2022-06-12
Il Pd fan di guerra e pensiero unico alla marcia del Gay pride rivendica pace e libertà
Roberto Gualtieri e Nicola Zingaretti (Ansa)
Presenti alla parata arcobaleno nella Capitale anche i dem Roberto Gualtieri e Nicola Zingaretti.Il partito della guerra sfila sotto la bandiera della pace. Il partito del pensiero unico inneggia alle più variopinte libertà. La contraddizione è l’anima del Pd, nessuno si stupisce nel vedere Nicola Zingaretti (governatore) e Roberto Gualtieri (sindaco) in prima fila al Gay pride di Roma, fra drag queen, coppie omo e signori barbuti in longuette nel giorno dell’esaltazione dell’ideologia Lgbtq. «Torniamo a fare rumore» è il tema della manifestazione dedicata a Raffaella Carrà, pretesa icona gender. Ma il rumore di fondo non impedisce di notare le due ipocrisie dietro le bandiere arcobaleno: la «pace» invocata da chi invia armi pesanti in Ucraina e la «tolleranza» sbandierata da chi vuole imporre ai ragazzini di 11 anni teorie transgender a scuola bypassando i genitori.Detto questo va in scena il consueto circo che pretende di rappresentare il mondo gay ma lo macchiettizza. I numeri son fantasmagorici, vanno da 100.000 all’inizio a 900.000 alla fine (contati dagli organizzatori), compreso il concomitante concertone di Vasco Rossi al Circo Massimo. Uno spettacolo di strada che contiene tutto: Vladimir Luxuria, Niki Vendola e la Cgil; tacchi a spillo che traballano sotto piedi numero 45; qualche ambasciata straniera (Danimarca, Messico, Argentina) iperattiva per sentirsi à la page; striscioni banalotti riesumati da precedenti edizioni («Semo tutte froce», «L’unica cosa contro natura è l’ananas sulla pizza»); il triste Spiderman con il cartello «La ragnatela sulla politica non l’ho messa io»; una ventina di carri delle associazioni gay Mario Mieli, Muccassassina, Agedo, La Tuba, Latte Fresco; la cantante Elodie madrina in miniabito fucsia e piedi nudi dopo aver rotto un tacco; la singolare rappresentanza del quotidiano La Repubblica - in testa i vicedirettori Carlo Bonini e Francesco Bei - in cerca di nuovi orizzonti e nuovi lettori.Si erge sul podio degli orfani del Ddl Zan il politicamente bisexual Elio Vito che scatta selfie con improbabili generalesse queer per accreditarsi presso il Nazareno in vista delle prossime candidature. «Ditelo a Gasparri, a Pillon, a Kirill. Il pride è gioia, orgoglio, diritti per tutti», scrive il deputato di Forza Italia per caso, dimentico che Maurizio Gasparri è del suo stesso partito. Anche qui non poteva mancare il fuorisalone: il matrimonio gay di Alberto Matano con Mara Venier a officiare nel resort ai castelli romani con chef stellato. Ovviamente lontano dalle ascelle sudate di piazza Venezia.Dopo cinque anni di assenza di Virginia Raggi (due per pandemia), la Roma dell’identità di genere torna ad essere benedetta dalle istituzioni. Anzi dall’Lpdq, il partito diversamente etero rientrato in Campidoglio grazie all’ex ministro bluesman Gualtieri. Per l’occasione, la municipalità ha applaudito iniziative come la tinteggiatura arcobaleno della passerella pedonale all’aeroporto di Fiumicino, così i passeggeri furibondi perché in ritardo per colpa del volo o in cerca di un introvabile taxi possono consolarsi con un leggiadro pensiero di fratellanza gender fluid. Il Gay Pride avanza come un carro di Tespi. Elodie riesce nell’impresa di criticare Matteo Salvini, da lei definito «un essere umano poco corretto». La replica su Facebook è immediata: «È sempre colpa di Salvini. A Elodie, madrina e brava cantante, auguro ogni bene nel lavoro e nella vita, e alle sue parole poco carine rispondo con un sorriso».A proposito di polemiche, alcune associazioni cattoliche hanno affisso lungo il percorso manifesti critici sul «triste evento». Spiccano le parole pronunciate da Papa Giovanni Paolo II dopo il corteo colorato del 2000: «A nome della Chiesa di Roma non posso non esprimere l’amarezza per l’affronto recato e per l’offesa ai valori cristiani di una città che è tanto cara al cuore dei cattolici di tutto il mondo». A prima vista non si notano blasfemie eccessive come il Cristo gay dello scorso anno o la Madonna con i seni al vento mostrata qualche giorno fa a Cremona, ma la svolta becera è sempre in agguato. Poiché all’appello manca solo l’exhibition radicale, ecco puntuale Emma Bonino che twitta: «Pride è pace. Nato contro le discriminazioni subìte dalla comunità Lgbtq, oggi misura la salute di una democrazia: dove sfila c’è libertà. Teniamocela stretta, con l’Europa che la tutela». Il problema è che non sfila la libertà ma l’Occidente contraddittorio e decadente, il démi monde dei diritti universali che per il resto del pianeta sono desideri di gente ricca e annoiata, l’Europa del pensiero debole che alcune potenze mondiali (di sicuro quelle russa, cinese, indiana) e 1,8 miliardi di musulmani identificano con l’ingloriosa fine dell’uomo senza prospettive, senza orizzonti e senza identità, neppure sessuale. Nei circolini dem possono continuare a esaltare o criticare la fenomenologia gay per convinzione o per scopi elettorali. Ma se l’esportazione della democrazia significa anche questo, quattro quinti della Terra ci hanno già detto no. Un no a colori, un no arcobaleno. L’unico che siamo in grado di comprendere.