2021-02-07
«Patto con Draghi per tornare a vivere»
Il leader della Lega incontra il premier incaricato: «Sintonia totale sulla necessità di riaprire». Poi sgombra il campo: «Pronti ad appoggiarlo, non mettiamo veti». «La nostra visione del Paese per diversi aspetti coincide con la sua». «Non è il momento dei no, nell'Ue per difendere gli interessi nazionali»- La priorità: meno tasse, meno sussidi, più investimenti. E il Pd va nel panico. «Siamo a disposizione perché vogliamo tornare a vivere». Matteo Salvini apre a Mario Draghi in nome della fine dei diktat sanitari e per una ripartenza economica e sociale dell'Italia. Il segretario della Lega non pone veti ad altre forze politiche e addolcisce i toni nei confronti dell'Europa, sposando la linea di Giancarlo Giorgetti: «Vogliamo far parte di un governo che difenda a Bruxelles a testa alta anche gli interessi dell'Italia». Il focus è sull'economia: l'agenda politica presentata da Salvini a Draghi mira ad archiviare la stagione dei sussidi e della burocrazia. Per il segretario della Lega occorre mettere «al centro lo sviluppo, le imprese, la crescita, i cantieri, che è ciò di cui l'Italia ha bisogno per ripartire». Salvini ha inoltre raccontato di come Draghi, nel colloquio, abbia evocato «il tema del turismo al centro della ripartenza».«Siamo a disposizione perché vogliamo tornare a vivere». La butta sul letterario Matteo Salvini ma nella sua apertura a Mario Draghi (che chiama professore dall'inizio alla fine) c'è un'Italia che rialza la testa, che guarda oltre la dittatura sanitaria con i suoi plumbei diktat, che sente il bisogno di ripartire in sicurezza. E chi si stupisce del sì pronunciato dalla Lega non conosce la storia di un partito nato 40 anni fa per rappresentare la laboriosità, i valori tradizionali, il senso di libertà d'impresa di gente che non ha mai vissuto di sussidi. In mezz'ora di colloquio il premier incaricato e il leader del partito accreditato dai sondaggi come primo nel Paese si dicono tutto. Draghi sa che avere dalla sua parte artigiani, partite Iva, piccoli e medi imprenditori, lavoratori che producono oltre il 50% di Pil sarà decisivo per la rinascita. E Salvini sa che rappresentare il Nord produttivo - ma anche la parte più dinamica di Centro e Sud - presi a schiaffi da una sinistra ferma al postfordismo burocratico e messi in ginocchio da un governo più pandemico del virus, è fondamentale per il futuro del partito. Quel «vogliamo tornare a vivere», per lui vale ogni sacrificio. Anche quello di dover tollerare di stare nel governo «con quelli che mi hanno mandato a processo per avere difeso i nostri confini». Alla fine dell'incontro, con l'endorsement che spiazza i rivali come un dribbling di Zlatan Ibrahimovic (lui è milanista), Salvini chiarisce i contorni. «Non abbiamo pregiudizi, non poniamo condizioni o veti. Rispettiamo le scelte del professor Draghi, aspettiamo di conoscerle per giudicarle. Non dico: non voglio tizio o caio. Chiaro che se mettesse Elsa Fornero ministro del Lavoro sarebbe complicato. Sarà lui a decidere. Siamo all'inizio di un percorso, torneremo la prossima settimana per entrare nel merito. Gli ho detto che la Lega non sarà per il forse; se saremo convinti del progetto e dell'idea di Italia, sarà un sì convinto. Se invece altri partiti avranno la priorità nell'aumento delle tasse, nel blocco dei cantieri e delle scuole, il nostro sarà un giudizio diverso». «Dare moneta, vedere cammello». La battuta levantina piaceva a Umberto Bossi. E nella mossa di Salvini c'è qualcosa del vecchio Senatur. Soprattutto c'è la determinazione che, da dietro le quinte, ha messo Giancarlo Giorgetti nell'illustrare al leader i benefici strategici (anche a Bruxelles) di una scelta politica di articolata disponibilità. La parola d'ordine è stata: non bisogna regalare Draghi alla sinistra. Tra l'altro approfittando della gaffe di Giuseppe Conte, che per pura gelosia aveva invitato dogs and pigs agli Stati Generali ma non l'italiano di maggior prestigio al mondo. Sugli scenari esteri Salvini è più istituzionale del solito. Parla di atlantismo e sull'Europa dice: «Siamo in Europa, i nostri figli crescono in Europa ma se c'è da difendere gli interessi dell'Italia in tutti i settori lo facciamo. Vogliamo far parte di un governo che difenda a Bruxelles a testa alta anche gli interessi dell'Italia». Anche, non l'isolazionista solo. È «l'anche» di Giorgetti, amico di vecchia data dell'ex presidente della Bce, che potrebbe essere il volto di rappresentanza dentro l'esecutivo. Il numero uno della Lega scende nel dettaglio della conversazione. «Ho detto al professor Draghi, ragioniamo sul futuro. Ha un'idea di Italia che per diversi aspetti coincide con la mia. Siamo contenti che al centro ci sia stato il tema dello sviluppo, della crescita, dei cantieri; la ripartenza delle opere pubbliche e dell'edilizia è fondamentale per il lavoro. Ecologia sì, ma senza ideologia. Penso che ci sia una sensibilità comune. A proposito di lavoro: per la Lega significa non aumentare le tasse, semmai una pace fiscale. Noi ci metteremo a disposizione di un governo che non prevede la patrimoniale o le tasse sui conti correnti». Salvini non dimentica la priorità sanitaria e di fatto chiede la testa (come Matteo Renzi) di Domenico Arcuri: «Invece di spendere milioni per primule e capannoni sarebbe nell'interesse di tutti aiutare medici e Protezione civile». Tornare a vivere. È il centro motore dell'impegno leghista dentro il nuovo governo. «È una necessità che il professore ha condiviso. Questi mesi di chiusure, di Dpcm, paure e distanze portano all'alienazione, alla depressione, all'abuso di psicofarmaci e droghe. Vedo sempre più povertà e disagio. Se nascerà, il governo dovrà essere quello della rinascita e delle riaperture». Con questa mossa la Lega ha ritrovato la sintonia con Forza Italia, ma c'è il rischio che qualcosa si sia incrinato con Fratelli d'Italia. Salvini fa il pragmatico, sa che è un gioco delle parti, pur se con qualche possibile erosione elettorale. «A differenza di altri non riteniamo che si possa andare avanti a colpi di no in questo momento», è la sua puntura di spillo a Giorgia Meloni. «Preferisco esserci e controllare. Preferisco essere nella stanza dove si decide come si usano 209 miliardi per i nostri figli che stare a guardare. Poi si dovrà andare al voto, gli italiani dovranno tornare a esercitare la loro sovranità». Pesi e contrappesi, anche questa è politica. Per ricavarne una morale basta ascoltare un antico democristiano come Gianfranco Rotondi: «Chi dice che Meloni sbaglia ad andare all'opposizione dimentica che i sistemi parlamentari senza opposizione sono totalitari». L'ultima lezione dorotea, lo scacco matto al Pd e ai commentatori dell'asilo Mariuccia.
Ecco #DimmiLaVerità dell'11 settembre 2025. Il deputato di Azione Ettore Rosato ci parla della dine del bipolarismo italiano e del destino del centrosinistra. Per lui, «il leader è Conte, non la Schlein».