2022-07-17
Il Pd lancia l’appello al M5s: «Resta cu’mme»
Giuseppe Conte ed Enrico Letta (Ansa)
«Ci sono le condizioni perché Draghi vada avanti», afferma il segretario dei dem, implorando i grillini affinché restino in gioco. E supplica il premier di non abbandonare la sinistra smarrita. Una linea chiara nella sua ambiguità per tenere unito il partito.«Resta cu’mme, nun me lassà». Nel centrosinistra orfano sia di Mario Draghi che di Giuseppe Conte, siamo già a Domenico Modugno e alla sceneggiata delle lacrime. La pièce va in scena a Roma al congresso del Psi, che curiosamente ha per titolo «È il tempo del noi». Tutti insieme nel canotto del Pd, come spera Enrico Letta nel suo intervento: «Faccio un appello al Movimento 5 stelle perché sia della partita mercoledì in parlamento. Faccio un appello alle forze politiche che hanno sorretto il cammino del governo perché questo non si interrompa e venga rilanciato con un nuovo voto di fiducia». Poi una considerazione scontata: «Se il percorso si ferma sarà interpretato come la solita, drammatica, inaffidabilità italiana».Non c’è che la mozione degli affetti nell’auditorium Antonianum, dove gli addetti alla pace hanno preferito il condizionatore. Grazie alla decisione filoputiniana si evitano le chiazze ascellari ma il clima da comitato centrale aleggia mentre il segretario del Pd invita, anzi prega, anzi supplica Draghi di non abbandonare la sinistra smarrita. E Conte di rimanere in un campo mai così stretto. Letta apparecchia il tavolo per un win-win, il suo ideale sarebbe dire al popolo rosso e rosè: «È stato un brutto sogno». Parla di inaffidabilità italica ma auspica una soluzione all’italiana: le schiene dritte si piegano a metà settimana, per il solito «senso di responsabilità» di stampo mattarelliano buono per tutti i compromessi.La linea del Nazareno è chiara nella sua ambiguità: reimbarcare i naufraghi e tirare a campare sul Bounty fino a primavera, sapendo che ogni sondaggio dà il centrodestra vincente in eventuali elezioni d’autunno. Per ottenere lo scopo Letta spiega che «è necessario reimbarcare i 5 stelle, anche solo una parte». Per farlo, il Pd prepara una risoluzione d’intenti da sottoporre alla maggioranza mercoledì dopo l’intervento di Draghi. Un impegno scritto che dovrà essere votato (anche solo da una parte dei grillini) per sancire il loro ritorno a bordo.Il segretario sa che ogni altra decisione farebbe esplodere la polveriera dem. Con Base riformista (Lorenzo Guerini, Andrea Marcucci) che vede Draghi come la Madonna ma non vuole più saperne dei grillini, e la sinistra di Andrea Orlando, Francesco Boccia e Peppe Provenzano che continua a considerare Conte «un fiero alleato per portare avanti le nostre battaglie» (parole di Goffredo Bettini). Ieri Orlando ha ribadito il concetto for dummies: «Lavoriamo per proseguire con il governo di unità nazionale e ci auguriamo che la discussione nel Movimento 5 stelle aiuti questa prospettiva ed eviti di dare spazi, peraltro immeritati, alla destra».La strada di Letta è stretta ma è l’unica per non spaccare il Pd. Un partito che si camuffa modernista ma nel quale i dirigenti formatisi alle scuole cattodem e comunista continuano a vedere con diffidenza i «tecnici», poco malleabili e mai del tutto proni alle logiche della segreteria politica. Le baruffe in Cdm di Dario Franceschini con lo stesso premier e quella recentissima di Orlando con Roberto Cingolani sono esempi lampanti. È lo stesso fastidio che 25 anni fa Massimo D’Alema nutriva nei confronti dei prodiani e 10 anni fa Pierluigi Bersani mostrava davanti ai bocconiani di Mario Monti. «Sui temi sociali siamo al giorno zero», ripetono i sinistri ortodossi mentre guardano con diffidenza più Draghi che Conte.La conferma del mal di pancia permanente arriva dalla Cgil di Maurizio Landini, spia dello stato confusionale. Dovendo scegliere, il sindacato rosso salverebbe l’avvocato del popolo (con reddito di cittadinanza, salario minimo e bonus a pioggia) e butterebbe a mare il governo dei migliori. Esattamente come Leu, a costo di sacrificare il pessimo Roberto Speranza, peraltro in cammino per tornare alla casa madre con il green pass di Sergio Mattarella. L’Italia alla venezuelana piace, Landini pochi giorni fa è stato chiaro: «Draghi non ci ascolta, invece all’epoca di Conte abbiamo lavorato molto bene. Lui ha fatto una serie di cose, come il come il blocco dei licenziamenti e varie misure sociali che si muovevano nella nostra direzione. Draghi si muove in senso inverso».Per poi prontamente allinearsi al mood dem a frittata fatta: «Non è il momento di indebolire il Paese e bloccare le riforme». Barcollamenti che mandano ai matti i riformisti e costringono Letta a sperare di imbarcare tutti. La strategia sta spiazzando ancora una volta il centrosinistra riformista tenuto fuori dalla porta. Matteo Renzi ha già cambiato parere rispetto all’altroieri, quando aveva twittato: «O un Draghi bis senza grillini oppure elezioni». Ieri la consueta conversione del giorno dopo: «Andare a votare adesso sarebbe un danno per il Paese, se Draghi ritiene di ripartire (con Conte, ndr) tocca a lui. Decide lui». La sinistra ribolle e le primarie in Sicilia del 23 luglio, con Pd, 5 stelle e area «rosso antico» potrebbero trasformarsi in un divertente teatrino d’avanspettacolo. «Nun ’me ’mporta do passato, resta cu’ mme». I dem si stracciano le grisaglie per Fedez e i Maneskin, ma tornano sempre a Modugno.