2025-02-23
Il Papa si aggrava: «Anemia e trasfusione»
Papa Francesco (Getty Images)
A causa di una «crisi respiratoria asmatiforme prolungata nel tempo», applicato ossigeno ad alti flussi al Pontefice. Dagli esami è emersa una piastrinopenia. Il quadro clinico ora è «critico» e la prognosi riservata. Le dimissioni tornano all’ordine del giorno.Papa Francesco si è aggravato. Ieri ha dovuto affrontare una crisi respiratoria che i medici del Policlinico Gemelli di Roma definiscono «di entità prolungata». Ha ricevuto l’ossigeno. È stato sottoposto a emotrasfusioni. La situazione è critica e la prognosi resta riservata. Dopo due giorni di relativa ripresa, il fisico del Pontefice (88 anni) ha mostrato nuova debolezza, anche se lui è vigile e ha trascorso la giornata in poltrona, «pur più sofferente rispetto a ieri». Il bollettino medico diffuso dalla sala stampa vaticana evidenzia così il nuovo peggioramento: «Le condizioni continuano a essere critiche, il Papa non è fuori pericolo. Questa mattina ha subìto una crisi respiratoria asmatiforme di entità prolungata nel tempo che ha richiesto l’applicazione di ossigeno ad alti flussi». Secondo i medici, alle difficoltà respiratorie si aggiungono problemi sanguigni, con un deficit di piastrine che potrebbe causare emorragie e un’anemia. Continua il bollettino: «Gli esami del sangue hanno evidenziato una piastrinopenia, associata a un’anemia, che ha richiesto la somministrazione di emotrasfusioni». In un simile contesto prendono forma ipotesi e retroscena sul futuro del pontificato e della Chiesa. Con una parola che domina tutte: dimissioni. «Dalla croce non si scende», disse un gigante della fede come Giovanni Paolo II. Ma quell’uomo è fra i santi. I tempi cambiano, e fuori dalla camera del Policlinico Gemelli dove papa Francesco è ricoverato da dieci giorni con la polmonite bilaterale, si guarda al domani. Il primo a evocare le dimissioni è stato Gianfranco Ravasi, grande elettore di Jorge Mario Bergoglio, quando ha ricordato che «potrebbe farlo perché è una persona abbastanza decisa nelle sue scelte. Pronunciò la famosa battuta secondo cui si governa con il cervello e non con il ginocchio. Se fosse compromessa la sua possibilità di avere contatti diretti e di poter comunicare in modo incisivo, allora potrebbe decidere di dimettersi». Sulla stessa lunghezza d’onda altri due big del collegio cardinalizio, Jean-Marc Aveline di Marsiglia e Juan José Omella Omella di Barcellona, per i quali «tutto è possibile».Con la schiettezza gaddiana che lo contraddistingue, monsignor Ravasi ha strappato un velo d’ipocrisia. Lo stesso Papa aveva rivelato che esiste una sua lettera di dimissioni, consegnata nel 2013 al segretario di Stato dell’epoca, Tarcisio Bertone, «in caso di malattia o impedimento che rendessero impossibile l’esercizio coerente e lucido del governo». Il Santo Padre ha sempre scherzato su quella spada di Damocle autoimposta, ripetendo: «Sono ancora vivo nonostante alcuni mi volessero morto». E dopo la visita del premier, Giorgia Meloni, è trapelata la frase papale: «So che là fuori c’è qualcuno che dice che è giunta la mia ora. Me la tirano sempre!». Ma il clima è di sospensione e le grandi manovre si intensificano.Da una parte i cardinali conservatori, che gli imputano di aver indebolito la Chiesa, sperano in un abbandono. Le due personalità più eminenti sono il numero uno dei porporati statunitensi, Raymond Burke (con buona parte del clero americano alle spalle), e l’ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Gerhard Müller, con un buon seguito in Vaticano. Molto in auge anche il cardinale Péter Erdo, arcivescovo di Budapest, e Svjatoslav Sevcuck, arcivescovo di Kiev che in questi anni non ha risparmiato «rimproveri per le uscite papali più ardite». Anche in Africa il partito delle dimissioni fa proseliti soprattutto dopo la bocciatura nelle nomine cardinalizie di quella chiesa numerosa e vitale, ma colpevole di non essersi allineata sulle benedizioni arcobaleno.Poi ci sono i pretoriani di Bergoglio, che all’apparenza detestano la parola «dimissioni». Ieri sono usciti allo scoperto tre pezzi da novanta: il segretario di Stato, Pietro Parolin, il responsabile del dicastero per la Dottrina della fede, Victor Manuel Fernández, e il presidente della Cei, Matteo Zuppi. Il primo ha liquidato l’ipotesi così: «Sono inutili speculazioni. Non so se ci sono manovre e cerco, in ogni caso, di restarne fuori». Il cardinal Fernández è andato oltre: «Non ha senso che alcuni gruppi facciano pressioni per una rinuncia; questa decisione è solo nelle mani del Papa. Non vedo un clima da preconclave». E Zuppi ha concluso: «Non esiste problema, aspettiamo e preghiamo perché torni presto». È difficile pesare la sincerità delle posizioni dei tre totem del bergoglismo, che da un canto difendono chi ha dato loro prestigio, ma dall’altro sono impegnati a entrare in pole position in un eventuale Conclave, come l’arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn, e lo stesso marsigliese Aveline. Sono tutti consapevoli che il collegio cardinalizio che deciderà il prossimo Pontefice è stato modellato da Francesco per dare continuità al progressismo in tonaca. Morale: potrebbe esserci spazio per un’operazione Joe Biden trasferita in Vaticano. Prima della crisi respiratoria e della trasfusione di ieri, il Papa sembrava stare meglio. Ha firmato bolle di nomina per tre arcivescovi e un vescovo, confermando con i fatti di voler guidare la Chiesa anche con la flebo nel braccio. Ha anche preparato il testo dell’Angelus e dell’omelia che stamane sarà letta da monsignor Rino Fisichella alla messa del Giubileo dei diaconi in San Pietro. Un momento di vigore, poi il peggioramento che alimenta pensieri e penombre. In giornata ha rotto il silenzio il cardinal Angelo Bagnasco, fine conoscitore di armonie vaticane, per pronunciare una frase illuminante: «Il dibattito sulle dimissioni è inopportuno». Ha detto inopportuno, non sbagliato.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)