Così ieri tutti i listini hanno beneficiato della tregua firmata con il Vietnam, che prevede tariffe del 20% su tutte le merci inviate negli Usa e del 40% su qualsiasi trasbordo. Le azioni della Nike hanno subito fatto registrare un balzo del 3,8%, a riprova che alla fine Trump non è così «dannoso» per i colossi americani che hanno delocalizzato.
In realtà, se il 10% non sarebbe una tragedia per l’Europa, specie considerando come si era messa la partita all’inizio, esiste anche il problema dell’arretramento del dollaro, che rende le merci europee meno competitive. Lo sa bene Emanuele Orsini, presidente di Confindustria, che ieri spiegava: «Secondo le nostre stime, l’impatto per la nostra industria può valere circa 20 miliardi coinvolgendo 118.000 occupati». Per Orsini quindi «serve ancora negoziare tutti uniti come Europa. Il tema dell’incertezza è sempre un problema perché vengono meno le spinte sugli investimenti».
Adolfo Urso, ministro del Made in Italy, si augura comunque un accordo «in stile Regno Unito» e ricorda che il negoziato spetta a Bruxelles. Solo che il Pd e le opposizioni italiane, dopo aver inizialmente accusato il governo di sabotare l’Ue, ora difficilmente accuserebbero la Commissione di calare le braghe con Trump. Invece Pd, M5s, Avs e Italia viva hanno chiesto che la Meloni vada alla Camera urgentemente a riferire sulla linea del governo in materia di dazi.





