2021-12-19
Col pass ridotto, 14 milioni infilati nell’imbuto
Francesco Paolo Figliuolo (Ansa)
Adeguare la validità del certificato alla copertura vaccinale, come suggerito da Guido Rasi, potrebbe causare ingorghi agli hub e scarsità di dosi. Gli anziani, senza smartphone, rischiano di non ricevere il nuovo codice. Da oggi attiva la revoca della card ai positivi.«Dopo 5 mesi il vaccino perde ogni giorno un po’ di validità rispetto alla circolazione del virus e in un momento come questo bisogna anche pensare di ridurre la durata del pass», ha detto, Guido Rasi, ex direttore esecutivo Ema e consulente del commissario straordinario per l’emergenza Covid. Se quello di Rasi rimarrà solo un appello o no, temiamo di scoprirlo presto. Per la precisione il 23 dicembre a Palazzo Chigi in occasione della cabina di regia. Al netto di nuove e temporanee chiusure, cosa succederebbe se fosse accorciata nuovamente la durata del certificato? E se venisse ridotto ulteriormente il tempo massimo da far passare tra la seconda e la terza dose? Prima di delineare i possibili scenari da incubo, partiamo dalla fotografia della situazione attuale. In base ai dati aggiornati a ieri, il 77,72% della popolazione ha completato il ciclo vaccinale primario. Il 2,98% è in attesa di seconda dose. Il 23,83% ha fatto la terza dose. Considerando gli over 5, il 79,86% è vaccinato. Attenzione, però: al momento ci sono 14,1 milioni di persone che potrebbero ricevere la terza dose essendo passati 150 giorni, ma non l’hanno ancora avuta. Immaginate. Cambiando ancora le carte in tavola (il green pass all’inizio valeva nove mesi, poi 12, poi di nuovo nove) 14 milioni di persone si troverebbero improvvisamente no vax, no booster ed «espulsi dalla società», per citare il premier, senza aver mosso dito. Anche volendo correre a farsi rivaccinare si troverebbero di fronte a un problema di organizzazione degli slot: a Milano, per esempio, chi aveva prenotato rispondendo subito alla prima chiamata del governo sulla necessità di fare il terzo shot dopo 6 mesi e ora deve anticipare tutto di un mese deve cancellare la prenotazione con il rischio però di non trovare più posto, o di trovarlo a decine di chilometri di distanza da casa. C’è poi un altro problema. Le forniture programmate basteranno a soddisfare la domanda? L’ennesimo effetto imbuto sarebbe inevitabile. Le scorte di vaccini vanno pianificate: bisognerebbe, ad esempio, evitare fin da subito gli open day senza prenotazione che, come abbiamo visto in passato, non consente di organizzare adeguatamente l’utilizzo delle fiale nei magazzini delle Regioni. Un altro punto centrale, per calcolare il fabbisogno di dosi, sarà capire quanti italiani si sono già vaccinati entro la finestra temporale che verrebbe richiesta in modo da stimare anche i target di somministrazione necessari che la struttura commissariale dovrebbe richiedere alle Regioni. La campagna vaccinale viaggia attorno a una media settimanale di 500.000 iniezioni. Basterà per gestire il prevedibile flusso extra di richieste? Non solo, durante le feste natalizie gli hub viaggiano a ritmi ridotti, con i turni per le ferie di vaccinatori, medici e volontari. C’è, infine, l’aspetto logistico-tecnologico da non sottovalutare che riguarda la app per la verifica del green pass e il sottostante codice QrCode. L’idea di accorciare la durata della carta aprirebbe a un procedimento di revisione, semplice nella tecnica, ma difficilissimo nella gestione logistica per chi non ha smartphone oppure ha utilizzato le farmacie come tramite. La piattaforma dovrà emettere a tutti gli utenti una notifica per segnalare la nuova data di scadenza e avvisare della necessità di effettuare un nuovo download. I più anziani dovrebbero avere fornito anche un numero di cellulare di riferimento. Ma nessuno in questo momento può fornire la garanzia che saranno informati del cambio di durata. Il rischio si evince anche da un passaggio contenuto nel Dpcm finito in Gazzetta venerdì sera che fa fare al green pass un ulteriore passo in avanti nel violare la privacy delle persone. Alla sua nascita la carta verde non prevedeva la differenziazione tra positivi e negativi al virus. Un errore che a livello di contagi è costato caro, al di là della pericolosa narrazione della politica che ha identificato il possesso della carta verde a un lasciapassare sanitario. D’altro canto il garante della privacy si è più volte opposto a rendere palese lo stato di salute di un cittadino. L’altra sera è stato abbattuto anche questo ostacolo. Da oggi, le Ats avranno l’obbligo di segnalare ai gestori della piattaforma nazionale Dgc che gestisce il green pass la positività al Covid di un utente. A quel punto chi tiene le chiavi della blockchain disattiverà il relativo Qrcode fino alla ricezione del secondo messaggio da parte dell’Ats, in cui si certifica il ritorno alla negatività. Nel testo del Dpcm c’è il passaggio allarmante di cui abbiamo fatto cenno sopra. «La piattaforma invia la notifica della revoca all’interessato», si legge nel testo, «per il tramite dei dati di contatto eventualmente disponibili». In questo avverbio è contenuta la sintesi del caos che potrà scatenarsi. Un conto è annunciare l’obbligo della terza dose (ai fini del green pass) lasciando un lasso di tempo di quattro mesi per far scadere il pass. Un conto è allineare le date infilando 14 milioni di italiani in un imbuto. Qualcuno al governo ha già valutato gli effetti? Perché il track record sin qui non è certo dei migliori. Invece di smantellare gli hub per poi essere costretti a riaprirli in fretta ingolfando le prenotazioni delle terze dosi, invece di annunciare immunità di gregge mai raggiunte, alzando continuamente l’asticella e aumentando al contempo la platea da vaccinare o ri-vaccinare, sarebbe stato più opportuno dopo due anni di Covid cambiare il metodo con cui sono fatte, se vengono fatte, le valutazioni ex ante. Sarebbe il caso di voltare pagina e smettere di trattare gli italiani come capri espiatori, lasciandoli in balia di una burocrazia che è tanto più digitale quanto più pericolosa.