
Il governo, di cui il giornale è stato grande sponsor, rivuole indietro 6 milioni di contributi non dovuti. E la redazione piange.L'hanno mandato al suo adorato mercato a comprare la frutta. Hanno consigliato al direttore Claudio Cerasa di girare fra le bancarelle dove l'economia reale mostra la sua frenetica e sudata democrazia. I social sono feroci e hanno un solo pregio, vanno subito alla radice delle cose. È accaduto anche per Il Foglio, quotidiano glamour che alla vigilia di Natale ha denunciato una pesante manovra di bavaglio da parte del governo. «Un tentativo che non riuscirà, per colpire il giornale e cercare di chiuderlo», come è scritto in un editoriale firmato dalla redazione. La faccenda deriva da due realtà: l'avversione profonda del Movimento 5 stelle (azionista principale del Conte bis) nei confronti di una voce critica nei suoi confronti e un accertamento fiscale della guardia di finanza sul biennio di finanziamento pubblico 2009-2010. In quegli anni Il Foglio non avrebbe raggiunto la diffusione sufficiente per ottenere i denari dello Stato (6 milioni di euro dei contribuenti) e ora gli è stata intimata la restituzione «nel frattempo sospendendo l'erogazione di contributi a titolo di garanzia», spiega l'articolo. Restituzione uguale morte per asfissia.Un quotidiano, presidio primario di libertà, non dovrebbe mai essere inquadrato dal mirino della politica, tra l'altro con minacce come quella che il portavoce del premier, Rocco Casalino, aveva mosso a un giornalista parlamentare: «Adesso che Il Foglio chiude che fai? Mi dici a che serve Il Foglio? Non conta nulla, perché esiste?». Questo anche se il suddetto quotidiano ha portato a casa 54 milioni in 20 anni (fonte DataMediaHub) e per ammissione del suo fondatore Giuliano Ferrara «la famosa convenzione per la Giustizia era un trucco». Ma al tempo stesso, in un mondo che - anche secondo la narrazione del Foglio - non ha più nulla a che vedere con quello di 30 anni fa e si nutre di biscotti alla Nutella, sembra paradossale che per essere liberi ci si aggrappi alla liana dell'assistenzialismo e si pretenda la perpetuazione in senso multimediale della Cassa del Mezzogiorno. È vero, la cultura dev'essere aiutata dallo Stato. Ma un giornale non è il ponte di Rialto, non è la Biblioteca Ambrosiana, l'enciclopedia Treccani o il David di Michelangelo. Almeno in senso generale, se non per il cenacolo di happy few che emotivamente lo venera. Il cordone ombelicale con la finanza pubblica è un controsenso, uno scendere a patti con il sottobosco della politica che un quotidiano, per essere davvero libero, dovrebbe rifiutare. Sintetizza bene la situazione Michele Arnese, direttore di Startmag in un tweet: «Lunga vita al Foglio (dove ho lavorato 5 anni). Un quotidiano fieramente liberista e capitalista deve aspirare ad avere editori privati senza finanziamenti statali». Un'analisi che in cuor suo - pur nello tsunami che la crisi porta con sé - lo stesso direttore Cerasa dovrebbe condividere, visto che durante le tempeste dello spread salvifico contro le obiezioni euroscettiche scriveva con qualche accento autolesionista: «Dio benedica i mercati. Dove passano le merci non passano gli eserciti. Dove non passano i mercati passano gli incapaci. Dalla Turchia all'Italia. Perché i mercati sono il migliore alleato di una democrazia intenzionata a non fuggire dalla realtà». Dove non passano i mercati passano gli incapaci; una crudele, trumpiana fotografia dell'esistente, anche se adesso diventa un boomerang. Liberisti che chiedono assistenza, un ossimoro. Proprio per questo i commentatori social mandano tutti a quel tal mercato. Accanto a costoro, ecco corifei che subito si sono travestiti da prefiche e hanno cominciato a innalzare pianti sul destino negletto non di un giornale, ma della democrazia, forse della civiltà occidentale. Esattamente come accadde per Radio Radicale. Salvo dimenticarsi un nanosecondo dopo il salvataggio, che a operarlo furono i voti (orrore, ricomincino le bastonate contro quegli illiberali) della Lega. Ora i difensori d'ufficio dell'ombrello statalista sono quasi tutti renziani, area nella quale il giornale si è posizionato per rappresentare i liberali di sinistra, una strana genìa che applaude Nicola Zingaretti facendo finta che sia il fratello, che tiene in piedi il governo più venezuelano dell'ultimo mezzo secolo e che plaude al libero mercato solo quando non riguarda gli amici. C'è un'interrogazione del renziano Michele Anzaldi a difesa della trincea di libertà. C'è la posizione ferma del renzianissimo Matteo Renzi: «Chi vuole chiudere Il Foglio sappia che noi difenderemo questa voce libera dell'informazione come abbiamo difeso Radio Radicale. Pancia a terra, tutti insieme, Il Foglio deve vivere». Intento condivisibile ma ipocrita. Infatti non si capisce perché non debba essere difesa allo stesso modo l'altrettanto libera voce di Italia Oggi, con problemi di finanziamento pubblico ma relegata nel retrobottega del silenzio. «Combatteremo gli illetterati rancorosi» tuona infine Gennaro Migliore. Qualcuno spieghi al premio Nobel Libreria Ikea che quelli che vogliono morto Il Foglio sono i suoi alleati di governo. E la congiura è della purea giallorossa sponsorizzata con allegria solo quattro mesi fa dal Foglio medesimo. Ennesimo segnale di un'Italia alla rovescia, dove i sinceri democratici vanno in piazza contro l'opposizione e i giornali filogovernativi gridano alla censura del governo. Surrealismo puro: come piace alla casa «Ceci n'est pas une pipe». Telefonatevi, fate prima.
(IStock)
I danesi di Vestas fermano la produzione di pale e turbine: poca domanda, costi elevati.
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A rischio un comparto che da noi dà lavoro a 100.000 persone. L’Italia si oppone.
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Il quotidiano dei vescovi celebra il Giubileo di «omoaffettivi e Lgbt». Neanche una riga per le ostetriche che si ribellano alla proposta di Crisanti di far praticare loro gli aborti.
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)
Il colonnello Melosu ha raccontato di non aver soddisfatto i desiderata dei carabinieri infedeli e della Procura di Pavia. Per questo sarebbe stato accusato di falso ideologico, subendo una perquisizione in tempi record.