2025-09-30
Il piano di rilancio di Parigi e Berlino: aprire ancor di più le porte a Pechino
Emmanuel Macron e Friedrich Merz (Ansa)
Ecco il vero obiettivo del Trattato di Aquisgrana fra Francia e Germania: il Consiglio degli esperti propone di togliere i dazi al Dragone, favorire gli investimenti cinesi e assegnare fondi alla Difesa in chiave anti Usa.Il Consiglio franco-tedesco degli esperti economici (Fgcee) suggerisce ai governi di Parigi e Berlino di abbracciare la Cina in economia e prepararsi a fare a meno degli Usa per la Difesa. Il tanto celebrato asse e motore dell’Unione europea (parecchio imballato al momento), dovrebbe cioè, secondo i quattro esperti, abbattere le barriere verso Pechino nei settori maturi e favorire gli investimenti cinesi in Europa nei settori tecnologici.Pochi se ne ricordano, ma il Trattato di Aquisgrana tra Francia e Germania, firmato con gran pompa il 22 gennaio 2019 da Emmanuel Macron e Angela Merkel (l’ex cancelliere, ruolo oggi ricoperto da Friedrich Merz), prevede una collaborazione rafforzata tra Francia e Germania. Il trattato del 2019 crea uno spazio economico interno all’Ue, che mira ad adottare regole comuni per rafforzare l’integrazione delle due economie. Contro il trattato, all’epoca, si espresse anche Giorgia Meloni, argomentando che si creava in quel modo «un super Stato all’interno dell’Unione europea».Con il Trattato di Aquisgrana, agli accordi di collaborazione già presenti tra i due Paesi si aggiungevano una clausola di reciproca difesa militare in caso di aggressione e diversi strumenti di collaborazione politica ed economica. Tra questi, proprio il consiglio di esperti economici dei due Paesi, che a fine agosto scorso ha rilasciato una serie di promemoria strategici su cosa i due governi dovrebbero fare per uscire dalla crisi. Cinque documenti su Difesa, Cina, energia, produttività e lavoro.Sulla Difesa, i quattro esperti (Xavier Jaravel, Jean Pisani-Ferry, Monika Schnitzer e Jakob von Weizsäcker) raccomandano a Parigi e Berlino di creare un centro di ricerca congiunto per l’economia della Difesa, di fare appalti comuni per la Difesa, aumentare la produzione di armi e in definitiva di prepararsi a una Europa senza Nato (o a una Nato senza Usa).Sull’energia, l’idea è di creare un consiglio bilaterale dell’energia per mettere insieme i sistemi francesi e tedeschi, integrando le reti.Sulla produttività, gli esperti del Fgcee propongono che Francia e Germania creino una entità come il Darpa americano (Defense advanced research projects agency), cioè un ente governativo super finanziato che sovvenzioni riccamente tecnologia e ricerca a uso strategico. Per il lavoro, gli economisti propongono vari strumenti per migliorare l’occupazione.Ma è quando si arriva alla Cina che il discorso si fa interessante. I quattro saggi raccomandano l’apertura del mercato europeo alle importazioni cinesi, in misura anche maggiore rispetto a quella attuale. Vi è un certo numero di settori in cui l’industria europea è quasi del tutto scomparsa e in cui una ripresa «sembra improbabile, dato che le industrie sono mature», dicono i quattro. Pertanto, le barriere all’ingresso e i dazi non sono altro che una tassa nascosta per i consumatori. Ciò considerato, l’indicazione è di lasciare che gli acquirenti europei sfruttino i vantaggi dei bassi prezzi cinesi: «Questo si applica ovviamente dove Francia e Germania non abbiano produzioni notevoli, nelle industrie mature e dove il potere di coercizione cinese sia basso».Per i settori in cui l’Europa è in ritardo tecnologico (ad esempio le batterie), gli esperti raccomandano di accogliere a braccia aperte gli investimenti diretti esteri cinesi in Europa, che porterebbero trasferimenti di tecnologia e sapere. Una strategia come questa «sfrutterebbe l’accesso al mercato europeo in modo simile a quanto fatto dalla Cina negli anni 2000, eviterebbe costosi esperimenti di politica industriale e garantirebbe che le aziende dell’UE continuino ad affrontare la concorrenza internazionale».Ormai la Cina ha preso il sopravvento nelle produzioni non strategiche, dicono i quattro; quindi, tanto vale continuare a comprare da Pechino, e pazienza se qualche azienda europea ci lascia le penne. Dicono poi che, poiché su tecnologia e produzioni strategiche l’Europa è indietro, tanto vale lasciare che arrivino in Europa gli investimenti cinesi, nella speranza che portino lavoro e sapere tecnologico. Gli economisti del Consiglio sanno bene che un riequilibrio dell’economia cinese non accadrà tanto presto, e lo dicono: «Resterà un forte surplus commerciale cinese e una forte dipendenza europea dalle catene di fornitura cinese». Consigliano dunque ai governi di diversificare le forniture, ma soprattutto di aumentare la produttività interna.In pratica, cioè, gli esperti suggeriscono a Francia e Germania di diventare… la Cina. Più ancora, i rapporti di questo Consiglio suggeriscono ai due governi di non combattere dal lato industriale e commerciale la Cina, ma di tentare di utilizzarla abbracciandola, al contempo volgendo le spalle agli Usa, militarmente e commercialmente.Eppure, l’adozione di questa strategia sinora non ha portato bene, soprattutto alla Germania. Errare è umano, perseverare è diabolico. L’asse che dovrebbe guidare l’Europa a diventare la terza forza tra i due colossi Usa e Cina in realtà si limiterebbe a farsi colonizzare da Pechino, secondo questi «consigli». I casi pratici non mancano.Da ultimo, c’è quello della vendita della catena di distribuzione di elettrodomestici ed elettronica di consumo Mediaworld. La tedesca Ceconomy ag, titolare del marchio, è oggetto di un’offerta da parte del colosso cinese dell’ecommerce Jd.com. Se un gruppo cinese controlla reti di vendita al dettaglio, c’è il timore che i dati dei consumatori (dalle abitudini di acquisto ai profili di comportamento) siano utilizzati in modo problematico. In più, si tratta di vendita di cellulari e computer. In Italia si parla persino di attivare il golden power da parte governo. Parigi e Berlino si sentono tradite da Washington e ora si volgono speranzose a Pechino, ma pare che a Roma non siano d’accordo, per ora.
Brunello Cucinelli (Ansa)
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