2021-07-07
La partita afghana di Erdogan
True
Recep Tayyip Erdogan (Ansa)
La strategia che Ankara sta elaborando per l'Afghanistan è sicuramente rischiosa. Ma anche ricca di opportunità.Mentre il ritiro definitivo delle truppe americane dall'Afghanistan si avvicina, gli Stati Uniti puntano sulla Turchia per il processo di stabilizzazione del Paese. Washington e Ankara stanno infatti trattando per concludere un accordo volto alla messa in sicurezza dell'aeroporto internazionale di Kabul dopo il ritiro della Nato: un'infrastruttura considerata di fondamentale importanza per le missioni estere e per lo stesso governo afghano. Come riferito da Middle East Eye, "l'esercito turco sorveglia l'aeroporto dal 2013, insieme a Stati Uniti, Ungheria, Francia e altri alleati della Nato". La stessa fonte ha riportato lo scorso 29 giugno che Washington e Ankara si sarebbero già accordate sui seguenti punti: gli Stati Uniti avrebbero garantito supporto militare e di intelligenze alle forze turche, assumendosi – insieme alla Nato – l'onere finanziario dell'intera operazione. La Turchia, dal canto suo, non combatterà al di fuori dell'area aeroportuale e le "sarà permesso di inviare consiglieri per la sicurezza interna al governo afghano". Ricordiamo che, al vertice di giugno a Bruxelles, l'Alleanza atlantica avesse garantito sostegno finanziario all'aeroporto di Kabul. Nel dettaglio, sul territorio afghano dovrebbero restare circa 500 soldati turchi e 200 tecnici. Va da sé che, per la Turchia, si tratti di un'operazione ad alto rischio. I talebani stanno conquistando sempre più potere e, secondo alcuni, potrebbero riprendere il controllo dell'intero Paese nei sei mesi successivi al ritiro delle truppe americane. Inoltre, essi hanno espresso fastidio nei confronti di una persistente presenza turca in Afghanistan. All'inizio dello scorso giugno, un loro portavoce, Suhail Shaheen, aveva in tal senso dichiarato: "La Turchia ha fatto parte delle forze Nato negli ultimi vent'anni, quindi, in quanto tale, dovrebbero ritirarsi dall'Afghanistan sulla base dell'accordo che abbiamo firmato con gli Stati Uniti il 29 febbraio 2020". "La Turchia", ha aggiunto, "è un grande Paese islamico. L'Afghanistan ha avuto rapporti storici con esso. Speriamo di avere rapporti stretti e buoni con loro, poiché in futuro verrà stabilito un nuovo governo islamico nel Paese". Parole, insomma, amichevoli e al contempo minacciose nei confronti di Ankara. I talebani preconizzano in sostanza l'imminenza di un loro governo ed esortano i turchi a non schierarsi con quello attuale. La situazione è quindi fortemente problematica per il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan. Da una parte, i buoni rapporti che storicamente la Turchia intrattiene con i talebani potrebbero portarlo a chiamarsi fuori dalla mischia e attendere la sempre più probabile instaurazione di un loro governo. Dall'altra, non solo Ankara fa parte della Nato, ma –come sottolineato da Bloomberg News– è possibile ritenere che il Sultano voglia sobbarcarsi il rischio dell'aeroporto per conseguire determinati obiettivi. In particolare, il suo principale fine potrebbe essere quello di ricucire i rapporti con gli Stati Uniti: rapporti che, soprattutto negli ultimi tre mesi, sono stati caratterizzati da significative fibrillazioni. Tra l'altro, oltre che a Washington, Erdogan potrebbe con questa missione lanciare segnali distensivi anche all'Europa. Un modo insomma per rendersi indispensabile agli occhi di un Occidente che guarda al Sultano con crescente diffidenza. Tutto questo, senza trascurare la volontà di distendere i rapporti con gli stessi alleati della Nato, che non hanno mai troppo digerito l'avvicinamento di Ankara a Mosca. Del resto, il fatto stesso che, in base alle trattative, Ankara non dovrebbe sobbarcarsi di attività militari esterne all'aeroporto, lascia intendere che Erdogan voglia mantenere in piedi un canale di collegamento con i talebani. Non è tra l'altro escludibile che, dovesse prendere il via l'operazione, la Turchia punti a giocare anche una partita strettamente "personale", con l'intento di incrementare la propria influenza geopolitica sulla regione e rafforzare la propria proiezione verso l'Asia centrale. D'altronde, il Sultano ha da sempre fatto dell'ambiguità una cifra essenziale della propria politica estera.
Charlie Kirk (Getty Images)