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2021-11-29
Altro che PNRR. Partenza Non pRoprio Riuscita
Ursula von der Leyen e Mario Draghi (Ansa)
È stato definito una tavola imbandita, ma a questa tavola affollata manca l'organizzazione del menu. Il menu ci sarebbe ma è difficile servire le pietanze. Il Pnrr, il piano nazionale di ripresa e resilienza, la grande occasione per il rilancio del Paese, è partito con il piede sbagliato. È diventato un contenitore «omnibus» in cui sono stati inseriti progetti avveniristici accanto a piani vecchi di decenni, documenti raffazzonati e cifre ballerine. E come nella migliore tradizione, quando si tratta di tanti soldi, entrano in campo tecnici improvvisati che non riescono a elaborare progetti credibili o rimangono impantanati nei labirinti della burocrazia.
Il Pnrr farà leva su una montagna di risorse: 192 miliardi di euro che arriveranno dal Next generation Ue lanciato dalla Commissione europea ai quali si aggiungeranno i 30 miliardi a valere sul fondo complementare stanziato dal governo nazionale. La cifra totale è di 222 miliardi. Il 40% di queste risorse, per vincolo imposto da Bruxelles recepito da Roma, dovrà essere destinato al Mezzogiorno. A tali risorse si aggiungono quelle dei fondi strutturali europei e quelle del fondo Ue di sviluppo e coesione. L'Italia deve ancora utilizzare 28,7 miliardi di fondi europei relativi al 2014-2020: nel Piano sono previsti 50 miliardi per progetti già finanziati in ritardo di anni.
Su questa mole di risorse pesano incognite legate alla capacità di spesa e al futuro dei progetti. Per realizzarli si richiede di ampliare gli organici della pubblica amministrazione: e in futuro chi li pagherà? Peseranno sul bilancio pubblico, serviranno nuove imposte o si faranno tagli? Economisti come Veronica De Romanis, docente all'università Luiss di Roma, hanno sollevato il problema. Il presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, ha lanciato l'allarme sulle modalità di spesa, chiedendo al governo chiarimenti su tempi e obiettivi: «Se le Regioni non saranno coinvolte rischiamo un flop e non vorremmo che questa vicenda si trasformasse in un gioco in cui rimane con il cerino in mano quello che si prende le responsabilità».
Quando ci sono tanti soldi in ballo, la fantasia si scatena al servizio degli interessi. Nella lunga lista dei progetti che attingono ai soldi del Pnrr, compaiono anche voci di spesa che non si possono considerare una priorità. Sono previsti «impianti innovativi per il trattamento di pannolini e assorbenti». Il tema era stato affrontato dall'ex ministro dell'Ambiente, Sergio Costa, a maggio 2019 con un decreto che stabiliva i criteri in base ai quali i materiali derivanti dal riciclo di questi prodotti possono essere trasformati e qualificati come materie da immettere nuovamente nel processo produttivo.
Altri 1,2 miliardi di euro sono destinati ad ammodernare gli impianti di molitura delle olive. Il ministero dell'Ambiente ha partorito il progetto delle «piccole isole 100% green» a cui è destinata una dote di 75 milioni in 5 anni. Nel dettaglio si legge che sono «interventi integrati per la sostenibilità delle isole minori con azioni di adattamento ai cambiamenti climatici, efficientemente energetico, mobilità sostenibile e gestione del ciclo dei rifiuti».
Le foreste entreranno in città con il piano dal titolo «Foreste urbane resilienti per il benessere cittadino» a cui vanno 2,5 miliardi. Consiste in «una serie di azioni rivolte alle 14 città metropolitane per migliorare la qualità della vita e il benessere dei cittadini attraverso lo sviluppo delle foreste urbane e periurbane». Alcuni progetti hanno titoli poetici, come «Aria pulita: re-ispiriamoci», che si propone «il miglioramento della qualità dell'aria attraverso un pacchetto di azioni che intervengano sui principali settori dell'economia che impattano negativamente sull'aria». Praticamente la maggior parte delle attività condizionano la qualità dell'aria.
Il ministero dello Sviluppo economico propone invece l'«Erasmus per giovani imprenditori» con 6,3 milioni in tre anni per ampliare la «ridotta platea che oggi fruisce di un'iniziativa interessante finanziata dalla Ue». Sono destinati 250 milioni a un «Fondo per le industrie creative», con l'obiettivo di sostenere la nascita e lo sviluppo di imprese nei settori creativi e di favorire il loro incontro con le imprese tradizionali del made in Italy. Da parte sua, il ministero per l'Innovazione propone l'«e-commerce nazionale», a cui vanno 2 miliardi in 5 anni per sviluppare piattaforme locali di commercio elettronico. Probabilmente si vuole fare concorrenza a Amazon o ad Alibaba.
Tra i progetti spunta anche lo spostamento di un fiume. Non un corso qualsiasi, ma nientemeno che il Po. Ci sono 357 milioni e un'alleanza insolita tra ambientalisti e cavatori, da sempre su opposte sponde. Il progetto, raccontato dal programma Mediaset Quarta Repubblica, prevede la riapertura di vecchi rami del fiume e delle lanche, i meandri abbandonati un tempo parte del corso d'acqua, ma anche il riforestamento.
Il corso del Po verrebbe deviato di 3 chilometri su un'area privata di proprietà di una società agricola di cui è presidente l'imprenditore Claudio Bassanetti, il numero uno di Anepla che ha firmato il progetto con il Wwf. E che possiede gli impianti di estrazione a ridosso dell'area dell'intervento. Bassanetti ha risposto a Quarta Repubblica che non avrebbe alcun interesse privato in quel progetto, perché «è un'evidenza pubblica, ci saranno gare d'appalto e non sapremo neanche se parteciperemo».
Nel progetto è prevista anche la possibilità di commercializzare la sabbia. E su questo il business è forte. Il Wwf ha ribadito che «i soldi non li gestiamo noi» e che ci saranno le gare d'appalto. Ma il pasticcio è servito.
«Sopravvalutata la capacità operativa degli enti pubblici»
«Sento spesso discutere di inserire questo o quel progetto. Ma si stanno perdendo di vista le scadenze. È stata sopravvalutata la capacità delle amministrazioni di elaborare progetti. Lo abbiamo visto con i fondi europei che giacciono inutilizzati o si perdono in mille rivoli inutili a ridosso delle scadenze. Se riuscissimo a realizzare almeno l'80% di quello che c'è scritto nel Pnrr, saremo un altro Paese». Leonardo Becchetti è professore di economia politica all'Università Tor Vergata a Roma e consulente del ministero dell'Ambiente sul Recovery plan.
Vecchi progetti, mancanza di professionisti specializzati, incapacità di spesa ostacolano l'attuazione del Pnrr. C'è il rischio dell'ennesima brutta figura con l'Europa?
«Il rischio maggiore è non avviare i progetti per tempo, con la possibilità di perdere le risorse. Altro rischio è quello di non saper attivare le energie della società civile e delle imprese. Conoscenza e competenze sui territori, ci sono ma è necessario realizzare percorsi che sappiano coinvolgerle. Per fare un esempio, nel settore dei beni confiscati per i quali è previsto uno stanziamento non basta finanziare la riqualificazione di terreni e strutture, ma è fondamentale attivare i progetti di sviluppo che possono dare valore a tali strutture».
I progetti ecologici si scontrano con i veti incrociati degli ambientalisti e dei territori, come nel fotovoltaico: che si fa?
«Si scontrano da una parte l'obiettivo di superare il collo di bottiglia nella produzione di energia da fonti rinnovabili, essenziale per vincere la sfida della transizione ecologica, dall'altra l'esigenza di tutelare il paesaggio. Bisogna conciliare questi principi tenendo conto che l'emergenza ambientale è urgente e che è anche necessario semplificare le procedure per gli impianti di energia verde. Ne sorgono pochi proprio per le difficoltà a ottenere le autorizzazioni sui territori. Tetti degli edifici, pannelli verticali che non consumano superficie agricola, sostituzione dell'amianto con i pannelli nelle strutture agricole, terreni dismessi e impianti offshore, sono alcune delle possibili soluzioni».
Sono stati ripescati progetti fermi da anni. Se non andavano bene in passato, perché riproporli?
«Sinceramente non mi pare un problema. L'estensione dell'alta velocità ferroviaria al Sud era in parte fondata su vecchia progettualità ma non avevamo le risorse. Ora le abbiamo ed è un'opera assolutamente urgente».
La valanga di denaro in arrivo da Bruxelles non aumenterà l'indebitamento pubblico?
«Il debito pubblico aumenterà per la porzione di Pnrr non occupata da aiuti a fondo perduto, anche se i tassi sui prestiti saranno molto favorevoli. Ma questo si sapeva ed è stata una scelta precisa del governo, diversa da quella di Paesi come il Portogallo che ha scelto di prendere solo i soldi a fondo perduto. La sfida per noi è che il Pnrr sia “buon debito", ovvero debito che aiuta a creare valore economico in grado di ripagarlo».
Bisognerà anche trovare risorse per far funzionare il Piano, ad esempio per pagare gli stipendi dei nuovi dipendenti. Che si fa? Si aumentano le imposte o si taglia?
«I fondi saranno usati per investimenti pubblici diretti che includeranno le spese del personale per la gestione del progetto o per attivare investimenti privati che vinceranno i bandi di gara. Tutto questo non attiverà spesa pubblica aggiuntiva. Sulla questione più generale di come rientrare dal debito pubblico elevato ci sono diverse possibilità. Proprio quest'anno la combinazione di alta crescita e inflazione leggermente più elevata ha creato le condizioni per una riduzione del rapporto tra debito e Pil non indifferente. Vedremo nei prossimi anni».
In Sicilia respinti 23 dossier su 31. Mancano scadenze e verifiche
Le amministrazioni sono alle prese con la mancanza di personale specializzato per preparare e portare al termine i progetti. Sebastiano Cappuccio, segretario della Cisl Sicilia, ha acceso i riflettori sulla situazione nella sua regione. Gli organici degli enti locali siciliani negli ultimi anni si sono ridotti anche del 25%. Il personale rimasto ha un'età media alta. E molti uffici tecnici sono privi delle competenze necessarie a elaborare e realizzare progetti. Il segretario generale della Conferenza delle Regioni, Alessia Grillo, ha annunciato l'arrivo di mille professionisti incaricati di affiancare gli uffici tecnici delle autonomie territoriali per realizzare i progetti d'investimento. Ma si tratta di incarichi professionali, non di assunzioni.
Per l'incapacità tecnica di presentare i progetti, riconosciuta dallo stesso ministro dell'Agricoltura Stefano Patuanelli, è scoppiato il caso Sicilia: sono stati bocciati 31 progetti regionali per i sistemi di irrigazione finanziabili con i fondi del Pnrr. Successivamente ne sono stati recuperati 8, ma questo dà la misura del caos amministrativo. I documenti presentati erano pieni di lacune e incongruenze, come la mancanza di date di verifica, tempi più lunghi del consentito per la durata degli interventi, assenza di elementi fondamentali come la data di progettazione. Il ministro Patuanelli in un question time in Parlamento ha sottolineato che 17 progetti presentavano una durata di intervento e realizzazione delle opere superiori ai 30 mesi consentiti. Nella nota ufficiale emessa dal Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria, emerge che l'87% dei progetti candidati (27 su 31) non presentava la data di verifica. Essa mancava addirittura nel progetto dall'importo maggiore, quello da 63 milioni di euro per sostituire le condotte in amianto lungo il fiume Dittaino, nel Catanese.
Per 25 progetti su 31, alla voce «Superficie totale dell'area attrezzata sottesa all'intervento» è stato inserito zero: è avvenuto, per esempio, nel progetto da 39 milioni per utilizzare le acque di due dighe e potenziare il sistema di irrigazione ad Agrigento. Per 14 progetti non è stato rispettato il criterio che riguarda la data di progettazione, che in 12 casi non è stata inserita, mentre in altri due è antecedente al 2016. Per 19 progetti non era ammissibile il valore inserito sullo stato delle autorizzazioni. In 24 casi alla voce «Verifica progetto» è stato scritto No, contrariamente a quanto indicato.
Ma non c'è solo la Sicilia che fa acqua sulla richiesta di fondi per il sistema irriguo. Dei 249 progetti presentati nel Database nazionale degli investimenti per l'irrigazione e l'ambiente (il Dania), solo 149 sono stati approvati, in quanto hanno rispettato tutti i 23 criteri di ammissibilità. Ne sono stati bocciati 90 mentre 10 saranno ammessi al finanziamento solo se ci saranno risorse disponibili.
AgroNotizie ha calcolato che, sui 149 approvati, solo 41 progetti sarebbero immediatamente e totalmente finanziabili, per un valore di 510,6 milioni, pari al 31,6% dei finanziamenti disponibili di cui 10 interessano le regioni del Sud, per oltre 161,7 milioni di euro: 5 in Calabria, 3 in Basilicata, 2 in Campania e uno in Puglia ma non immediatamente finanziabile. La politica l'ha buttata sulla polemica antimeridionale, sulla presunta penalizzazione del Sud ma il ministero dell'Agricoltura ma ribadito che le Regioni erano perfettamente consapevoli dei criteri ai quali si dovevano uniformare i progetti e «hanno avuto la facoltà di esprimere una propria valutazione in funzione delle priorità di investimento». Quindi non ci sono scuse o alibi.
Continua a leggereRiduci
Impianti per lo smaltimento dei pannolini. Ammodernamento dei frantoi di olive. Piccole isole al 100% green. Foreste urbane resilienti per il benessere cittadino. Viaggi Erasmus all'estero per giovani imprenditori. Finanziamenti per le industrie creative. Fondo per l'e-commerce nazionale. Deviazione di un ramo nel delta del Po. I primi progetti approvati dal governo Draghi sono risibili. È per questo che ci siamo indebitati con Bruxelles?L'economista Leonardo Becchetti: «Si rischia di ripetere ciò che accade con i fondi europei ordinari, inutilizzati o dispersi in mille rivoli inutili».Investimenti per l'irrigazione: nel database nazionale passa solo il 40% delle proposte.Lo speciale contiene tre articoli.È stato definito una tavola imbandita, ma a questa tavola affollata manca l'organizzazione del menu. Il menu ci sarebbe ma è difficile servire le pietanze. Il Pnrr, il piano nazionale di ripresa e resilienza, la grande occasione per il rilancio del Paese, è partito con il piede sbagliato. È diventato un contenitore «omnibus» in cui sono stati inseriti progetti avveniristici accanto a piani vecchi di decenni, documenti raffazzonati e cifre ballerine. E come nella migliore tradizione, quando si tratta di tanti soldi, entrano in campo tecnici improvvisati che non riescono a elaborare progetti credibili o rimangono impantanati nei labirinti della burocrazia.Il Pnrr farà leva su una montagna di risorse: 192 miliardi di euro che arriveranno dal Next generation Ue lanciato dalla Commissione europea ai quali si aggiungeranno i 30 miliardi a valere sul fondo complementare stanziato dal governo nazionale. La cifra totale è di 222 miliardi. Il 40% di queste risorse, per vincolo imposto da Bruxelles recepito da Roma, dovrà essere destinato al Mezzogiorno. A tali risorse si aggiungono quelle dei fondi strutturali europei e quelle del fondo Ue di sviluppo e coesione. L'Italia deve ancora utilizzare 28,7 miliardi di fondi europei relativi al 2014-2020: nel Piano sono previsti 50 miliardi per progetti già finanziati in ritardo di anni.Su questa mole di risorse pesano incognite legate alla capacità di spesa e al futuro dei progetti. Per realizzarli si richiede di ampliare gli organici della pubblica amministrazione: e in futuro chi li pagherà? Peseranno sul bilancio pubblico, serviranno nuove imposte o si faranno tagli? Economisti come Veronica De Romanis, docente all'università Luiss di Roma, hanno sollevato il problema. Il presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, ha lanciato l'allarme sulle modalità di spesa, chiedendo al governo chiarimenti su tempi e obiettivi: «Se le Regioni non saranno coinvolte rischiamo un flop e non vorremmo che questa vicenda si trasformasse in un gioco in cui rimane con il cerino in mano quello che si prende le responsabilità».Quando ci sono tanti soldi in ballo, la fantasia si scatena al servizio degli interessi. Nella lunga lista dei progetti che attingono ai soldi del Pnrr, compaiono anche voci di spesa che non si possono considerare una priorità. Sono previsti «impianti innovativi per il trattamento di pannolini e assorbenti». Il tema era stato affrontato dall'ex ministro dell'Ambiente, Sergio Costa, a maggio 2019 con un decreto che stabiliva i criteri in base ai quali i materiali derivanti dal riciclo di questi prodotti possono essere trasformati e qualificati come materie da immettere nuovamente nel processo produttivo.Altri 1,2 miliardi di euro sono destinati ad ammodernare gli impianti di molitura delle olive. Il ministero dell'Ambiente ha partorito il progetto delle «piccole isole 100% green» a cui è destinata una dote di 75 milioni in 5 anni. Nel dettaglio si legge che sono «interventi integrati per la sostenibilità delle isole minori con azioni di adattamento ai cambiamenti climatici, efficientemente energetico, mobilità sostenibile e gestione del ciclo dei rifiuti». Le foreste entreranno in città con il piano dal titolo «Foreste urbane resilienti per il benessere cittadino» a cui vanno 2,5 miliardi. Consiste in «una serie di azioni rivolte alle 14 città metropolitane per migliorare la qualità della vita e il benessere dei cittadini attraverso lo sviluppo delle foreste urbane e periurbane». Alcuni progetti hanno titoli poetici, come «Aria pulita: re-ispiriamoci», che si propone «il miglioramento della qualità dell'aria attraverso un pacchetto di azioni che intervengano sui principali settori dell'economia che impattano negativamente sull'aria». Praticamente la maggior parte delle attività condizionano la qualità dell'aria. Il ministero dello Sviluppo economico propone invece l'«Erasmus per giovani imprenditori» con 6,3 milioni in tre anni per ampliare la «ridotta platea che oggi fruisce di un'iniziativa interessante finanziata dalla Ue». Sono destinati 250 milioni a un «Fondo per le industrie creative», con l'obiettivo di sostenere la nascita e lo sviluppo di imprese nei settori creativi e di favorire il loro incontro con le imprese tradizionali del made in Italy. Da parte sua, il ministero per l'Innovazione propone l'«e-commerce nazionale», a cui vanno 2 miliardi in 5 anni per sviluppare piattaforme locali di commercio elettronico. Probabilmente si vuole fare concorrenza a Amazon o ad Alibaba.Tra i progetti spunta anche lo spostamento di un fiume. Non un corso qualsiasi, ma nientemeno che il Po. Ci sono 357 milioni e un'alleanza insolita tra ambientalisti e cavatori, da sempre su opposte sponde. Il progetto, raccontato dal programma Mediaset Quarta Repubblica, prevede la riapertura di vecchi rami del fiume e delle lanche, i meandri abbandonati un tempo parte del corso d'acqua, ma anche il riforestamento. Il corso del Po verrebbe deviato di 3 chilometri su un'area privata di proprietà di una società agricola di cui è presidente l'imprenditore Claudio Bassanetti, il numero uno di Anepla che ha firmato il progetto con il Wwf. E che possiede gli impianti di estrazione a ridosso dell'area dell'intervento. Bassanetti ha risposto a Quarta Repubblica che non avrebbe alcun interesse privato in quel progetto, perché «è un'evidenza pubblica, ci saranno gare d'appalto e non sapremo neanche se parteciperemo». Nel progetto è prevista anche la possibilità di commercializzare la sabbia. E su questo il business è forte. Il Wwf ha ribadito che «i soldi non li gestiamo noi» e che ci saranno le gare d'appalto. Ma il pasticcio è servito.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/partenza-non-proprio-riuscita-2655870956.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sopravvalutata-la-capacita-operativa-degli-enti-pubblici" data-post-id="2655870956" data-published-at="1638120756" data-use-pagination="False"> «Sopravvalutata la capacità operativa degli enti pubblici» «Sento spesso discutere di inserire questo o quel progetto. Ma si stanno perdendo di vista le scadenze. È stata sopravvalutata la capacità delle amministrazioni di elaborare progetti. Lo abbiamo visto con i fondi europei che giacciono inutilizzati o si perdono in mille rivoli inutili a ridosso delle scadenze. Se riuscissimo a realizzare almeno l'80% di quello che c'è scritto nel Pnrr, saremo un altro Paese». Leonardo Becchetti è professore di economia politica all'Università Tor Vergata a Roma e consulente del ministero dell'Ambiente sul Recovery plan. Vecchi progetti, mancanza di professionisti specializzati, incapacità di spesa ostacolano l'attuazione del Pnrr. C'è il rischio dell'ennesima brutta figura con l'Europa? «Il rischio maggiore è non avviare i progetti per tempo, con la possibilità di perdere le risorse. Altro rischio è quello di non saper attivare le energie della società civile e delle imprese. Conoscenza e competenze sui territori, ci sono ma è necessario realizzare percorsi che sappiano coinvolgerle. Per fare un esempio, nel settore dei beni confiscati per i quali è previsto uno stanziamento non basta finanziare la riqualificazione di terreni e strutture, ma è fondamentale attivare i progetti di sviluppo che possono dare valore a tali strutture». I progetti ecologici si scontrano con i veti incrociati degli ambientalisti e dei territori, come nel fotovoltaico: che si fa? «Si scontrano da una parte l'obiettivo di superare il collo di bottiglia nella produzione di energia da fonti rinnovabili, essenziale per vincere la sfida della transizione ecologica, dall'altra l'esigenza di tutelare il paesaggio. Bisogna conciliare questi principi tenendo conto che l'emergenza ambientale è urgente e che è anche necessario semplificare le procedure per gli impianti di energia verde. Ne sorgono pochi proprio per le difficoltà a ottenere le autorizzazioni sui territori. Tetti degli edifici, pannelli verticali che non consumano superficie agricola, sostituzione dell'amianto con i pannelli nelle strutture agricole, terreni dismessi e impianti offshore, sono alcune delle possibili soluzioni». Sono stati ripescati progetti fermi da anni. Se non andavano bene in passato, perché riproporli? «Sinceramente non mi pare un problema. L'estensione dell'alta velocità ferroviaria al Sud era in parte fondata su vecchia progettualità ma non avevamo le risorse. Ora le abbiamo ed è un'opera assolutamente urgente». La valanga di denaro in arrivo da Bruxelles non aumenterà l'indebitamento pubblico? «Il debito pubblico aumenterà per la porzione di Pnrr non occupata da aiuti a fondo perduto, anche se i tassi sui prestiti saranno molto favorevoli. Ma questo si sapeva ed è stata una scelta precisa del governo, diversa da quella di Paesi come il Portogallo che ha scelto di prendere solo i soldi a fondo perduto. La sfida per noi è che il Pnrr sia “buon debito", ovvero debito che aiuta a creare valore economico in grado di ripagarlo». Bisognerà anche trovare risorse per far funzionare il Piano, ad esempio per pagare gli stipendi dei nuovi dipendenti. Che si fa? Si aumentano le imposte o si taglia? «I fondi saranno usati per investimenti pubblici diretti che includeranno le spese del personale per la gestione del progetto o per attivare investimenti privati che vinceranno i bandi di gara. Tutto questo non attiverà spesa pubblica aggiuntiva. Sulla questione più generale di come rientrare dal debito pubblico elevato ci sono diverse possibilità. Proprio quest'anno la combinazione di alta crescita e inflazione leggermente più elevata ha creato le condizioni per una riduzione del rapporto tra debito e Pil non indifferente. Vedremo nei prossimi anni». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/partenza-non-proprio-riuscita-2655870956.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="in-sicilia-respinti-23-dossier-su-31-mancano-scadenze-e-verifiche" data-post-id="2655870956" data-published-at="1638120756" data-use-pagination="False"> In Sicilia respinti 23 dossier su 31. Mancano scadenze e verifiche Le amministrazioni sono alle prese con la mancanza di personale specializzato per preparare e portare al termine i progetti. Sebastiano Cappuccio, segretario della Cisl Sicilia, ha acceso i riflettori sulla situazione nella sua regione. Gli organici degli enti locali siciliani negli ultimi anni si sono ridotti anche del 25%. Il personale rimasto ha un'età media alta. E molti uffici tecnici sono privi delle competenze necessarie a elaborare e realizzare progetti. Il segretario generale della Conferenza delle Regioni, Alessia Grillo, ha annunciato l'arrivo di mille professionisti incaricati di affiancare gli uffici tecnici delle autonomie territoriali per realizzare i progetti d'investimento. Ma si tratta di incarichi professionali, non di assunzioni. Per l'incapacità tecnica di presentare i progetti, riconosciuta dallo stesso ministro dell'Agricoltura Stefano Patuanelli, è scoppiato il caso Sicilia: sono stati bocciati 31 progetti regionali per i sistemi di irrigazione finanziabili con i fondi del Pnrr. Successivamente ne sono stati recuperati 8, ma questo dà la misura del caos amministrativo. I documenti presentati erano pieni di lacune e incongruenze, come la mancanza di date di verifica, tempi più lunghi del consentito per la durata degli interventi, assenza di elementi fondamentali come la data di progettazione. Il ministro Patuanelli in un question time in Parlamento ha sottolineato che 17 progetti presentavano una durata di intervento e realizzazione delle opere superiori ai 30 mesi consentiti. Nella nota ufficiale emessa dal Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria, emerge che l'87% dei progetti candidati (27 su 31) non presentava la data di verifica. Essa mancava addirittura nel progetto dall'importo maggiore, quello da 63 milioni di euro per sostituire le condotte in amianto lungo il fiume Dittaino, nel Catanese. Per 25 progetti su 31, alla voce «Superficie totale dell'area attrezzata sottesa all'intervento» è stato inserito zero: è avvenuto, per esempio, nel progetto da 39 milioni per utilizzare le acque di due dighe e potenziare il sistema di irrigazione ad Agrigento. Per 14 progetti non è stato rispettato il criterio che riguarda la data di progettazione, che in 12 casi non è stata inserita, mentre in altri due è antecedente al 2016. Per 19 progetti non era ammissibile il valore inserito sullo stato delle autorizzazioni. In 24 casi alla voce «Verifica progetto» è stato scritto No, contrariamente a quanto indicato. Ma non c'è solo la Sicilia che fa acqua sulla richiesta di fondi per il sistema irriguo. Dei 249 progetti presentati nel Database nazionale degli investimenti per l'irrigazione e l'ambiente (il Dania), solo 149 sono stati approvati, in quanto hanno rispettato tutti i 23 criteri di ammissibilità. Ne sono stati bocciati 90 mentre 10 saranno ammessi al finanziamento solo se ci saranno risorse disponibili. AgroNotizie ha calcolato che, sui 149 approvati, solo 41 progetti sarebbero immediatamente e totalmente finanziabili, per un valore di 510,6 milioni, pari al 31,6% dei finanziamenti disponibili di cui 10 interessano le regioni del Sud, per oltre 161,7 milioni di euro: 5 in Calabria, 3 in Basilicata, 2 in Campania e uno in Puglia ma non immediatamente finanziabile. La politica l'ha buttata sulla polemica antimeridionale, sulla presunta penalizzazione del Sud ma il ministero dell'Agricoltura ma ribadito che le Regioni erano perfettamente consapevoli dei criteri ai quali si dovevano uniformare i progetti e «hanno avuto la facoltà di esprimere una propria valutazione in funzione delle priorità di investimento». Quindi non ci sono scuse o alibi.
Trump blocca il petrolio del Venezuela. Domanda elettrica, una questione di sicurezza nazionale. Le strategie della Cina per l’Artico. Auto 2035, l’Ue annacqua ma ormai il danno è fatto.
Dinanzi a tale insipienza strategica, i popoli non rimangono impassibili. Già alla vigilia del vertice dei 27, Politico aveva pubblicato i risultati di un sondaggio, secondo il quale sia in Francia sia in Germania sono aumentati quelli che vorrebbero «ridurre significativamente» il sostegno monetario all’Ucraina. I tedeschi che chiedono tagli drastici sono il 32%, percentuale cui va sommato il 14% di quanti si accontenterebbero di una qualsiasi stretta. Totale: 46%. I transalpini stufi di sborsare, invece, sono il 37% del totale. Per la Bild, l’opinione pubblica di Berlino è ancora più netta sull’opportunità di continuare a inviare armi al fronte: il 58% risponde di no. Infine, una rilevazione di Rtl e Ntv ha appurato che il 75% dei cittadini boccia l’operato del cancelliere Friedrich Merz, principale fautore della poi scongiurata «rapina» dei fondi di Mosca. Non è un caso che, stando almeno alle ricostruzioni del Consiglio Ue proposte da Repubblica, Emmanuel Macron e Giorgia Meloni abbiano motivato le proprie riserve sul piano con la difficoltà di far digerire ai Parlamenti nazionali, quindi agli elettori, una mozza così azzardata. Lo scollamento permanente dalla realtà che caratterizza l’operato della Commissione, a quanto pare, risponde alla filosofia esposta da Sergio Mattarella a proposito del riarmo a tappe forzate: è impopolare, ma è necessario.
La disputa sulle sovvenzioni a Zelensky - e speriamo siano a Zelensky, ovvero al bilancio del Paese aggredito, anziché ai cessi d’oro dei suoi oligarchi corrotti - ha comunque generato pure un’altra forma di divaricazione: quella tra i fatti e le rappresentazioni mediatiche.
I fatti sono questi: Ursula von der Leyen, spalleggiata da Merz, ha subìto l’ennesimo smacco; l’Unione ha ripiegato all’unanimità sugli eurobond, sebbene Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca siano state esentate dagli obblighi contributivi, perché abbandonare i lavori senza alcun accordo, oppure con un accordo a maggioranza qualificata, sarebbe stato drammatico; alla fine, l’Europa si è condannata all’ennesimo salasso. E la rappresentazione?
La Stampa ieri è partita per Plutone: titolava sulla «svolta» del debito comune, descritta addirittura come un «compromesso storico». Il corrispondente da Bruxelles, Marco Bresolin, in verità ha usato toni più sobri, sottolineando la «grande delusione» di chi avrebbe voluto «punire la Russia» e riconoscendo il successo del premier belga, Bart De Wever, ostile all’impiego degli asset; mentre l’inviato, Francesco Malfetano, dava atto alla Meloni di aver pianificato «la sua mossa più efficace». Sul Corriere, il fiasco di Merz si è trasformato in una «vittoria a metà». Repubblica ha borbottato per la «trappola» tesa dal cancelliere e a Ursula. Ma Andrea Bonanni, in un editoriale, ha lodato l’esito «non scontato» del Consiglio. L’Europa, ha scritto, «era chiamata a sostituirsi a Washington per consentire a Kiev di continuare la resistenza contro l’attacco russo. Lo ha fatto. Doveva trovare i soldi. Li ha trovati ricorrendo ancora una volta a un prestito comune, come fece al tempo dell’emergenza Covid». Un trionfo. Le memorie del regimetto pandemico avranno giocato un ruolo, nel convincere le firme di largo Fochetti che, «stavolta», l’Ue abbia «battuto un colpo».
Un colpo dev’essere venuto ai leader continentali. Costoro, compiuto il giro di boa, forse si convinceranno a smetterla di sabotare le trattative. Prova ne sia la sveglia di Macron, che ha avvisato gli omologhi: se fallisce la mediazione Usa, tocca agli europei aprire un canale con Vladimir Putin. Tutto sommato, avere gli asset in ostaggio può servire a scongiurare l’incubo dell’Ue: sparire di scena.
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Volodymyr Zelensky (Ansa)
La soluzione del prestito dunque salva capra e cavoli, ovvero gli interessi di chi ritiene giusto dover alimentare con aiuti e armi la resistenza di Kiev e anche quelli di quanti temevano la reazione russa all’uso dei fondi. Una mediazione soddisfacente per tutti, dunque? Non esattamente, visto che la soluzione escogitata non è affatto gratis. Già: mentre i vertici della Ue si fanno i complimenti per aver raggiunto un’intesa, a non congratularsi dovrebbero essere i cittadini europei, perché l’accordo raggiunto non è gratis, ma graverà ancora una volta sulle tasche dei contribuenti. Lasciate perdere per un momento come e quando l’Ucraina sarà in grado di restituire il prestito che le verrà concesso. Se Kiev fosse un comune cittadino nessuna banca la finanzierebbe, perché agli occhi di qualsiasi istituto di credito non offrirebbe alcuna garanzia di restituzione del mutuo concesso. Per molti anni gli ucraini non saranno in grado di restituire ciò che ricevono. Dunque, i soldi che la Ue si prepara a erogare rischiano di essere a fondo perduto, cioè di non ritornare mai nelle tasche dei legittimi proprietari, cioè noi, perché il prestito non è garantito da Volodymyr Zelensky, in quanto il presidente ucraino non ha nulla da offrire in garanzia, ma dall’Europa, vale a dire da chi nel Vecchio continente paga le tasse.
Lasciate perdere che, con la corruzione che regna nel Paese, parte dei soldi che diamo a Kiev rischia di sparire nelle tasche di una serie di politici e burocrati avidi prima ancora di arrivare a destinazione. E cancelliamo pure dalla memoria le immagini dei cessi d’oro fatti installare dai collaboratori mano lesta del presidente ucraino: rubinetti, bidet, vasca e tutto il resto lo abbiamo pagato noi, con i nostri soldi. Il grande reset della realtà, per come si è fin qui palesata, tuttavia non può cancellare quello che ci aspetta.
Il prestito della Ue, come ogni finanziamento, non è gratis: quando voi fate il mutuo per la casa, oltre a rimborsare mese dopo mese parte del capitale, pagate gli interessi. Ma in questo caso il tasso non sarà a carico di chi riceve i soldi, come sempre capita, ma - udite, udite - di chi li garantisce, ovvero noi. Politico, sito indipendente, ha calcolato che ogni anno la Ue sarà costretta a sborsare circa 3 miliardi di interessi, non proprio noccioline. Chi pagherà? È ovvio: non sarà lo Spirito Santo, ma ancora noi. Dividendo la cifra per il numero di abitanti all’interno della Ue si capisce che ogni cittadino dovrà mettere mano al portafogli per 220 euro, neonati e minorenni inclusi. Se poi l’aliquota la si vuol applicare sopra una certa soglia di età, si arriva a 300.
Ecco, la pace sia con voi la pagheremo cara e probabilmente pagheremo cari anche i 90 miliardi concessi all’Ucraina, perché quasi certamente Kiev non li restituirà mai e toccherà a noi, intesi come Ue, farcene carico. Piccola noticina: com’è che, quando servivano soldi per rilanciare l’economia e i salari, Bruxelles era contraria e adesso, se c’è da far debito per sostenere l’Ucraina, invece è favorevole? Il mistero delle scelte Ue continua. Ma soprattutto, si capisce che alla base di ogni decisione, a differenza di ciò che ci hanno raccontato per anni, non ci sono motivazioni economiche, ma solo politiche.
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