2025-03-18
Pd ancora con lo spauracchio del Vietnam parlamentare. E nessuno sopporta più Elly
Pina Picierno (Imagoeconomica)
I dem assicurano che sulle comunicazioni della Meloni in vista del Consiglio europeo non ci saranno spaccature. Ma cresce il malumore verso la leader: «Non ci ascolta».Le professioni di ottimismo ieri si sprecavano, in casa Pd: «La quadra si troverà». Eppure, l’accordo sulla risoluzione da presentare sulle comunicazioni di Giorgia Meloni in vista del Consiglio europeo, previste per oggi al Senato e domani alla Camera, è molto, molto faticoso da trovare. Del resto, i dem, come dimostrato dal voto della scorsa settimana al Parlamento europeo, su ReArmEurope, hanno due linee opposte: una contraria, quella di Elly Schlein, e una favorevole, quella dei cosiddetti riformisti, la minoranza interna. Mai come in questa occasione si può parlare di partito di lotta e di governo: il problema è che però una sintesi va assolutamente trovata, perché ripetere a Roma quello che è successo a Bruxelles, dove dieci eurodeputati del Partito democratico hanno votato sì (Bonaccini, De Caro, Gualmini, Gori, Lupo, Maran, Moretti, Picierno, Topo, Tinagli) e undici si sono astenuti (Annunziata, Benifei, Corrado, Laureti, Nardella, Ricci, Ruotolo, Strada, Tarquinio, Zan, Zingaretti) sarebbe una catastrofe. «Stamattina (ieri, ndr)» dice alla Verità un parlamentare di lungo corso, «era tutto in alto mare, ma una sintesi la troveremo, non c’è aria di allarme rosso. Il problema comunque non riguarda solo il piano di riarmo europeo, ma la gestione complessiva del partito. Qui occorre certamente un cambio di rotta, anche se non avverto aria di congresso anticipato. Serve solo che Elly capisca che deve ascoltare di più. Non è possibile», aggiunge il nostro interlocutore, «che prima di un voto come quello al Parlamento europeo non si convochi una riunione di gruppo». Altro giro, altre perplessità: «Elly», sospira un altro big del partito, «è allergica alle discussioni, si parla veramente troppo poco e non va bene. Sul piano von der Leyen decide e comunica la decisione, sui referendum lo stesso, se si va avanti così i problemi esploderanno, e non mi riferisco alla classe dirigente ma ai nostri elettori, una gran parte dei quali ha idee diverse da quelle della segretaria».Naturalmente, come sempre accade in politica, non sono solo gli ideali a rappresentare elemento di divisione: ci si prepara alle politiche 2027, e in ballo ci sono (salvo modifiche della legge elettorale) collegi sicuri e posizioni blindate nei listini proporzionali. Nel Pd le scelte sono state sempre operate col bilancino e tenendo conto delle care vecchie correnti: il decisionismo della Schlein rappresenta un pericolo per chi teme di perdere (o non conquistare) un seggio alla Camera e al Senato. Detto che c’è chi confida pure in interventi «dall’alto» per ammorbidire la Schlein, e non possiamo non pensare al Quirinale, torniamo a quello che succederà oggi al Senato e domani alla Camera. A Palazzo Madama il Pd rischia meno, perché se passa la mozione di maggioranza le altre decadono e non vengono messe ai voti, a meno che il governo non le accetti interamente o per parti separate; alla Camera invece si votano tutte, e c’è il rischio ad esempio che una parte del Pd, quella riformista, converga su quella di Azione, turbo europeista. Sembra assai più complicato che i dem favorevoli al piano della von der Leyen possano addirittura votare la mozione della maggioranza. Le ragioni del «no» al piano di riarmo vengono sintetizzate dall’ex ministro del Lavoro, Andrea Orlando: «Non penso», argomenta Orlando, «che dobbiamo leggere questa vicenda esclusivamente dal punto di vista del Pd ma dal punto di vista del futuro dell’Europa e del nostro Paese. Se si chiede agli italiani di procedere verso una economia di guerra, quindi con la possibilità di ridurre altri servizi, bisogna coinvolgere gli italiani che ho visto nei sondaggi, per due terzi, sono contrari. Il consiglio che do ai gruppi parlamentari è quello di non guardare agli equilibri interni ma di provare a mettersi in sintonia con un sentimento che viene dall’opinione pubblica. Perché una discussione fatta tutta dentro le élite», aggiunge Orlando, «rischia di essere una discussione che non tiene conto di un profondo sentimento popolare che non può essere determinante ma non può essere ignorato». Sul versante opposto, in netta e plateale contrapposizione con la Schlein, la vicepresidente del Parlamento europeo, Pina Picierno: «Inutile girarci intorno», dice la Picierno al Foglio, «siamo in fibrillazione, ci sono dei problemi con il posizionamento europeo del Pd. Arrivano decisioni dall’alto senza che ci si confronti, ma l’uomo solo, anzi la donna sola al comando non è un modello che va bene al Pd. Più che un congresso, serve un confronto vero sui temi. È chiaro», aggiunge la Picierno, «che nel momento in cui si riduce il dibattito sul riarmo alla contrapposizione tra guerrafondai e pacifisti, allora si sta dicendo che pure Sánchez, Costa, Starmer e Scholz sono guerrafondai, e questa è una posizione evidentemente problematica per un partito come il Pd». Questa mattina alle 11 e 30 è prevista l’assemblea congiunta dei gruppi di Camera e Senato, mentre al testo della risoluzione hanno lavorato ieri i capigruppo di Camera e Senato, Chiara Braga e Francesco Boccia, i capogruppo in commissione Esteri a Montecitorio e Palazzo Madama, Enzo Amendola e Alessandro Alfieri e il responsabile Esteri del partito, Peppe Provenzano. Ci vuole un testo che dica tutto e il contrario di tutto, che il piano di Ursula va bene ma non va bene, condito da qualche «ma anche». Nulla di trascendentale, a meno che una delle due fazioni non voglia andare alla rottura. Per lanciare invece i classici «pizzini» politici c’è la possibilità di votare a favore di qualche altra mozione.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)