2024-08-26
Patrizia De Luise: «I big online ci fanno chiudere sfruttando le politiche Ue»
Il presidente di Confesercenti: «Le piattaforme online vincono grazie alla concorrenza fiscale sleale interna all’Europa. Così nei centri i negozi finiscono a indiani e bengalesi».«Le politiche europee, spesso anziché ridurre gli ostacoli alla crescita delle imprese, ne hanno frenato e disincentivato gli sforzi. Mi riferisco al fiscal dumping. Nell’Unione europea esistono forti differenze nella tassazione dei redditi, in particolare in quella dei redditi delle società sulle quali alcuni Paesi impongono regimi più accomodanti rispetto ad altri. Ciò consente ad alcuni Paesi di praticare regimi di tassazione particolarmente favorevoli, creando di fatto i presupposti per un fiscal dumping interno alla Ue. La Commissione li classifica come “Paesi fiscalmente aggressivi”, ma questo non ha nessuna conseguenza pratica. In definitiva non si fa niente e chi ci rimette sono le imprese del commercio che subiscono la concorrenza sleale». Patrizia De Luise, presidente di Confesercenti è un fiume in piena. Ha un carattere battagliero che l’ha portata a definire una sorta di piattaforma presentata ai parlamentari europei italiani di tutti i partiti per sollecitarli a prendere un’iniziativa forte contro il fiscal dumping. «Mentre i negozi pagano le tasse in Italia e lasciano i profitti del loro lavoro nel proprio Paese, le multinazionali che si celano dietro l’e-commerce spostano la sede dove è fiscalmente più conveniente. Ciò consente di essere più competitivi sui prezzi».L’espansione del commercio online proprio non la digerite, vero?«Assolutamente no. Tanti negozi fisici hanno anche un canale web per raggiungere una platea più vasta di consumatori. La tecnologia fa parte dell’evoluzione del commercio. La progressiva digitalizzazione rappresenta una sfida significativa per le imprese europee, sia piccole che grandi, che operano nel settore terziario, in particolare nei servizi commerciali e turistici. Questo processo ha facilitato l’ingresso nel mercato di grandi piattaforme multinazionali, che molto spesso non hanno radici in Europa e che con la loro capacità di operare a livello globale tendono a sottrarre ricchezza al territorio. Mentre le nostre aziende pagano le tasse secondo la fiscalità del nostro Paese, subiscono la concorrenza sleale di chi può praticare prezzi più bassi perché riesce a sfuggire al fisco o a trovare soluzioni impositive più vantaggiose. Il tema non è l’e-commerce che fa parte della modernità, ma il fiscal dumping».A quali paradisi fiscali europei si riferisce?«Cipro e Irlanda hanno un’aliquota del 13% e l’Ungheria del 9%. Si consideri che Italia, Francia e Germania hanno aliquote rispettivamente del 28 (Ires+Irap), 34 e 30%». Quali sono i benefici fiscali applicati alle multinazionali?«Possono essere accordati trattamenti specifici, il cosiddetto tax ruling. Si tratta di lettere di patronage tramite le quali una multinazionale concorda con un Paese il trattamento fiscale da ricevere per un certo periodo. Negli ultimi anni molti tax ruling sono finiti sotto indagine da parte della Commissione europea, come nei casi di Starbucks nel 2007 per l’Olanda, di Fca nel 2012 e Amazon nel 2003 per il Lussemburgo, e il caso più noto di Apple per l’Irlanda, dove quest’ultima faceva pagare all’azienda di Cupertino solo lo 0,005% degli utili registrati nel 2014. Ci possono essere deduzioni che riducono la base imponibile e detrazioni che possono ridurre le tasse effettivamente dovute. Secondo lo studio “Corporate Tax Haven Index 2019” del Tax Justice Network, le aliquote statutarie che ogni Paese dichiara in alcuni casi differiscono fortemente dall’aliquota realmente applicata per effetti di deduzioni, detrazioni, e applicazione dei tax ruling».L’Unione europea ha emanato la direttiva contro l’elusione. Con quali risultati?«La direttiva è entrata in vigore nel 2019 e ha come obiettivo quello di introdurre i presupposti per l’armonizzazione della base imponibile della tassazione delle società, aumentare il coordinamento a livello europeo e incrementare la trasparenza informativa. La normativa è stata implementata a livello nazionale da ogni Stato attraverso le proprie leggi, ma in alcuni Paesi ha raggiunto risultati modesti, mentre in altri si dovrà aspettare alcuni anni per valutarne i risultati. In ogni caso, interventi per ridurre l’elusione non rimuovono la causa dell’elusione, ossia le profonde differenze nelle politiche di tassazione dei profitti. Queste andrebbero rimosse o almeno ridotte: le imprese del territorio sono infatti fortemente penalizzate dalla concorrenza sleale da parte di realtà multinazionali che operano in Paesi con normative meno rigide».E la web tax? Non è un passo in avanti?«Non raccontiamoci favole. Bastano un paio di numeri per capire che impatto ha avuto. Nel 2022 il gettito fiscale derivante dalle attività di prossimità è stato di 7,7 miliardi, di cui 4,4 per le imposte locali. La web tax ha fornito solo 390 milioni. Secondo lei ha funzionato? Bisogna quindi sviluppare una nuova politica europea che possa fornire strumenti adeguati e sostegno alle imprese del territorio. Tale politica dovrebbe mirare a creare un ambiente più equo e competitivo, garantendo pari condizioni fiscali e il rispetto delle norme a tutela della concorrenza. È importante arrivare a definire delle norme tecniche di fiscalità della web economy che permettano anche a questi esercizi di rivolgersi in maniera competitiva ai nuovi mercati, scongiurando l’asimmetria normativa e concorrenziale tra economia fisica e economia digitale».Come possono difendersi i negozi fisici dalle grandi piattaforme digitali, soprattutto da quelle cinesi che giocano sul massimo ribasso dei prezzi?«La posizione dominante sul mercato assunta dalle piattaforme internazionali del commercio elettronico, è un tema che nessuno finora ha mostrato di voler affrontare, anche se svolgono una concorrenza sleale poiché agiscono al di fuori del sistema di regole e controlli. Forse perché siamo di fronte a colossi che hanno poteri di lobby sulle istituzioni europee. Secondo i dati forniti a Confesercenti dall’Osservatorio eCommerce B2c del Politecnico di Milano, nel 2023 gli acquisti online degli italiani sono cresciuti del 13% rispetto al 2022, superando i 54 miliardi di euro. Ma la torta va soprattutto ai giganti: i primi 20 merchant realizzano infatti il 71% del mercato, e i primi 250 il 95%. Complessivamente, 38 miliardi dei 54 complessivi di valore dell’e-commerce sono assorbiti dalle 20 piattaforme principali; la coda lunga, ossia l’insieme degli operatori dopo la 250esima posizione, è composta da decine di migliaia di siti e-commerce che insieme fatturano meno di 1 miliardo di euro. Un grado di concentrazione che non ha eguali negli altri canali distributivi. Per il 44% degli italiani le piattaforme sono diventate ormai indispensabili, e le imprese del commercio, come quelle del turismo, sono quindi necessariamente obbligate a servirsene (effetto lock-in). Le pmi del territorio sono, però, in una posizione di debolezza. Questi colossi dell’e-commerce hanno sovvertito tutte le regole come dimostrano il Black Friday e il Boxing Days».Però hanno portato business anche al nostro commercio.«Sono eventi tradizionali in Paesi di cultura anglosassone, importati e radicati in Italia grazie a fortissimi investimenti di marketing e senza rispettare le regole sulle vendite promozionali. Ad esempio, in molte Regioni italiane esiste un divieto di promozione nei giorni antecedenti i saldi per i prodotti soggetti a desuetudine, che viene puntualmente disatteso dalle piattaforme online». L’intelligenza artificiale come sta cambiando il commercio?«L’Ia offre alle piccole e medie imprese una serie di opportunità per aumentare la produttività, migliorare il servizio clienti, prendere decisioni migliori, accedere a nuovi mercati. Tuttavia le nuove tecnologie sono costose per le piccole realtà e potrebbe essere difficile per queste, trovare dipendenti con le competenze necessarie».Come impatta il Green deal sulle imprese?«L’Unione europea ha stabilito l’obiettivo e la tempistica: mancano però, a nostro avviso, politiche per sostenere le imprese in questa transizione non priva di difficoltà. L’obiettivo della mobilità a zero emissioni è problematico pure per il comparto del commercio su aree pubbliche, anche perché arriva in una fase in cui redditività delle imprese e possibilità di investimento sono al minimo storico, dopo i dieci anni di incertezza innescati dalla Bolkestein. Perché la transizione energetica abbia successo nel mondo delle piccole attività, bisogna sostenere gli investimenti con politiche e risorse adeguate».Con tutte queste problematiche, sembra che la chiusura dei piccoli esercizi commerciali sia inevitabile.«È un forte rischio e non solo per gli imprenditori. Rischia di più il territorio che si desertifica. I centri storici delle città stanno già diventando preda delle catene di supermercati gestiti da indiani o bengalesi. Nelle periferie i negozi chiudono e, guarda caso, la malavita aumenta. Inoltre a perderci saranno anche le casse pubbliche: meno negozi, meno gettito fiscale. Come ho detto prima, le multinazionali del web spesso eludono gli obblighi fiscali o mettono la sede in Paesi dove pagano meno. Difendere e far vivere il commercio è interesse di tutti».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.