Lo stilista Rocco Iannone scelto da Maranello per la nuova linea: «Quando lavori con un marchio così forte, ne devi interpretare lo spirito»
Lo stilista Rocco Iannone scelto da Maranello per la nuova linea: «Quando lavori con un marchio così forte, ne devi interpretare lo spirito»Alla fine, tutti al Cavallino, lo storico ristorante di Maranello oggi gestito da Massimo Bottura, inaugurato per l'occasione. Non potevano mancare John Elkann con la moglie e i piloti Charles Leclerc e Carlo Sainz a dare il benvenuto alla prima collezione di moda di Ferrari, firmata da Rocco Iannone, giovane stilista calabrese con un bagaglio di esperienze non da poco avendo iniziato da Dolce & Gabbana per poi rimanere dieci anni da Armani e creando lo stile di Pal Zileri. Il progetto è stato presentato attraverso 52 modelli (32 donne e 20 uomini) su una passerella di 113 metri che correva lungo la linea di assemblaggio delle V12. Il meglio del meglio del made in Italy, dalle auto alla moda. Non era un compito da poco disegnare per il marchio che rende il Belpaese orgoglioso nel mondo. Perdersi in una tale storia, iniziata nel 1947, era un rischio. Ma Iannone ha superato la prova. «Rocco», spiega Nicola Boari, Ferrari chief brand diversification officer, «ha due caratteristiche fondamentali: è un creativo razionale, forse quello più in grado di gestire i vari aspetti. Non mi ha mai proposto un capo su cui potessi avere un dubbio commercialmente parlando e, soprattutto, non mette sé stesso davanti al marchio e questa per Ferrari era la conditio sine qua non. Rocco ha una competenza infinita sui materiali ma anche l'umiltà di approcciare un nome come Ferrari. Siamo la start up di moda più fortunata del mondo ma il marchio che abbiamo alle spalle è anche una responsabilità». Servivano competenza e curiosità. «Abbiamo sentito il bisogno», continua Boari, «di creare un progetto che ci consentisse di accedere a questo mondo attraverso una piattaforma eccezionale come quella comunicativa della moda e del luxury fashion. Ferrari, in passato, ha sviluppato in quest'area un'offerta legata alla Formula 1, per fan e merchandising, attraverso molte licenze che ho chiuso al 50%. Ma era un mondo che valeva 1 miliardo di euro. L'obiettivo in sette-dieci anni è quello di far aumentare il giro d'affari di questo settore del 10%, ma non tutto e non subito». Per Iannone, quindi, un'esperienza elettrizzante e coinvolgente ma sempre con i piedi per terra. «Sono arrivato in Ferrari nel novembre 2019», racconta alla Verità, «In quasi due anni il mio lavoro si è concentrato sulla collezione ma è stato anche costruito tutto il progetto di brand diversification con progetti collaterali, il lancio del nuovo sito Internet e delle nuove piattaforme social che ho curato nella loro espressione creativa». È stato difficile disegnare una collezione per un marchio dall'imprinting così forte? «Ferrari è l'emblema del nostro Paese. Quello che ho cercato di fare è stato avere un approccio quanto più possibile rispettoso, è un marchio che ha bisogno di essere interpretato con un certo tipo di razionalità e di disciplina. Ho evitato di farmi fagocitare, quello sì. Il rischio è che un brand così potente e importante ti incuta un timore reverenziale che poi ti blocca. Non parliamo di una comune casa di moda ma di uno dei nomi più conosciuti al mondo e non volevo farmi influenzare dall'ansia di prestazione». Lei ha lavorato per case di moda importanti. Di quelle esperienze cosa ha trasmesso in questa collezione? «Parliamo di 15 anni distribuiti almeno su tre aziende. Un creativo, quando è al servizio di un gruppo, ne deve interpretare in qualche modo lo spirito. Ma questo non significa che avvenga necessariamente una contaminazione dal punto di vista creativo. Ho sempre avuto una mia visione estetica ben precisa e l'ho perseguita a prescindere dai brand con i quali ho collaborato». Come spiega la sua collezione Ferrari style?«Si tratta di una linea che comprende abbigliamento e accessori per donna, uomo e bambino. Uno show all'anno (si arriverà a giugno 2022 per il prossimo) e poi sei drop in uscita ogni due mesi, venduti online, nei 20 negozi Ferrari nel mondo e in multibrand scelti. Siamo in grado di offrire tutte le vestibilità dalla XXXS alla XXXL e questo assicura al nostro cliente un prodotto che non ha bisogno di un genere, di una barriera o di una definizione. È un prodotto, come le Ferrari, che può essere indossato da chiunque. È stato molto importante lavorare sull'impronta culturale dell'azienda che appartiene all'immaginario collettivo, che fa parte della cultura popolare. In quanto tale ha un archivio vastissimo che si va ad accompagnare a un'estetica su cui lavorare che è fatta di artigianato e di messaggi stilistici ben precisi che ho cercato di convogliare dentro la collezione». Quali materiali ha utilizzato?«Tecnici e tecnologici. Abbiamo lavorato molto con tante aziende che hanno sposato questo progetto e ci hanno supportato nella realizzazione di materiali molto performanti, antipioggia, antivento con un look finale estremamente lussuoso. I nostri tessuti pur essendo super tecnici restituiscono un'immagine molto couture, molto d'atelier. Questo ci rende diversi da tanti progetti street. La nostra immagine è corroborata ed esaltata attraverso l'artigianato, il ben fatto, il made in Italy».Si parla di cinema e di star che fanno parte da sempre dell'universo Ferrari, un binomio inscindibile. Ha tratto ispirazione da quel mondo e da certi personaggi?«Certo. Ferrari è un mito che non si è accompagnato solo al prodotto che ha realizzato fino a oggi ma anche alle icone lo hanno accompagnato. Tante donne hanno fatto parte del mito Ferrari e l'hanno raccontato. Penso ad Anna Magnani, una delle prime clienti, Monica Vitti, Zsa Zsa Gabor, Donna Karan, Brigitte Bardot e tantissime altre. La crème de la crème, l'iconografia mondiale del cinema e della musica. Oggi il marchio Ferrari ha bisogno di essere riportato nell'ambito femminile».
Quest’anno in Brasile doppio carnevale: oltre a quello di Rio, a Belém si terrà la Conferenza Onu sul clima Un evento che va avanti da 30 anni, malgrado le emissioni crescano e gli studi seri dicano che la crisi non esiste.
Due carnevali, quest’anno in Brasile: quello già festeggiato a Rio dei dieci giorni a cavallo tra febbraio e marzo, come sempre allietato dagli sfrenati balli di samba, e quello - anch’esso di dieci giorni - di questo novembre, allietato dagli sfrenati balli dei bamba che si recheranno a Belém, attraversata dall’equatore, per partecipare alla Cop30, la conferenza planetaria che si propone di salvarci dal riscaldamento del clima.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Il 9 novembre 1971 si consumò il più grave incidente aereo per le forze armate italiane. Morirono 46 giovani parà della «Folgore». Oggi sono stati ricordati con una cerimonia indetta dall'Esercito.
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Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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Teresa Ribera (Ansa)
Il capo del Mef: «All’Ecofin faremo la guerra sulla tassazione del gas naturale». Appello congiunto di Confindustria con le omologhe di Francia e Germania.
Chiusa l’intesa al Consiglio europeo dell’Ambiente, resta il tempo per i bilanci. Il dato oggettivo è che la lentezza della macchina burocratica europea non riesce in alcun modo a stare al passo con i competitor mondiali.
Chiarissimo il concetto espresso dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: «Vorrei chiarire il criterio ispiratore di questo tipo di politica, partendo dal presupposto che noi non siamo una grande potenza, e non abbiamo nemmeno la bacchetta magica per dire alla Ue cosa fare in termini di politica industriale. Ritengo, ad esempio, che sulla politica commerciale, se stiamo ad aspettare cosa accade nel globo, l’industria in Europa nel giro di cinque anni rischia di scomparire». L’intervento avviene in Aula, il contesto è la manovra di bilancio, ma il senso è chiaro. Le piccole conquiste ottenute nell’accordo sul clima non sono sufficienti e nei due anni che bisogna aspettare per la nuova revisione può succedere di tutto.









