2021-01-29
La paura di colare a picco con l’Ue ha trasformato tutti in sovranisti
Ursula von der Leyen (Thierry Monasse/Getty Images)
L'inefficienza dell'Unione sul rifornimento dei vaccini ha fatto dimenticare anche ai più convinti europeisti le favolette sulla globalizzazione e il mondo senza confini. Se c'è da salvarsi la pelle, ognuno pensa per sé.Tutti speriamo che possa fermare il Covid. Ma intanto il vaccino ha già fermato un altro virus: quello dell'antisovranismo. Ci avete fatto caso? Quando si tratta di salvare la pelle, si scoprono tutti sovranisti: addio globalizzazione, addio mercati aperti, addio bellezza dell'europeismo senza frontiere, addio inni alle generazioni erasmus, addio muri da abbattere e confini da aprire. Il nazionalismo risorge per via farmaceutica: ci sono i vaccini americani, i vaccini russi, i vaccini cinesi, i vaccini anglo-olandesi. E adesso Invitalia investe (meglio tardi che mai) 81 milioni di euro per avere il vaccino tricolore. «È importante avere una produzione italiana», proclama Domenico Arcuri, evidentemente riconvertito al trumpismo sulla via di Damasco-Reithera. Make Vaccino Italiano Great Again, insomma. E se anche l'uomo che importa mascherina dalla Cina come se fossero porzioni di riso cantonese avverte l'urgenza della produzione nazionale, beh, vuol dire che il sovranismo sta davvero vincendo. Per necessità, se non per convinzione. In effetti: finché le cose (per loro) andavano bene, nei salotti chic e nei palazzi del potere si potevano crogiolare con le favolette sulla meraviglia della globalizzazione. Che vuoi che sia se migliaia di operai perdono il posto? Che vuoi che sia se vengono spazzati via i piccoli produttori? Che vuoi che sia se vengono distrutti i commercianti e gli artigiani? Che vuoi che sia se nelle periferie l'immigrazione rende la vita impossibile? Nelle terrazze Martini d'Europa manco se ne accorgevano. Una coppa di champagne in una mano, il catalogo delle Maldive nell'altra, non sentivano mordere sulla loro pelle la disperazione, e così continuavano a spiegarci quanto fosse bello il mondo senza barriere e senza confini, senza patrie e senza spiriti nazionali. Poi all'improvviso è arrivato il Covid. Il quale, mannaggia a lui, non si ferma in periferia, non colpisce solo operai e artigiani, ma s'infila su, fino ai piani alti dei palazzi. E per fermalo, si è scoperto, che non c'è niente di meglio che un po' di spirito nazionale. Cioè un po' di sovranismo. Così l'europeista Germania dell'europeistissima Merkel s'è messa a cercare vaccini per conto suo, sul mercato libero e financo trattando con la Russia del sovranistissimo Putin. E anche da noi molti, deviando dall'europeismo d'ordinanza, hanno cominciato a chiedersi: perché non facciamo la stessa cosa? Negli Stati Uniti l'antisovranista Biden accelera con i vaccini americani per gli americani pensando evidentemente (pur senza dirlo) «prima gli americani», manco fosse Trump. Nel frattempo gli europeisti anti-Brexit, dopo averci spiegato per anni che gli inglesi senza Europa non avrebbero mai combinato nulla di buono, d'improvviso scoprono che gli inglesi grazie al vaccino inglese hanno vaccinato più del doppio delle persone vaccinate nel resto dell'Europa. A tal punto che l'ex presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, quello che riteneva la Brexit la fine della civiltà occidentale, oggi piagnucola tweet contro il rinato «nazionalismo vaccinale». E in Italia, come si diceva, persino il commissario straordinario del governo europeista del premier europeista che vuole fondare il futuro del Paese sull'europeismo è costretto ad ammettere che un vaccino sovranista, beh, sarebbe davvero importante. Per altro il vaccino sovranista è finanziato anche dalla Regione Lazio guidata dal segretario europeista dell'europeista Pd. Non è meraviglioso? Ci manca solo di vedere David Sassoli che inneggia al nazionalismo sanitario e il ministro Gualtieri che proclama l'autarchia del farmaco e poi avremmo visto tutto. Bisogna dire che una mano importante, alla resurrezione del sovranismo, l'ha data l'inefficienza spaventosa dell'Europa. In effetti: per anni ci hanno raccontato che nel mondo globale avrebbero potuto muoversi solo i colossi, che gli Stati nazionali sarebbero morti, che non avrebbero potuto competere. E invece, durante le pandemia, abbiamo visto che è successo esattamente il contrario. Ci sono piccoli Stati ben organizzati, come la Corea del Sud o Israele, che hanno saputo cavarsela alla grandissima e hanno potuto combattere il Covid avendo mascherine, tamponi e vaccini a sufficienza. E c'è il colosso europeo che invece è andato in tilt, incapace di rifornirsi prima delle mascherine, poi dei tamponi e ora dei vaccini. Loro, piccoli e agili, si sono mossi sui mercati globali riuscendo a comprare tutto quello che serviva. Noi, grossi e bolsi, siamo rimasti impastoiati nelle burocrazia e nelle inefficienze europee, succubi dell'incapacità e dei contratti capestro firmati con le aziende farmaceutiche. E così si spiega il terrore nei tweet di Tusk e gli appelli di tanti intellettuali mainstream nostrani a non cedere al sovranismo vaccinale. Poveretti: d'improvviso stanno vedendo crollare tutte le loro certezze. Pensavano di poter usare la pandemia per seppellire le patrie, hanno scritto articolesse infinite per raccontare entusiasti della caduta di Trump e delle presunte difficoltà di Salvini o della Meloni, ci hanno spiegato con compiacimento che di fronte alla grande paura sarebbero sfiorite le parole d'ordine «prima gli americani» o «prima gli italiani», ci hanno provato in tutti i modi insomma a convincerci che il Covid avrebbe messo nell'angolo ogni nazionalismo. E ora invece si vedono travolti dalla resurrezione del sovranismo per via vaccinale. Costretti ad ammettere che quando la paura ti stringe le chiappe davvero, i meravigliosi discorsi sulla globalizzazione e sui muri da abbattere lasciano il tempo che trovano. Perché quello che conta è salvare la pelle. Prima gli italiani. O, almeno, prima i vaccini italiani. Se non per amor di patria, almeno per amore della vita.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)