
Storica visita di Francesco nel tormentato Paese a maggioranza sciita: «Vengo come penitente in una terra martirizzata». Dopo l'Isis, i cristiani nel Paese sono passati da 1,4 milioni a 250.000. Ma preoccupa anche il rinnovato bellicismo degli Usa.Papa Francesco ha ripreso la sua attività internazionale in piena pandemia e lo ha fatto per compiere un viaggio storico. Ieri è atterrato a Baghdad poco prima di mezzogiorno per avviare il suo XXXIII pellegrinaggio apostolico in Iraq, una meta finora mai toccata da un Pontefice e che tanto aveva desiderato Giovanni Paolo II, che voleva visitare la terra del patriarca Abramo già in occasione del giubileo del 2000. Proprio il santo Papa polacco è particolarmente amato dai (pochi) cristiani rimasti in queste terre, memori della sua opposizione alla guerra del 2003, quella voluta da George W. Bush e Tony Blair contro Saddam Hussein. Con quella guerra il caos e i guai per le popolazioni irachene sono aumentati, fino ad esplodere durante il violento regno dello Stato islamico dal 2014 al 2017. Se nel 2003 c'erano circa 1,4 milioni di cristiani in Iraq, oggi si ritiene che il numero sia appena di circa 250.000.Sull'aereo che lo ha portato nella capitale irachena, Francesco ha detto che considera «un dovere» andare in «una terra martirizzata». Davanti alle autorità civili, ad accoglierlo al palazzo presidenziale di Baghdad il presidente della Repubblica d'Iraq, Barham Ahmed Salih Qassim, il Papa ha ribadito il senso che intende trasmettere con questo viaggio: «Vengo come penitente che chiede perdono al Cielo e ai fratelli per tante distruzioni e crudeltà. Vengo come pellegrino di pace, in nome di Cristo, principe della pace». Le armi dialettiche le attinge principalmente da due suoi documenti, l'enciclica Fratelli tutti e il discusso Documento sulla fratellanza umana firmato ad Abu Dhabi nel 2019 con il grande imam (sunnita) dell'Università di Al Azhar, Ahmad Al Tayyib. Francesco ha ricordato ancora una volta che il nome di Dio non può essere usato per «giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione» e che «la religione, per sua natura, dev'essere al servizio della pace e della fratellanza».Oggi il Papa incontrerà l'ayatollah Ali Al Sistani, leader sciita, l'altra metà del cielo nel mondo musulmano che tra sunniti e, appunto, sciiti, trova serie difficoltà a armonizzarsi e risolvere questioni secolari. Sarà difficile che il Papa possa convincere Al Sistani a sottoscrivere il documento firmato nel 2019 dal grande imam sunnita di Al Azahr. Molti analisti pensano che questo dialogo possa essere strumentalizzato da una parte e dall'altra del mondo musulmano e non sortire effetti positivi, anche per la vita della minoranza cristiana. «L'antichissima presenza dei cristiani in questa terra», ha detto il Papa alle autorità civili, «e il loro contributo alla vita del Paese costituiscono una ricca eredità, che vuole poter continuare al servizio di tutti. La loro partecipazione alla vita pubblica, da cittadini che godano pienamente di diritti, libertà e responsabilità, testimonierà che un sano pluralismo religioso, etnico e culturale può contribuire alla prosperità e all'armonia del Paese».Sempre oggi Francesco sarà nella piana di Ur dei caldei, dove Abramo cominciò il suo cammino, per un incontro interreligioso che da un lato gode della suggestione del «padre comune», dall'altro può lasciare spazio a semplificazioni che non tengono in debito conto le fondamentali differenze sull'interpretazione di questa figura patriarcale per cristiani, ebrei e musulmani. Il Papa ritiene, come ha detto ieri, sia necessario «costruire il futuro più su quanto ci unisce che su quanto ci divide», ma è evidente che affermare che «crediamo in un unico Dio» sia decisamente ambiguo, come peraltro spiegò magistralmente Benedetto XVI nel discorso di Ratisbona del 2006.Va riconosciuto comunque il coraggio di Francesco nell'intraprendere questo viaggio, difficile anche per i rischi legati a possibili attentati. Il Papa si muove in una Baghdad deserta per il coprifuoco da pandemia e si muove comunque in una macchina blindata. Nel pomeriggio di ieri l'incontro con vescovi e religiosi nella cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora della Salvezza, dieci anni fa teatro di un terribile attacco terroristico. «Durante la santa messa 48 martiri sono stati uccisi», ha ricordato il cardinale Louis Raphaël Sako accogliendo il Papa, «tra cui due nostri giovani sacerdoti». Nelle parole del presidente dei vescovi iracheni è sintetizzata la persecuzione subita in questi anni. «Nell'agosto 2014, l'Isis ha fatto fuggire tutti i 120.000 cristiani dalla piana di Ninive e da Mossul», ha ricordato, «e ringraziamo Dio per il fatto che queste aree sono state liberate nel 2017 e 50% dei loro abitanti sono tornati». La liberazione di queste terre è stata anche frutto di accordi geopolitici multilaterali di cui il Papa pare essere un sostenitore, al contrario di quel protagonismo statunitense che a queste latitudini non piace a nessuno. La nuova amministrazione di Washington del presidente Joe Biden in questo senso sembra cominciare male, e un primo messaggio di questo viaggio del Papa potrebbe inaspettatamente essere indirizzato proprio negli Stati Uniti del «cattolico» Biden.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.