2022-08-26
Paradosso degli aiuti contro l’inflazione: in realtà l’alimentano
Il presidente della Fed, Jerome Powell (Ansa)
Già spesi 52 miliardi in incentivi che però hanno spinto i prezzi. La soluzione è cambiare paradigma e abolire le aste della CO2.Dall’inizio dell’anno il governo di Mario Draghi ha stanziato contro il caro bollette e l’aumento generalizzato dei prezzi circa 52 miliardi di euro. Più o meno il 3% del Pil. Nell’enorme calderone ci sono i bonus individuali, i 200 euro una tantum destinati ai lavoratori dipendenti, gli incentivi per tenere sotto controllo il prezzo della benzina e da ultimo una serie di aiuti destinati alle aziende. Secondo molti analisti ciò avrebbe contribuito a contenere l’andamento dell’inflazione intorno all’8% evitando che il dato sforasse la doppia cifra. Chi vede però il bicchiere mezzo pieno non tiene conto del contesto e delle tempistiche necessarie per fare in modo che le politiche economiche facciano il loro corso e vengano assorbite dai cicli di mercato. Gli aiuti producono effetti di sostegno nel medio termine, ma non risolvono in alcuno modo i problemi alla fonte. Già lo scorso anno e fino all’inizio della primavera le autorità finanziarie, dalla Bce in giù, e i governi hanno sostenuto che l’inflazione fosse un problema temporaneo. Se così fosse stato gli aiuti sarebbero stati efficaci. La realtà dimostra invece che il problema inflattivo non è legato in alcun modo alla guerra (o meglio, la guerra è solo una aggravante). Sono saltati tutti i parametri su cui gli Stati hanno basato le proprie strutture. Continuare a insistere con gli aiuti e gli incentivi a questo punto rischia di essere dannoso e solo controproducente. Non bisogna nemmeno farsi ingannare dal fatto che gli stanziamenti non siano a debito. Il solo fatto che questi 52 miliardi siano frutto di deficit significa che senza un intervento strutturale sulle politiche energetiche contribuiranno a creare altra inflazione. La toppa sarà praticamente un altro buco. Con il risultato che il prossimo inverno saliranno ancor di più i prezzi. Quelli dell’energia e quelli di largo consumo.A questo punto se non vogliamo che il Vecchio continente si avvolga in una spirale travolgente, tutti i governi Ue (non solo l’Italia) dovrebbero proporre misure tese ad aumentare l’offerta energetica. Non a ridurla. Per essere ancora più chiari suggerire di ridurre i premi finanziari sul gas significa intervenire sugli effetti e non sulle cause. Va riformato il Green deal europeo, serve abolire il mercato della CO2 che storpia drammaticamente l’accesso all’energia per tutte le aziende che producono. C’è poi un altro lato della medaglia fino a ora ignorato dalla politica e dai dibattiti europei ed è quello che riguarda l’euro. La valuta unica è ai suoi minimi storici. Non perde potere nei confronti solo del dollaro, del franco svizzero o dello yen. Addirittura si sta deprezzando nei confronti di valute terzomondiste come il peso argentino o il birr etiope. L’euro è quindi travolto da un’inflazione importata verso la quale non bastano le mosse della Banca centrale. In una intervista dello scorso aprile l’esperto di materie prima Gianclaudio Torlizzi spiegava, anticipandolo, il dramma a cui stiamo andando incontro. «Non si tratta di un’inflazione di sistema e quindi cosa possono fare le Banche centrali?», commentava Torlizzi, «Di certo non possono utilizzare il quantitative easing sul gas o sul grano o su altre materie prime. Non è possibile. E così siamo a rischio, anzi, è l’euro a essere a rischio. L’intero sistema economico monetario europeo è legato a una economia basata sulla produzione all’estero e sulla riduzione del costo del lavoro. Questo non sarà più possibile». Per questo dovremmo rivedere l’intera produzione industriale, riportandola in casa, dobbiamo ritornare alla produzione di beni di base che a oggi manca. «Senza questo la moneta unica non sarà in grado di garantire stabilità al sistema economico rischiando così di saltare per aria», aggiungeva Torlizzi spiegando che bisogna applicare politiche fiscali espansive. «Invece oggi facciamo i conti con i danni della diversificazione, che significa inflazione. E paghiamo anche altri errori politici. Pensiamo alle politiche sull’acciaio: scelte che oggi costano in aumento dei prezzi. Idem per le politiche climatiche, che non a caso in molti adesso cominciano a mettere in discussione: si tratta di politiche a immediato effetto inflazionistico». L’intervista, come si dice in gergo tecnico, è invecchiata benissimo. Purtroppo è rimasta inascoltata e sarebbe il caso che non lo rimanesse più. Settembre necessita di scelte forti. Le aziende distributrici stanno aspettando a chiudere i contratti per l’inverno. Attendono perché non sanno che cosa può accadere. Attendere porta però al blocco della produzione e quindi ad altra contrazione dell’offerta e come tutti sanno a un ulteriore rialzo dei prezzi. Ecco perché anche in Italia bisognerebbe fare per i prossimi due mesi un serio e preciso piano di tagli e blackout. Se non viene deciso a tavolino lo deciderà il mercato e sarà ancora più dannoso. Nel frattempo si può cercare di riavvolgere la follia delle scelte pseudo ambientaliste dell’Ue e cercare di invertire la rotta. Intanto, gli investitori sono concentrati sul simposio annuale di Jackson Hole e aspettano indicazioni sull’ampiezza dei prossimi aumenti del costo del denaro da parte della Fed, in un contesto di inflazione ancora in crescita. Il discorso del presidente, Jerome Powell, è in calendario per oggi pomeriggio. Secondo gli addetti ai lavori, il governatore dovrebbe confermare l’approccio avuto nelle ultime dichiarazioni, ovvero la necessità di mantenere una politica monetaria restrittiva, per combattere prezzi in accelerazione, senza causare una recessione al Paese. Se i banchieri centrali possono permettersi di scegliere tra recessione e inflazione, noi dobbiamo per forza cercare una terza strada. Tornare a produrre e lavorare per creare ricchezza.
Sergio Spadaro e Fabio De Pasquale (Imagoeconomica)
Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti (Imagoeconomica)
Iil presidente di Confindustria Emanuele Orsini (Ansa)