True
2024-04-14
Dal Pd altre pressioni sul governatore, che però non ascolta e fa di testa sua
Michele Emiliano (Ansa)
Un pesce di fine aprile, un brutto scherzo che Elly Schlein avrebbe in mente per mettere con le spalle al muro tutti quelli che vogliono avere voce in capitolo sulla compilazione delle liste per le Europee: è questo, a quanto apprende La Verità, il tormentone che sta agitando in queste ore il corpaccione Dem. Lo scenario ipotizzato è questo: il 28 aprile a Pescara, nell’ambito dell’assemblea programmatica di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni ufficializzerà la sua candidatura in tutte le circoscrizioni; la Schlein avrebbe in mente di convocare la direzione nazionale del partito il giorno dopo, il 29 aprile, e in quella sede annunciare che, per contrastare la Meloni, si candiderà pure lei, a questo punto probabilmente in tutte le circoscrizioni. In questo modo, Elly potrà coronare il suo sogno di partecipare al famoso faccia a faccia tv con la Meloni, e vestirà i panni della leader dell’opposizione, per gentile e interessata concessione della premier, che preferisce di gran lunga confrontarsi con la leader dei dem, con la quale condivide in pieno le posizioni in politica estera, piuttosto che doversela vedere con Giuseppe Conte e gli altri big dell’opposizione. Non solo: considerato che le liste si presentano tra il 30 aprile e il 1 maggio, a quel punto le decisioni di Elly sulle candidature saranno blindate, perché gli scontenti non avranno neanche il tempo di protestare. Detto ciò, il Pd continua a autoflagellarsi in Puglia, dove il presidente della Regione, Michele Emiliano, finge di allinearsi ai diktat della Schlein, in verità assai timidi, ma continua a fare di testa sua, essendo in fin dei conti più vicino a Conte che alla sua presunta leader. Il Pd continua a parlare una lingua, il politichese antico, che coi tempi che corrono è diventata ormai materia per i filologi: «Abbiamo chiesto a Michele Emiliano», ha sottolineato ieri Domenico De Santis, segretario regionale del Pd Puglia, «di dare un forte segnale di rinnovamento e un cambio di passo alla giunta. Siamo soddisfatti della pronta risposta del presidente. Siamo al lavoro per dare seguito alle indicazioni della segretaria». Emiliano da parte sua ha rassicurato sulla sua intenzione di provvedere a un «netto cambio di fase», il che non vuol dire assolutamente niente. Se davvero la Schlein volesse mandare un segnale politico forte dovrebbe dire ai suoi esponenti pugliesi di ritirare i quattro assessori del Pd in giunta mettendo Emiliano spalle al muro, ma figuriamoci se i dem si sognerebbero mai di mollare le poltrone per fare contenta Elly. Né c’è da aspettarsi chi sa quale rivoluzione da parte di Emiliano, il quale, oltre ad essere il vero potente del Pd pugliese, neanche si sogna di segare l’albero sul quale è seduto, considerato che la Schlein si è sempre opposta al terzo mandato per i presidenti di Regione, pensando in questo modo di togliersi di torno lo stesso governatore pugliese e il campano Vincenzo De Luca (segnalato in modalità disimpegno per le europee), che alle primarie avevano sostenuto Stefano Bonaccini, altro presidente uscente di Regione targato Pd. Fiutato l’odore del sangue (traduzione: della possibilità di un inaspettato sorpasso sul Pd alle europee), il M5s continua quindi a logorare i dem. Ieri Bonaccini ha affidato ai social un appello all’unità, pubblicando il faccione di Romano Prodi e un testo da libro cuore: «Ha ragione Romano Prodi», ha scritto Bonaccini, «invece di continuare a litigare per uno zero virgola di voti in più, perché il M5s e, aggiungo, tutti gli altri partiti di opposizione a questo governo, non si uniscono a noi in una grande battaglia per salvare la sanità pubblica?». A stretto giro è arrivata la legnata pentastellata: «All’appello di Bonaccini» hanno replicato attraverso una nota congiunta i parlamentari del M5s delle commissioni Affari sociali di Camera e Senato «ci sentiamo di rispondere che la battaglia per salvare la sanità pubblica il Movimento 5 stelle l’ha intrapresa già da tempo. Ci fa piacere se finalmente anche il Pd e gli altri partiti di opposizione la vorranno condividere con noi, a cominciare dalla riforma del Titolo V della Costituzione». Una bella staffilata: la riforma del Titolo V, che ha aperto la strada all’autonomia differenziata, fu approvata nel 2001 per soli tre voti da una maggioranza di centrosinistra, che sperava invano di contrastare l’ascesa del centrodestra guidato da Silvio Berlusconi verso la vittoria elettorale, e poi ratificata dai cittadini attraverso un referendum. Del centrosinistra guidato da Francesco Rutelli uno dei pilastri era L’Ulivo, formazione fondata proprio da Prodi, che all’epoca guidava la Commissione europea. La sensazione è che i prossimi due mesi di campagna elettorale vedranno il M5s randellare senza problemi a destra e a sinistra: fino alle europee dell’8 e 9 giugno Conte e i suoi non guarderanno in faccia a nessuno, e poco male se si mette in discussione l’alleanza giallorossa in qualche città al voto. Tra l’altro proprio ieri a Pesaro il M5s ha ufficializzato il sostegno al candidato a sindaco Andrea Biancani del Pd, che tenta conferma in città dopo i due mandati di Matteo Ricci, il quale si candida alle europee. A Bari continua la ricerca del nome che possa riunire Pd e M5s dopo la spaccatura dei giorni scorsi: si ragiona su Nicola Colaianni, ex parlamentare e magistrato, ma c’è da convincere Michele Laforgia, sostenuto anche dal M5s, e Vito Leccese, scelto dal Pd, a farsi da parte. Il centrodestra ha annunciato il suo candidato a sindaco: è Fabio Romito della Lega.
Lo ’ndranghetista contattò Sasà: «Mi aiuti per il mio il ristorante?»
«L’intercessione degli esponenti politici Gallo Raffaele e Gallo Salvatore nella questione inerente all’acquisto del Sacro Monte di Belmonte». È il titolo di un paragrafo di una informativa della Dia allegata agli atti di una indagine sulla penetrazione della ’ndrangheta in Piemonte. Se l’inchiesta Echidna che sta terremotando il Pd piemontese ha svelato un sistema di scambi tra voti e favori con la criminalizzata organizzata che resta sullo sfondo, c’è un’altra indagine sulla ’ndrangheta in Piemonte dove i contatti tra politici e cosche sono più diretti. Anche in questa indagine compaiono Salvatore Gallo, ex socialista con forti legami con il Pd, e il figlio Raffaele, consigliere regionale Dem. L’inchiesta, denominata Platinum, ha svelato i rapporti d’affari delle ’ndrine nel Canavese. È emersa nel 2021 e ha già superato il primo grado di giudizio con 19 condanna per vari reati, compresa l’associazione mafiosa. Tra i condannati ci sono i fratelli Giuseppe e Franco Vazzana, condannati entrambi a 6 anni e 8 mesi per associazione mafiosa. Sono esponenti di spicco della «locale» di Volpiano, alle porte di Torino, legate alle famiglie di Platì.
È Franco che, nel 2018, si rivolge ai Gallo per risolvere un problema. Ha investito nel ristorante nei pressi del Sacro Monte di Belmonte, nel Canavese. Un investimento di 200.000 euro che però non dà i risultati sperati. Il flusso dei pellegrini al santuario si è drasticamente ridotto e gli affari vanno male. Vazzana si rivolge al mondo della politica per risolvere il suo problema: far comprare la struttura alla Regione, che avrebbe poi riqualificato l’area del santuario e riportato così pellegrini a affari al suo ristorante. Dopo un tentativo andato a vuoto con Virginia Tiraboschi, allora senatrice di Forza Italia, Vazzana si rivolge ai Gallo. Salvatore, ex manager della Sitaf (la società che gestisce l’autostrada Torino-Bardonecchia), «è considerato un faccendiere e annovera diversi precedenti contro la pubblica amministrazione» annota la Dia nelle carte dell’indagine. Il figlio Raffaele è già consigliere regionale del Pd. Entrambi sono estranei a questa indagine.Siamo nel 2018 e fare da intermediario tra Vazzana e i Gallo è un albergatore, Michele Troia.
L’affare non si concretizzerà, ma le intercettazioni dell’indagine, delle quali ha parlato La Stampa nei giorni scorsi, dimostrano la «permeabilità» dei Gallo. Il 22 novembre 2018 Troia chiama il boss Vazzana: «Raffaele mi ha detto “Dì a Franco che i dirigenti funzionari, hanno dato parere favorevole… Adesso l’iter è che Reschigna (Aldo, vicepresidente della giunta regionale guidata allora da Sergio Chiamparino, ndr) può fare la delibera, può comprarlo e poi si vedrà come valorizzarlo… quindi, non è ancora fatta la delibera, ma si è in dirittura d’arrivo… ti puoi spendere in questa maniera, però lui, quando arriverà la delibera eeehh… allora poi li incontreremo… con Raffaele abbiamo deciso che appena lui sa che tanto lo sa subito… della delibera, allora poi li incontriamo e vediamo un po’ di gente che per far vedere che comunque l’attore è stato lui, ecco”». Vazzana replica: «Organizziamo una bella cena per far vedere che lui è riuscito a fare questa cosa». In un’altra telefonata dello stesso giorno, Vazzana torna a parlare di Raffaele Gallo: «Lui, ’sto ragazzo qui ha detto che è rimasto lì a spingere, perché chiaramente lui, suo padre è uno che conta proprio a livelli alti a Roma. E comunque suo padre ha cercato di dire “Insomma, facciamo una cosa che vada bene. visto che il... Santuario, comunque, per il Canavese è un riferimento importante”».
Continua a leggereRiduci
I dem continuano a chiedere «rinnovamento» che non arriva. Intanto Elly Schlein prepara il blitz sulle liste delle europee.Inchiesta Torino: l’uomo dei clan cercò Salvatore Gallo per far rilevare alla Regione un santuario davanti al locale.Lo speciale contiene due articoli.Un pesce di fine aprile, un brutto scherzo che Elly Schlein avrebbe in mente per mettere con le spalle al muro tutti quelli che vogliono avere voce in capitolo sulla compilazione delle liste per le Europee: è questo, a quanto apprende La Verità, il tormentone che sta agitando in queste ore il corpaccione Dem. Lo scenario ipotizzato è questo: il 28 aprile a Pescara, nell’ambito dell’assemblea programmatica di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni ufficializzerà la sua candidatura in tutte le circoscrizioni; la Schlein avrebbe in mente di convocare la direzione nazionale del partito il giorno dopo, il 29 aprile, e in quella sede annunciare che, per contrastare la Meloni, si candiderà pure lei, a questo punto probabilmente in tutte le circoscrizioni. In questo modo, Elly potrà coronare il suo sogno di partecipare al famoso faccia a faccia tv con la Meloni, e vestirà i panni della leader dell’opposizione, per gentile e interessata concessione della premier, che preferisce di gran lunga confrontarsi con la leader dei dem, con la quale condivide in pieno le posizioni in politica estera, piuttosto che doversela vedere con Giuseppe Conte e gli altri big dell’opposizione. Non solo: considerato che le liste si presentano tra il 30 aprile e il 1 maggio, a quel punto le decisioni di Elly sulle candidature saranno blindate, perché gli scontenti non avranno neanche il tempo di protestare. Detto ciò, il Pd continua a autoflagellarsi in Puglia, dove il presidente della Regione, Michele Emiliano, finge di allinearsi ai diktat della Schlein, in verità assai timidi, ma continua a fare di testa sua, essendo in fin dei conti più vicino a Conte che alla sua presunta leader. Il Pd continua a parlare una lingua, il politichese antico, che coi tempi che corrono è diventata ormai materia per i filologi: «Abbiamo chiesto a Michele Emiliano», ha sottolineato ieri Domenico De Santis, segretario regionale del Pd Puglia, «di dare un forte segnale di rinnovamento e un cambio di passo alla giunta. Siamo soddisfatti della pronta risposta del presidente. Siamo al lavoro per dare seguito alle indicazioni della segretaria». Emiliano da parte sua ha rassicurato sulla sua intenzione di provvedere a un «netto cambio di fase», il che non vuol dire assolutamente niente. Se davvero la Schlein volesse mandare un segnale politico forte dovrebbe dire ai suoi esponenti pugliesi di ritirare i quattro assessori del Pd in giunta mettendo Emiliano spalle al muro, ma figuriamoci se i dem si sognerebbero mai di mollare le poltrone per fare contenta Elly. Né c’è da aspettarsi chi sa quale rivoluzione da parte di Emiliano, il quale, oltre ad essere il vero potente del Pd pugliese, neanche si sogna di segare l’albero sul quale è seduto, considerato che la Schlein si è sempre opposta al terzo mandato per i presidenti di Regione, pensando in questo modo di togliersi di torno lo stesso governatore pugliese e il campano Vincenzo De Luca (segnalato in modalità disimpegno per le europee), che alle primarie avevano sostenuto Stefano Bonaccini, altro presidente uscente di Regione targato Pd. Fiutato l’odore del sangue (traduzione: della possibilità di un inaspettato sorpasso sul Pd alle europee), il M5s continua quindi a logorare i dem. Ieri Bonaccini ha affidato ai social un appello all’unità, pubblicando il faccione di Romano Prodi e un testo da libro cuore: «Ha ragione Romano Prodi», ha scritto Bonaccini, «invece di continuare a litigare per uno zero virgola di voti in più, perché il M5s e, aggiungo, tutti gli altri partiti di opposizione a questo governo, non si uniscono a noi in una grande battaglia per salvare la sanità pubblica?». A stretto giro è arrivata la legnata pentastellata: «All’appello di Bonaccini» hanno replicato attraverso una nota congiunta i parlamentari del M5s delle commissioni Affari sociali di Camera e Senato «ci sentiamo di rispondere che la battaglia per salvare la sanità pubblica il Movimento 5 stelle l’ha intrapresa già da tempo. Ci fa piacere se finalmente anche il Pd e gli altri partiti di opposizione la vorranno condividere con noi, a cominciare dalla riforma del Titolo V della Costituzione». Una bella staffilata: la riforma del Titolo V, che ha aperto la strada all’autonomia differenziata, fu approvata nel 2001 per soli tre voti da una maggioranza di centrosinistra, che sperava invano di contrastare l’ascesa del centrodestra guidato da Silvio Berlusconi verso la vittoria elettorale, e poi ratificata dai cittadini attraverso un referendum. Del centrosinistra guidato da Francesco Rutelli uno dei pilastri era L’Ulivo, formazione fondata proprio da Prodi, che all’epoca guidava la Commissione europea. La sensazione è che i prossimi due mesi di campagna elettorale vedranno il M5s randellare senza problemi a destra e a sinistra: fino alle europee dell’8 e 9 giugno Conte e i suoi non guarderanno in faccia a nessuno, e poco male se si mette in discussione l’alleanza giallorossa in qualche città al voto. Tra l’altro proprio ieri a Pesaro il M5s ha ufficializzato il sostegno al candidato a sindaco Andrea Biancani del Pd, che tenta conferma in città dopo i due mandati di Matteo Ricci, il quale si candida alle europee. A Bari continua la ricerca del nome che possa riunire Pd e M5s dopo la spaccatura dei giorni scorsi: si ragiona su Nicola Colaianni, ex parlamentare e magistrato, ma c’è da convincere Michele Laforgia, sostenuto anche dal M5s, e Vito Leccese, scelto dal Pd, a farsi da parte. Il centrodestra ha annunciato il suo candidato a sindaco: è Fabio Romito della Lega.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/pd-altre-pressioni-governatore-emiliano-2667766734.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lo-ndranghetista-contatto-sasa-mi-aiuti-per-il-mio-il-ristorante" data-post-id="2667766734" data-published-at="1713079163" data-use-pagination="False"> Lo ’ndranghetista contattò Sasà: «Mi aiuti per il mio il ristorante?» «L’intercessione degli esponenti politici Gallo Raffaele e Gallo Salvatore nella questione inerente all’acquisto del Sacro Monte di Belmonte». È il titolo di un paragrafo di una informativa della Dia allegata agli atti di una indagine sulla penetrazione della ’ndrangheta in Piemonte. Se l’inchiesta Echidna che sta terremotando il Pd piemontese ha svelato un sistema di scambi tra voti e favori con la criminalizzata organizzata che resta sullo sfondo, c’è un’altra indagine sulla ’ndrangheta in Piemonte dove i contatti tra politici e cosche sono più diretti. Anche in questa indagine compaiono Salvatore Gallo, ex socialista con forti legami con il Pd, e il figlio Raffaele, consigliere regionale Dem. L’inchiesta, denominata Platinum, ha svelato i rapporti d’affari delle ’ndrine nel Canavese. È emersa nel 2021 e ha già superato il primo grado di giudizio con 19 condanna per vari reati, compresa l’associazione mafiosa. Tra i condannati ci sono i fratelli Giuseppe e Franco Vazzana, condannati entrambi a 6 anni e 8 mesi per associazione mafiosa. Sono esponenti di spicco della «locale» di Volpiano, alle porte di Torino, legate alle famiglie di Platì. È Franco che, nel 2018, si rivolge ai Gallo per risolvere un problema. Ha investito nel ristorante nei pressi del Sacro Monte di Belmonte, nel Canavese. Un investimento di 200.000 euro che però non dà i risultati sperati. Il flusso dei pellegrini al santuario si è drasticamente ridotto e gli affari vanno male. Vazzana si rivolge al mondo della politica per risolvere il suo problema: far comprare la struttura alla Regione, che avrebbe poi riqualificato l’area del santuario e riportato così pellegrini a affari al suo ristorante. Dopo un tentativo andato a vuoto con Virginia Tiraboschi, allora senatrice di Forza Italia, Vazzana si rivolge ai Gallo. Salvatore, ex manager della Sitaf (la società che gestisce l’autostrada Torino-Bardonecchia), «è considerato un faccendiere e annovera diversi precedenti contro la pubblica amministrazione» annota la Dia nelle carte dell’indagine. Il figlio Raffaele è già consigliere regionale del Pd. Entrambi sono estranei a questa indagine.Siamo nel 2018 e fare da intermediario tra Vazzana e i Gallo è un albergatore, Michele Troia. L’affare non si concretizzerà, ma le intercettazioni dell’indagine, delle quali ha parlato La Stampa nei giorni scorsi, dimostrano la «permeabilità» dei Gallo. Il 22 novembre 2018 Troia chiama il boss Vazzana: «Raffaele mi ha detto “Dì a Franco che i dirigenti funzionari, hanno dato parere favorevole… Adesso l’iter è che Reschigna (Aldo, vicepresidente della giunta regionale guidata allora da Sergio Chiamparino, ndr) può fare la delibera, può comprarlo e poi si vedrà come valorizzarlo… quindi, non è ancora fatta la delibera, ma si è in dirittura d’arrivo… ti puoi spendere in questa maniera, però lui, quando arriverà la delibera eeehh… allora poi li incontreremo… con Raffaele abbiamo deciso che appena lui sa che tanto lo sa subito… della delibera, allora poi li incontriamo e vediamo un po’ di gente che per far vedere che comunque l’attore è stato lui, ecco”». Vazzana replica: «Organizziamo una bella cena per far vedere che lui è riuscito a fare questa cosa». In un’altra telefonata dello stesso giorno, Vazzana torna a parlare di Raffaele Gallo: «Lui, ’sto ragazzo qui ha detto che è rimasto lì a spingere, perché chiaramente lui, suo padre è uno che conta proprio a livelli alti a Roma. E comunque suo padre ha cercato di dire “Insomma, facciamo una cosa che vada bene. visto che il... Santuario, comunque, per il Canavese è un riferimento importante”».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Continua a leggereRiduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
Continua a leggereRiduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
Continua a leggereRiduci