2019-03-03
Parigi non capisce che farci la guerra è atto infantile e autolesionista
La cooperazione economica su temi selezionati serve a entrambi. Una rottura ci spingerebbe verso gli Usa: un autogol per i cugini.È ora di chiarire le relazioni tra Francia ed Italia allo scopo di evitare una guerra dannosa per ambedue. Roma, al momento, oscilla tra due posizioni: (ri)convergenza in posizione però subordinata e confronto emotivo senza razionalità strategica. Ambedue sono sbagliate sul piano dell'interesse nazionale. Cerchiamo di individuare quella giusta. Serve una premessa. L'integrazione europea è un'alleanza tra nemici e non tra amici. La Comunità nacque e si sviluppò - dal 1957 al 1992 - grazie ad una efficace prassi di convergenza, appunto, tra nemici, definita «metodo funzionalista»: integrazione passo dopo passo e solo in quei settori dove per tutti c'era un vantaggio evidente, posponendo altri passi se prematuri. Nel 1963 Charles De Gaulle intuì che la Comunità poteva diventare il moltiplicatore di potenza e scala per una Francia de-potenziata dalla perdita delle colonie. Propose alla Germania - Trattato dell'Eliseo - un duumvirato in posizione subordinata, escluse l'Italia, ed avviò la costruzione di una regione europea come nuovo impero francese alla pari con America e Russia. L'allineamento degli altri europei fu condotto con un'intelligenza inclusiva che non modificò il metodo funzionalista. Ma nel 1989, temendo che la Germania riunificata diventasse potenza singola, Parigi volle la trasformazione della Comunità in Unione (trattato di Maastricht, 1992) e l'accelerazione della moneta unica per vincolare Berlino e così consolidare l'impero francese. Per inciso, questa natura politica e non tecnica della moneta (1999) che europeizzò il depressivo ed etnico «criterio tedesco» ebbe effetti impoverenti per tutti meno che per la Germania in quanto la sua antropologia economica si era già adattata a tale mostruosità. Ciò rese la Germania prima potenza europea. Per bilanciarne il potere economico, la Francia avviò (1993) un piano di conquista dell'economia reale e finanziaria italiana. Recentemente, cogliendo l'occasione della Brexit, Parigi ha concepito un piano per allineare l'Ue sotto l'ombrello nucleare francese costringendo la Germania ad una posizione subordinata sul piano militare. Berlino, spiazzata dalla frizione con l'America, lo ha accettato - per lo meno a parole - e ha siglato il Trattato, bilaterale, di Aquisgrana, come aggiornamento di quello dell'Eliseo. Ma diversamente da quello del 1963, nel testo non c'è alcuna cosmesi diplomatica: Francia e Germania si autonominano duchi degli europei occidentali. In sintesi, l'Italia deve confrontarsi con una Francia talmente ossessionata dalla voglia di impero da perdere lucidità strategica. Per questo il chiarimento dovrebbe basarsi sul realismo. Il tentativo di conquista francese dell'economia italiana ha avuto qualche successo, ma in sostanza è fallito anche grazie al buon lavoro dei nostri servizi segreti. L'Italia non può accettare una difesa europea post-Nato. Nemmeno la Germania che infatti ha imposto la continuità della Nato nel linguaggio, pur di fatto post-Nato, di Aquisgrana. È comprensibile che la Francia voglia francesizzare l'industria militare europea per un vantaggio economico nazionale, ma non può pretendere che l'Italia rinunci alla propria, seconda in Europa e traino dell'indotto tecnologico. Inoltre, Parigi deve rendersi conto che l'atto di Aquisgrana sta spaccando l'Ue in aree baltica-anseatica, a guida olandese, centro-orientale, e italiana, dove la politica ha il problema di rispondere alla domanda se la sovranità viene ceduta all'Ue o all'impero franco tedesco. Parigi, cioè, deve accorgersi di aver fatto una (l'ennesima) fesseria controproducente. Per l'Italia l'Ue è un moltiplicatore di potenza commerciale. Il suo interesse primario è preservare il mercato integrato interno e spingere l'Ue a siglare trattati di libero scambio esterni che sono vantaggiosi per l'export perché riducono i costi di internazionalizzazione per le piccole imprese. Fino a che la Francia non compromette questa «Europa utile» non c'è motivo di conflitto. Al riguardo dell'architettura Ue, l'Italia deve marcare che questa deve essere confortevole per tutti o si spaccherà e su questo tema è necessario ritrovare un punto di comodità «funzionalista». Per la sicurezza l'Italia non potrà mai rinunciare alla Nato. Se Parigi (ri)calibra il suo concetto di «difesa europea» rispettando tale criterio, allora vi potranno essere collaborazioni. In caso contrario l'Italia sarebbe costretta a firmare un trattato bilaterale di difesa e industriale con gli Stati Uniti, includendo anche i programmi spaziali, fatto che depotenzierebbe l'industria francese. Per l'Africa si possono trovare collaborazioni, più utili per ambedue che non la frizione continua, anche considerando che la Cina se la sta mangiando tutta. Infine, Parigi deve prendere atto che non ce la farà a dominare l'economia italiana, mentre è utile per ambedue un'integrazione crescente e naturale dei due mercati. Pertanto il chiarimento dovrebbe diventare una lista di temi su cui convergere e altri su cui si diverge, ma trattando i secondi con negoziati alla pari invece che con battaglie. Poiché Francia e Italia non sono amiche, ma avversarie storiche, si replichi ogni anno la «disfida di Barletta», con torneo aggiornato, dando a chi vince il diritto di mettere la propria bandiera sopra quella dell'altra per un anno, trasformando in divertimento sportivo una guerra che non ha senso realistico continuare. L'Italia ha questioni ben più importanti nel mondo che non difendersi dall'infantilismo della Francia. www.carlopelanda.com
Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa (Ansa)
Protagonista di questo numero è l’atteso Salone della Giustizia di Roma, presieduto da Francesco Arcieri, ideatore e promotore di un evento che, negli anni, si è imposto come crocevia del mondo giuridico, istituzionale e accademico.
Arcieri rinnova la missione del Salone: unire magistratura, avvocatura, politica, università e cittadini in un confronto trasparente e costruttivo, capace di far uscire la giustizia dal linguaggio tecnico per restituirla alla società. L’edizione di quest’anno affronta i temi cruciali del nostro tempo — diritti, sicurezza, innovazione, etica pubblica — ma su tutti domina la grande sfida: la riforma della giustizia.
Sul piano istituzionale spicca la voce di Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, che individua nella riforma Nordio una battaglia di civiltà. Separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, riformare il Consiglio superiore della magistratura, rafforzare la terzietà del giudice: per Balboni sono passaggi essenziali per restituire equilibrio, fiducia e autorevolezza all’intero sistema giudiziario.
Accanto a lui l’intervento di Cesare Parodi dell’Associazione nazionale magistrati, che esprime con chiarezza la posizione contraria dell’Anm: la riforma, sostiene Parodi, rischia di indebolire la coesione interna della magistratura e di alterare l’equilibrio tra accusa e difesa. Un dialogo serrato ma costruttivo, che la testata propone come simbolo di pluralismo e maturità democratica. La prima pagina di Giustizia è dedicata inoltre alla lotta contro la violenza di genere, con l’autorevole contributo dell’avvocato Giulia Buongiorno, figura di riferimento nazionale nella difesa delle donne e nella promozione di politiche concrete contro ogni forma di abuso. Buongiorno denuncia l’urgenza di una risposta integrata — legislativa, educativa e culturale — capace di affrontare il fenomeno non solo come emergenza sociale ma come questione di civiltà. Segue la sezione Prìncipi del Foro, dedicata a riconosciuti maestri del diritto: Pietro Ichino, Franco Toffoletto, Salvatore Trifirò, Ugo Ruffolo e Nicola Mazzacuva affrontano i nodi centrali della giustizia del lavoro, dell’impresa e della professione forense. Ichino analizza il rapporto tra flessibilità e tutela; Toffoletto riflette sul nuovo equilibrio tra lavoro e nuove tecnologie; Trifirò richiama la responsabilità morale del giurista; Ruffolo e Mazzacuva parlano rispettivamente di deontologia nell’era digitale e dell’emergenza carceri. Ampio spazio, infine, ai processi mediatici, un terreno molto delicato e controverso della giustizia contemporanea. L’avvocato Nicodemo Gentile apre con una riflessione sui femminicidi invisibili, storie di dolore taciuto che svelano il volto sommerso della cronaca. Liborio Cataliotti, protagonista della difesa di Wanna Marchi e Stefania Nobile, racconta invece l’esperienza diretta di un processo trasformato in spettacolo mediatico. Chiudono la sezione l’avvocato Barbara Iannuccelli, parte civile nel processo per l’omicidio di Saman, che riflette sulla difficoltà di tutelare la dignità della vittima quando il clamore dei media rischia di sovrastare la verità e Cristina Rossello che pone l’attenzione sulla privacy di chi viene assistito.
Voci da angolature diverse, un unico tema: il fragile equilibrio tra giustizia e comunicazione. Ma i contributi di questo numero non si esauriscono qui. Giustizia ospita analisi, interviste, riflessioni e testimonianze che spaziano dal diritto penale all’etica pubblica, dalla cyber sicurezza alla devianza e criminalità giovanile. Ogni pagina di Giustizia aggiunge una tessera a un mosaico complessivo e vivo, dove il sapere incontra l’esperienza e la passione civile si traduce in parola scritta.
Per scaricare il numero di «Giustizia» basta cliccare sul link qui sotto.
Giustizia - Ottobre 2025.pdf
Continua a leggereRiduci
Terry Rozier (Getty Images)
L’operazione Royal Flush dell’Fbi coinvolge due nomi eccellenti: la guardia dei Miami Heat Terry Rozier e il coach dei Portland Trail Blazers Chauncey Billups, accusati di frode e riciclaggio in un vasto giro di scommesse truccate e poker illegale gestito dalle storiche famiglie mafiose.